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Dungeons and Dragons: Chronicles of Mystara – Recensione

C’era un’epoca in cui i marmocchi pacioccosi non avevano un accesso cosí capillare ai videogiochi. Erano i tempi in cui ci si doveva imbucare a casa dell’amico che aveva tutte le console per giocare all’ultimo Mario o a Sonic, oppure si doveva girare una cassetta in un registratore che il più delle volte funzionava solo se lo capovolgevi.
L’alternativa erano le sale-giochi: piccole enclavi nelle quali ci si poteva rifare gli occhi con giochi che sembravano bellissimi e anni luce avanti rispetto a quelli che si potevano giocare a casa o dall’amico sopra menzionato, ma che avevano il non secondario difetto di esaurire tutti gettoni e le monete da 200lire di cui si faceva faticosamente incetta nel corso dei mesi.
È proprio tra la metà degli anni ottanta e novanta che sono nati alcuni tra i titoli più iconici del decennio, tra cui, ad esempio, quel Golden Axe che ha tanto ha contribuito in termini di ispirazione ai protagonisti di questa review: Tower of Doom e Shadow of Mystara. Prodotti da Capcom sfruttando il nome di Dungeons & Dragons (sono infatti entrambi ambientati nello sterminato universo del celebre gioco di ruolo) questi due hack’n’slash hanno fatto la storia dei loro tempi, e sono ancora oggi considerati due tra i migliori, se non i migliori in senso assoluto, esponenti del genere. A rendere cosí vivido il loro ricordo concorrono fondamentalmente due fattori: il primo è che Giappone a parte non sono mai arrivati al di fuori del circuito arcade, e il secondo è che il contorno costruito intorno alla meccanica principale, cioè quella dell’action a scorrimento orizzontale, era di un livello e uno spessore che difficilmente si trovava nei competitor.
I due titoli infatti, avevano (hanno) un’infrastruttura da gioco di ruolo che li ha sempre elevati rispetto alla massa, con tanto di classi, razze, oggetti e abilità specifiche, che se ora possono far sorridere non erano per nulla scontate tra il 1993 e il 1996, anno di uscita dei due titoli. Grazie a Capcom e a questa riedizione speciale uscita in digital delivery per PC e per le console HD (Wii U compreso), possiamo ora fare un tuffo nel passato e ricordare i fumosi periodi delle sale giochi, con il vantaggio che il divano di casa è certamente più comodo.
Inutile dire che produzioni del titolo vanno valutate principalmente con occhio nostalgico, perché, per forza di cose, gli standard a cui siamo abituati ora sono radicalmente cambiati, ma nonostante questo i due titoli Capcom sono invecchiati incredibilmente bene, offrendo anche vent’anni dopo un certo valore ludico.
Il gameplay è quello classico che ha fatto la fortuna delle software house di quell’epoca e la sfortuna dei giocatori occasionali che ci investivano la paghetta, e si configura come il classico picchiaduro a scorrimento orizzontale (affrontabile anche in co-op online) nel quale si deve avanzare uccidendo tutti i nemici in vista del consueto boss finale. Ogni classe come dicevamo ha le sue abilità peculiari, che spaziano da attacchi particolarmente potenti alla possibilità di lanciarsi una cura ogni tanto (per gli altri ci saranno le pozioni da acquistare tra un livello e l’altro). La mappatura dei tasti rimane federe alla configurazione originale, con i 4 comandi principali (nonchè gli unici) posizionati sui tasti frontali che si smazzeranno tutto il lavoro.
Da questo punto di vista non sarebbe guastato un certo restyling, visto che i margini per migliorare un sistema che include anche la raccolta degli oggetti, la parata e gli incantesimi (su praticamente due tasti) c’erano tutti. Parliamo di entrambi i giochi come di un’unica entità non perchè non abbiano differenze, ma per il semplice fatto che sono talmente simili da poter essere tranquillamente giudicati singolarmente (dopo vent’anni, oltretutto), ma è evidente quanto il secondo capitolo della collection sia la vera star della festa.

Come dicevamo poc’anzi però, ed è inutile girarci tanto intorno, ciò che da realmente valore a questa produzione è proprio l’effetto nostalgia, visto che in ogni caso il tipo di gioco è, per quanto valido, in ogni caso datato. La conversione Capcom, sotto questo punto di vista, rende perfettamente gloria ai titoli originali, con un porting in HD ben realizzato (con il classico “effetto scia” ridotto al minimo e tutta una serie di nuove visuali (da quella 16:9 a quelle incorniciate) e artwork aggiuntivi che faranno sicuramente la gioia dei fan e dei videogiocatori più attempati, quelli per intenderci che si ricordano ancora come fosse l’esperienza originale su cabinato.

Conclusioni
Chronicles of Mystara è un atto d’amore che Capcom ha deciso di fare verso i suoi fan di più lunga data, che ha il non secondario pregio di poter permettere a tutti di godere di due tra i coin-op più apprezzati e meglio realizzati di tutti i tempi. La conversione è di pregevole fattura, cosí come è ottima la quantità di extra, goodies e piccole chicche che non faranno pentire tutti gli acquirenti. Certo, i più giovani, o chi non è cosí appassionato di retrogaming, potrebbe avere qualche resistenza, ma il nostro consiglio è quello di giocarci senza pregiudizi di sorta e tenere sempre a mente che a metà degli novanta questo era il meglio che l’industria potesse offrire.

This post was published on 11 Ottobre 2013 23:15

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