Red Dead Redemption 2 arriverà sui nostri scaffali tra meno di dieci giorni. Come abbiamo raccontato di recente, però, la puntualità dell’uscita del gioco è costata ai dipendenti di Rockstar Games un 2018 da inferno, portandoli ad arrivare addirittura a turni di lavoro da 100 ore a settimana. Facendo chiarezza sulla questione, si è scoperto che questa stressante routine lavorativa non riguardava tutti i dipendenti, ma solamente un gruppo ristretto.
Dopo questa news sono uscite fuori alcuni interessanti testimonianze. Ad esempio quella di Job J Stauffer, che è stato in Rockstar Games per quattro anni. In particolare l’impiegato ha lavorato allo sviluppo di Grand Theft Auto 4 e afferma in un tweet che nelle ultime fasi di sviluppo del gioco l’atmosfera nello studio era “come se ti puntassero una pistola alla testa sette giorni a settimana”.
In un altro tweet parla di come sia stato trattato durante un giorno di malattia concessogli dal datore di lavoro per l’influenza. Avendo, Stauffer postato una foto su Twitter, durante la convalescenza, la compagnia lo avrebbe ammonito per “aver perso tempo su Twitter”.
Non finisce quì. In un altro tweet il nostro amico manda un’altra frecciatina a Rockstar Games. Anche se da il beneficio del dubbio, immagina che, anche dieci anni dal suo abbandono, la software house continui a comportarsi allo stesso modo.
Insomma, questo ex impiegato ha alzato un bel polverone di flame nei confronti della compagnia. Tuttavia questo è un granello di sabbia nel deserto se consideriamo che da sempre Rockstar Games è stata oggetto di attacchi per la sua cultura stressante e sempre esigente in ambito del lavoro. Ricordiamo che accadde la stessa cosa otto anni fa, con il primo Red Dead Redemption.
Insomma, anche se con Red Dead Redemption 2 hanno gestito il lavoro in modo migliore, inizia ad essere evidente il fatto che nelle fasi finali di sviluppo dei loro giochi, quelli di Rockstar Games siano un tantino pressanti. Gli diamo il beneficio del dubbio?
La questione delle 100 ore di lavoro a settimana da parte del team di Rockstar Games sta facendo parecchio scalpore. La software house, d’altra parte, da il permesso ai membri dello staff di esprimersi sulla vicenda dando un punto di vista personale.
In particolare l’ex programmatrice di Rockstar Games Vivianne Langdon è stata una delle prime a tweetare a riguardo.
Ha lavorato in Rockstar per tre anni e mezzo. Di solito non parla di lavoro ma è stata colpita dalla storia delle 100 ore. Specifica, prima di tutto, che la sua è un’opinione personale e che non è stata compensata in alcun modo per fare quel post. Poi afferma che non ha mai lavorato per più di 50 ore a settimana.
Ha effettivamente fatto degli straordinari di 2-6 ore a settimana, ma tutti regolarmente pagati, al punto che il salario gli è stato aumentato di metà o addirittura raddoppiato. Le ore di straordinario rientravano comunque nelle norme della legge californiana.
Ad ogni modo il lavorare fin tardi è stata una sua scelta perchè, a suo dire, risiede nella stessa zona degli studi di Rockstar e non voleva fermarsi con il lavoro fin quando non avrebbe risolto alcuni difficili problemi di programmazione. Nessuno l’ha forzata a stare fin tardi, o le avrebbe dato timeline impossibili. Era solo lei che si imponeva questa responsabilità come programmatrice.
Rockstar Games l’ha sempre ascoltata, valorizzata e rispettata. Anche dopo il suo abbandono dello studio.
Insomma, nella sua esperienza personale non è stata mai sovraccaricata di lavoro o maltrattata. Ovviamente non vuole sminuire nessun altra storia e non vuol dire che l’industria videoludica sia perfetta. Si tratta solo della sua esperienza personale.
Un’altra esperienza, completamente all’opposto di quella di cui abbiamo letto in precedenza. Quale delle due sia più veritiera è davvero difficile dirlo. Vi aggiorneremo costantemente su questa storia delle 100 ore a settimana di Rockstar.
This post was published on 19 Ottobre 2018 0:00
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