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Pubblicato in: News

The Outer Worlds: gli sviluppatori parlano della grandezza del titolo

The Outer Worlds, l’ultimo lavoro di Obsidian annunciato ai Game Awards 2018, è sicuramente uno dei titoli più attesi di quest’anno.

Il trailer di annuncio ha fatto faville fin da subito, e la notizia che le menti visionarie di Tim Cain e Leonard Boyarsky (creatori di Fallout, Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura e Vampire: The Masquerade – Bloodlines, per citare alcuni dei loro lavori) siano dietro al progetto ha subito generato un gigantesco hype.

Sappiamo tutti quanti, però, quanto possa essere pericoloso l’hype: le gigantesche aspettative del pubblico, spesso non sempre razionali o coerenti con lo sviluppo del gioco, hanno portato molte volte a violenti colpi di frusta quando il prodotto si è rivelato essere inferiore alle idee che i giocatori si erano fatti a riguardo.

Proprio di questo gigantesco fardello hanno parlato gli stessi Tim Cain e Leonard Boyarsky, in un’intervista a Game Informer, rilasciando anche dei dettagli sulla grandezza del mondo di gioco.

 

Un universo ristretto ma vivo, reattivo e rigiocabile

 

The Outer Worlds, secondo i suoi due sviluppatori, non sarà un’esperienza sand box alla No Man’s Sky, dove il giocatore potrà prendere una navicella spaziale e gironzolare per il cosmo senza meta.

A detta di Cain e Boyarsky, The Outer Worlds è molto più simile ai loro vecchi CRPG, con un grande focus sull’esplorazione di piccole aree delimitate, ma pregne di elementi interattivi, quest, personaggi e molte altre cose da fare.

“Abbiamo deciso di far pendere l’ago della bilancia sulla reattività del mondo e sulla rigiocabilità, perché a causa del nostro budget limitato questi elementi richiedono un mondo di gioco più piccolo e controllato rispetto ai giganteschi open world sandbox dove puoi andare ovunque tu voglia.” Ha detto Boyarsky nell’intervista.

Nonostante ciò, la grande paura di Obsidian è che il pubblico possa comunque fraintendere gli obiettivi ed il target di The Outer Worlds, e che invece immaginino per l’appunto l’ennesimo, gigantesco open world con ambientazione spaziale.

 

 

Tim Cain racconta che, all’epoca di Fallout ed Arcanum, nessuno si aspettava niente dagli sviluppatori e per questo avevano la più assoluta libertà e zero aspettative del pubblico. Cain è convinto che chi ha amato i loro storici titoli o i più recenti Fallout: New Vegas e Pillars of Eternity riuscirà ad apprezzare anche The Outer Worlds.

“La mia paura più grande riguardo all’hype è che niente di quello che potremmo sviluppare, neanche se avessimo centinaia di milioni di dollari, riuscirà a soddisfare le aspettative del pubblico. Non si può proprio competere con l’immaginazione e l’hype delle persone, perché sono senza limiti.” 

Per farci un esempio della struttura del gioco, Tim e Leonard hanno parlato di alcune prove effettuate a porte chiuse: alcuni dei tester sono riusciti a completare il primo mondo in poco meno di un’ora, altri invece ci hanno impiegato più di 4 ore per esplorarlo a cima a fondo.

Come metodo di paragone hanno entrambi optato per il mondo di gioco di Star Wars: Knights of the Old Republic II, ma un pelo più ristretto.

Tim Cain ha infine concluso così la sua intervista:

“È importante per me che che le persone capiscano cosa sia davvero il videogioco e quali siano i suoi obiettivi e limiti effettivi, per poi decidere se vorranno giocarci oppure no.”

 

Ricordiamo a tutti che The Outer Worlds è previsto per il 2019 su PC, PS4 e Xbox One. 

This post was published on 10 Febbraio 2019 19:19

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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