C’erano una volte due differenti brand videoludici di Ubisoft : uno parlava di un principe e uno di un agente segreto.
Prince Of Persia è una serie di videogiochi dall’altissimo valore storico creata da Jordan Mechner nell’ormai vetusto 1989. La saga approdò anche su Playstation 2 con una trilogia meravigliosa di action-platform di grande respiro storico, in grado di segnare profondamente una generazione di videogiocatori tra manipolazioni temporali e salti al limite dell’impossibile.
Splinter Cell è stato un brand che tratta il mondo degli agenti segreti con un piglio molto realistico, lontano dalla follia autoriale di Metal Gear Solid; un agente solitario alle prese con problemi di fantapolitica armato con giusto lo stretto necessario per entrare all’interno delle ombre ed uscirne vittorioso.
È un po’ di tempo che nel mondo di videogioco non si sentono i più i nomi di saghe storiche come Splinter Cell o Prince Of Persia, saghe abbandonate dalla propria software house in nome di nuovi volti, più remunerativi e più al passo con i tempi.
Fortunatamente certi nomi, certi personaggi, certe idee sono ancora nel cuore degli sviluppatori; a confermalo è stato Serge Hascoet, capo creativo di Ubisoft all’interno di un’ intervista con Game Informer.
Prince Of Persia e Splinter Cell, due saghe di grande importanza storica per la settimana e l’ottava generazione videoludica, dormono un sonno tranquillo che prima o poi potrebbe subire un forte stop.
Vediamo insieme cosa si sono detti di interessante all’interno dell’intervista.
Le saghe di Splinter Cell e Prince Of Persia hanno come ultimi capitoli titoli usciti nel 2013 e nel 2010 rispettivamente. Da quel momento in poi le uniche apparizioni dei brand all’interno del mondo dei videogiochi si sono limitate a cameo ed easter egg in grado di far sorridere qualche nostalgico e poco più.
Secondo le parole di Serge Hascoet il problema è dato dall’assenza di risorse da parte di Ubisoft, troppo grande per poter dare il via libera senza passare per tutta la burocrazia del caso e troppo impegnata per poter immettere nei progetti il giusto quantitativo di risorse.
“Al momento non posso dire molto, ma possiamo dire che stiamo combattendo per ottenere le giuste risorse. Prince Of Persia e Splinter Cell sono due saghe che amo davvero tanto, per questo vi dico che non è un problema legato alla volontà di fare determinati titoli, è un problema legato ai mezzi necessari per realizzarli!”
Le parole di Hascoet non sono state precisissime ma lasciano intendere un po’ la situazione davanti cui egli si trova davanti: voler fare un gioco, al giorno d’oggi, significa trovare i fondi e il personale per progetti di grandi dimensioni e significa anche dover riadattare determinati canoni agli standard attuali.
Splinter Cell e Prince Of Persia, ad esempio, per poter diventare competitivi al giorno d’oggi dovrebbero integrare al loro interno meccaniche proprie dei videogiochi open world o dovrebbero reinventarsi in modo sostanziale, in modo da poter avere appeal commerciale. Entrambe queste operazioni, in ogni caso, necessitano di forza lavoro e dei fondi necessari a foraggiare la forza lavoro, ecco la chiusura del cerchio.
Queste due saghe hanno la necessità di ripresentarsi al pubblico come videogiochi di successo, considerate le reazioni dietro gli ultimi due capitoli della saga.
Mentre di Prince Of Persia: Le Sabbie Dimenticate preferiamo non dire nulla perché si tratterebbe davvero di sparare sulla croce rossa, tanto è stato mal ricevuto dal pubblico è possibile fare un discorso radicalmente diverso per Splinter Cell: Blacklist; un videogioco tecnicamente egregio, divertente ma che assomigliava a un’ innaturale evoluzione del gameplay stealth dei precedenti capitoli della saga.
Avendo come ultimi capitoli questi due titoli sembra obbligatorio per Ubisoft riaprire le loro storie con videogiochi in grado di lasciare il segno, in modo da non deludere gli astanti.
Almeno Sam Fisher, a differenza del nobile persiano, ogni tanto si è fatto vedere all’interno del mondo dei videogiochi in cameo e comparsate piuttosto simpatiche.
In Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands c’è tutta una serie di contenuti dedicate alla spia americana più famosa di casa Ubisoft, senza contare che l’iconico visore notturno di Fisher fa una comparsata all’interno del nuovissimo Assassin’s Creed Odyssey.
All’interno dell’intervista come Game Informer Serge Hascoet ha anche parlato di cosa bolle in pentola in casa Ubisoft; la bella notizia è che sono cose abbastanza interessanti con cui avere a che fare.
Sembra che l’azienda francese abbia intenzione di aggiungere delle componenti multiplayer all’interno di questa nuova iterazione della serie di Assassin’s Creed, cercando di puntare sull’aspetto più social del gaming; un fenomeno tutto attuale che farà sicuramente storcere il naso a molti accontentado chissà quanti altri.
Un altro punto su cui l’azienda francese punterà molto sarà l’interazione con il giocatore all’interno della storia, a discapito delle cutscenes che invece oggi regolano l’andamento narrativo dei titoli.
“Nei videogiochi sarebbe bellissimo se lasciassimo ai giocatori il ruolo di attore, facendogli scegliere quando e come agire da mero spetattore. Il gioco non dovrebbe poter scegliere al posto del giocatore e per tanto vogliamo iniziare con il dare queste libertà e queste scelte al giocatore stesso. Vogliamo ridurre quanto più possibile il numero delle cutscenes all’interno dei nostri giochi, lasciando al giocatore la possibilità di sceglierne di farne parte o meno.”
Oltre a ciò sono uscite fuori un sacco di cose interessanti: titoli free to play, prodotti cinematografici/televisivi ispirati alla saga degli assassini, la ricerca di un anima all’interno dei videogiochi e così via. Potete leggere l’intervista integrale cliccando su questo link.
This post was published on 3 Ottobre 2018 16:57
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