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Jeff Kaplan spiega perché i giocatori non si stancano di Overwatch

Che lo si ami o lo si odi, che lo si giochi ogni giorno per qualche minuto o lo si scarichi solo per delle maratone durante gli eventi speciali, Overwatch rimane uno dei titoli più giocati dalla sua data d’uscita, il 24 Maggio 2016.

La popolarità dello sparatutto di Blizzard toccò vette altissime fin dai primi mesi successivi al lancio, conquistando moltissimi giocatori amanti delle vecchie IP della casa, ma anche altrettanti estranei agli Starcraft, ai Diablo o ai Word of Warcraft.

Oggi, si contano circa 40 milioni di account Overwatch, con picchi di anche un milione e mezzo di giocatori connessi contemporaneamente. Diciamo che in un mondo dove i videogiochi multiplayer, soprattutto gli shooter, puntano alla quantità di titoli annui piuttosto che alla fidelizzazione su lunga data, quello della nuova creatura di Blizzard è un traguardo strabiliante.

Non è sempre tutto rose e fiori, però. Overwatch ha anche avuto dei momenti in cui ha sofferto, vuoi per la competizioni di altri videogiochi, vuoi per alcune scelte di bilanciamento o design che non hanno accontentato tutti i fan.

Ma nonostante questo, la gente continua ad entrare su Overwatch, ed account che magari sono stati inattivi per settimane rientrano quando viene rilasciato una nuova modalità o personaggio, con un hype immenso a guidarli.

Da cosa deriva questa enorme popolarità? Come fanno gli sviluppatori ad accontentare queste orde di fan? Insomma, perché Overwatch non annoia mai del tutto? Queste sono state le domande che Kotaku ha rivolto a Jeff Kaplan, il Lead Designer e Director di Overwatch, durante il Blizzcon 2018.

 

 

“Cheers, loves, the Kaplan’s here!”

 

 

Nonostante il clima a dir poco “infernale” che ha avvolto tutta la conferenza a causa di Diablo Immortal, Jeff è stato come sempre molto disponibile e cristallino nel rispondere ai giornalisti.

Kaplan ha affermato come Overwatch non abbia sempre avuto, in realtà, questo costante e immenso afflusso di giocatori. Ci sono stati dei periodi di stallo, altri invece di perdita per il gioco.

Jeff ha accennato, ad esempio, al rilascio di Brigitte all’inizi del 2018, un eroe che con la sua capacità di stordire facilmente qualsiasi nemico con un colpo di scudo è riuscita a capitanare un intero meta di gioco.

Scelte di design come queste, dice il Director, hanno influenzato parecchio l’intero gioco, perché ad esempio giocare un tank o un dps molto mobile era diventato impossibile proprio per colpa di quella stun particolare. Di conseguenza, molti giocatori hanno smesso di giocare, per poi ritornare quando la situazione si è stabilizzata.

Penso costantemente al tipo di gioco che è Overwatch – ovvero uno sparatutto a classi competitivo 6vs6 – ed è il tipo di gioco in cui i giocatori tendono ad immergersi pienamente per poi passare ad altro. Ritengo sia una cosa naturale. È positiva per qualsiasi giocatore, e penso che sia positivo anche per noi – che i giocatori non diventano ossessionati dal gioco, come se Overwatch fosse il loro unico divertimento… ” 

Secondo me a volte i giocatori dicono “Oh no, è uscito il nuovo COD ed ora i miei amici giocheranno solo a quello”. E va bene così. Anche noi giochiamo al nuovo COD ogni volta che esce, è divertente. Dopo di che torniamo tutti quanti a giocare ad Overwatch quando ci stanchiamo, e facciamo le nostre partite di calibrazione…”

 

“Once more unto the Balance”

 

 

Quando però i giocatori che si riattivano sono minori delle aspettative, è giunto il momento per il team di cambiare qualcosa, aggiunge Jeff. Un nerf, una mappa nuova, qualche nuova modalità, o un eroe completamente nuovo sono ciò su cui si concentrano gli sviluppatori, ed al contempo sono anche dei validi motivi per tornare a giocare ad Overwatch.

Proprio per questo l’intero team è sempre ansioso di recepire i commenti e le critiche dei giocatori, così da sapere dove bisogna intervenire per migliorare l’intera esperienza di gioco. E con una community così grande e diversificata, non dev’essere un lavoro molto semplice, bisogna concederglielo.

Con l’aggiunta del nuovo eroe, Ashe, un hit-scanner molto simile a McCree a detta di Jeff, Overwatch ha già richiamato a sé moltissimi giocatori emozionatissimi all’idea di provare la nuova fuorilegge. Il team ora dovrà semplicemente stare attento al bilanciamento di Ashe, vedere cosa ne pensano i giocatori e concentrarsi sulle possibili migliorie attuabili.

Sull’evento stagionale “Winter Wonderland”, Jeff ha chiesto ai giocatori di non alzare troppo le aspettative, poiché sarà molto simile a quello dell’anno scorso. Ha invece incuriosito tutti quanti con delle affermazioni riguardanti il 2019:

“Per l’anno prossimo abbiamo qualche asso nella manica, e pensiamo che saranno davvero forti. Quando li riveleremo, i giocatori sapranno subito perché ci stiamo trattenendo così tanto per le informazioni. È sempre difficile in questi casi comunicare così poco con la community, a volte i giocatori ci capiscono, altre volte invece la gente è spazientita per il silenzio.”

“Ma stiamo lavorando più duramente che mai. Siamo un team più grande che mai. Credo che il futuro prospetterà altre grandi cose per Overwatch.

 

Forse Overwatch ha davvero una sorta di ricetta segreta che cattura chiunque lo provi, costringendolo una volta ogni tanto a tornare ad essere un eroe. Almeno ora, grazie a Jeff, sappiamo uno o due ingredienti di questa ricetta: il continuo supporto dell’opera, l’infinita pazienza nell’ascoltare la community e la forza di dirsi “c’è sempre qualcosa che possiamo migliorare”.  

 

This post was published on 8 Novembre 2018 20:01

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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