Probabilmente qualcuno si ricorderà che, poco più di un mese fa, Epic Games aveva usato il pugno duro contro i cheater di Fortnite. Il titolo rappresenta, soprattutto nella sua versione battle royale, l’unica alternativa di livello, tra l’altro anche gratuita, a PlayerUnknown’s Battlegrounds, attuale esclusiva Microsoft. Il publisher americano aveva affermato che il ban non era una soluzione adeguata a chi barava nel suo gioco. Proprio per questa ragione, decise di portare in tribunale ben due cheater, accusandoli non solo di aver violato l’EULA, ma di aver causato un ingente danno economico. Ebbene, a distanza di oltre un mese dall’accaduto, la madre di uno dei due cheater ha deciso di rispondere alle accuse di Epic. Secondo la persona, il figlio sarebbe nient’altro che un capro espiatorio.
Fortnite contro i cheater: la vicenda si arricchisce di un nuovo episodio
Chiunque giochi online sa benissimo quanto può essere deleteria la minaccia rappresentata dai cheater. Per chi invece non fosse avvezzo al multiplayer, basti sapere che si tratta di persone che, in diversi modi, utilizzano dei “trucchetti“, quasi sempre illeciti, per portare a casa la vittoria. Se, ad esempio, entrate in una partita online del vostro gioco preferito, comprato al day one, e vi accorgete che già sono presenti giocatori al livello 100 di esperienza, al 90% si tratta di cheater. Se, durante un match, vi capiterà di essere uccisi da un colpo di pistola ad oltre 100 metri di distanza, sappiate che, nella gran parte dei casi non siete in presenza di un giocatore abile, ma solo di un giocatore scorretto. Va da sè che, come potrete facilmente immaginare, la presenza dei cheater scoraggia i giocatori onesti, che potrebbero anche decidere di abbandonare la community.
In altre parole, un cheater è un danno per il videogame a cui gioca.
È proprio su queste basi che il publisher di Fortnite ha deciso di agire per vie legali. Poche ore fa, la madre di uno dei cheater ha deciso di rispondere alle accuse di Epic Games, articolando la sua replica in più punti. Occorre però fare una doverosa premessa: l’accusato in questione si è poi rivelato essere minorenne, proprio per questa ragione è stata chiamata in causa la madre. Proprio su questo aspetto è focalizzata la prima parte della replica: la donna sostiene che Fortnite, nei termini e condizioni d’uso, richiede il consenso dei genitori nel caso in cui a giocare sia un minorenne. Questo consenso, nel caso in questione, non sarebbe stato dato.
Epic Games non potrebbe provare il danno subito
È proprio questo il punto successivo della risposta della madre di Caleb, il cheater chiamato in causa da Epic Games. Come abbiamo detto in precedenza, la modalità battle royale di Fortnite è completamente gratuita. Questo renderebbe il gioco un’esperienza free-to-play. Ebbene, come si potrebbe causare un danno economico ad un gioco free-to-play? Il publisher dovrebbe, secondo la donna, procurarsi la documentazione che accerti consistenti perdite economiche conseguenti al comportamento scorretto del figlio. Va da sé che, come è facile intuire, non sarebbe per niente facile.
Per comprendere i punti successivi della replica del genitore, è necessario dare una spiegazione. I due cheater in questione utilizzavano un aimbot, che facilitava non poco le loro uccisioni. Questo aimbot poteva essere attraverso il provider AddictedCheats.net. Va da sé che, ovviamente, il bot in questione andava a modificare il codice di gioco di Fortnite, causando una violazione dell’EULA (End-User License Agreement). Ebbene, la madre afferma che Epic Games starebbe utilizzando suo figlio come capro espiatorio, mentre invece dovrebbe, secondo lei, perseguire il sito che ha creato e che distribuisce l’aimbot per barare.
Inoltre, a differenza di quanto affermato dal publisher americano, Caleb non sarebbe in alcun modo autore del software illegale, ma ne sarebbe soltanto un utente. In parole povere, il cheater non avrebbe modificato il codice di gioco di sua iniziativa, ma si sarebbe soltanto limitato a mettere in download ed usare qualcosa creato da altre persone.
In ultima analisi, come detto anche in precedenza, Caleb ha 14 anni. Il genitore afferma che Epic Games, rivelando pubblicamente il nome del figlio nel momento in cui ha iniziato la causa, avrebbe violato le leggi dello Stato del Delaware, rivelando dei dati personali di un minorenne. È possibile, però, affermare che il publisher non conoscesse l’età del cheater in questione, se non nel momento in cui lo ha chiamato in giudizio.
Per Epic Games il cheating è una questione seria
Come abbiamo detto in precedenza, i cheater possono causare danni non da poco alle community di un gioco. Gli aimbot in questione, venivano scaricati per favorire le uccisioni di chi li utilizzava. Sono molti gli streamer che utilizzano questi mezzucci, per poi vantarsi delle kill realizzate, spettacolari quanto farlocche. Inutile dire che i bot in questione non vengono forniti gratuitamente, ma costano da 5 ai 15 dollari al mese.
Per tutelare la community di Fortnite, Epic Games ha deciso di intervenire direttamente, citando due cheater in giudizio. Ecco le dichiarazioni rilasciate dal publisher statunitense.
“Questa particolare causa è sorta a seguito del fatto che il convenuto ha presentato un controreclamo al DMCA relativamente ad un avviso di rimozione su un video di YouTube, che esponeva e promuoveva cheat ed exploit su Fortnite Battle Royale. In queste circostanze, la legge richiede, in alternativo, l’archiviazione della denuncia o la prosecuzione della stessa.
Epic non è d’accordo con il continuo cheating e violazione del copyright da parte di chiunque, a qualsiasi età. Come affermato in precedenza, prendiamo il cheating in seria considerazione, e perseguiremo tutte le strade disponibili per assicurarci che i nostri giochi siano divertenti, giusti e competitivi per i giocatori.”
Restate sintonizzati per ulteriori sviluppi della questione che, siamo sicuri, non tarderanno ad arrivare.