Fra gli appassionati del survival horror, saranno molti gli utenti che ricorderanno e avranno giocato almeno un capitolo della saga di Frictional Games, Penumbra. Oppure, il primo capitolo di Amnesia The Dark Descent che tanto aveva fatto soffrire flotte di appassionati horror, con un prodotto ben più valido di tante altre produzione dal nome grosso. Il primo Amnesia è del 2010 e dopo il successo di giocatori e critica, Frictional Games decide di darsi da fare con un secondo capitolo, intitolato A Machine for Pigs. Purtroppo, il nuovo capitolo di Amnesia non è stato sviluppato pienamente dai Frictional Games ma da una nuova conoscenza che ha stupito il mondo con Dear Esther, The Chinese Room. Il risultato di questa unione? Scopriamolo insieme.
ORRORE O TERRORE?
Un buon survival horror che si rispetti deve avere, per me, tre semplici meccaniche: spaventare il giocatore sapientemente e quando meno ce lo si aspetta. Derivato dalla prima meccanica, non annoiare con meccaniche scontate e infine, far provare al giocatore la sofferenza che in ogni istante, si può morire, non solo di paura ma anche per il nefasto game over. Ecco, il problema vero di questo nuovo capitolo di Amnesia è che perde colpi su tutte e tre le meccaniche: risultando si un gioco horror, ma non nel senso stretto del termine, diciamo più di terrore e sicuramente poco survival. L’essenza di A Machine for Pigs ruota principalmente su un gameplay privo di mordente e estremamente comandato, senza libertà d’azione e scelte di programmazione che sembrano derivare da meccaniche il meno affini possibili con il genere del survival horror.
La storia, manco a dirlo, nasce sempre dal presupposto che il personaggio principale si ritrova senza memoria, all’interno di una storia da incubo in cui tutto può essere frainteso. Chi siamo, cosa sta succedendo, perché devo fare simili scelte e via di questo passo, sono tutte domande che ci faremo nella prima mezz’ora del gioco e continueremo a porcele quasi fino alla fine. Il tutto, poco sapientemente pilotato dalla scelta dei programmatori che non lasciano enorme spazio di manovra al giocatore. Intendiamoci, gli schemi del gioco sono molto grandi e esplorabili nel bene o nel male, abbastanza liberamente, ma la direzione da seguire è sempre una sola. Che non sarebbe neanche un male se non fosse che la quasi totale assenza di un gameplay di sopravvivenza, rende il tutto, ironicamente parlando, un gran mortorio. Nei survival horror si deve sentire il pericolo costante di una presenza ostile o più presenze che bramano la nostra morte, è una regola semplicissima che però rende davvero credibile una situazione di orrore (vedere Outlast), qui questa messa in scena non avviene e il tutto passa accanto a ore di esplorazione e esecuzioni di enigmi dalla semplicità imbarazzante. Senza contare in ultimo, una delle interazioni più scarse che mi sia mai capitato di provare. Questo rende ancora più opulenta l’esperienza a schermo.
Ma non tutto è totalmente perduto, difatti una volta che incontrano le prime creature da cui fuggire, (nostra sola capacità di difesa) qualcosa nel nostro cuore inizierà a sobbalzare, ma anche qui il tutto sembra privo di mordente e ci si perde in due grossi problemi: una intelligenza a dir poco penosa per il comportamento dei nemici e un numero ridotto di questi ultimi che grazie a degli schemi studiati appositamente per la fuga, si lasceranno quasi subito alle spalle, salvandoci la pellaccia. Nel malaugurato caso che invece si vada in dipartita, non preoccupatevi, i respawn del giocatore avvengono sempre abbastanza vicini al luogo della morte.
RIDATECI AMNESIA
Come si evince dalle cose scritte, questo capitolo di Amnesia non mi ha convinto per nulla, sia per quanto riguarda la struttura di base del gioco, poco innovativa rispetto al capitolo precedente ma anche smorzata su toni decisamente meno survival horror. Anche nel comparto tecnico, questo capitolo trova grossi problemi con una modellazione generale che tutto sommato si lascia guardare, ma che poteva essere sviluppata decisamente meglio. Diciamo che il compitino a casa è stato fatto con bontà d’animo ma la resa generale non stupisce per nulla. Restano decisamente buone l’utilizzo delle luci e delle ombre ma anche qui, in giro s’è visto di meglio. Idem per la componente audio, tutto molto sufficiente…e qui ci si aspettava, decisamente, davvero molto di più dalla produzione.
Amnesia A Machine for Pigs non riesce a decollare pienamente e si scontra, con estrema durezza, soprattutto con il precedente capitolo, The Dark Descent più che con altri survival in circolazione. Non siamo neanche dalle parti del survival horror più spaventoso e inquietante, a dirla tutta. E ci si perde in otto ore di gioco che potevano essere largamente evitate dato che la noia, sopraggiungerà dopo appena la metà del tempo. Senza grandi colpi di scena o un gameplay memorabile, il tutto si perde nei meandri dell’esperienza poco marcata. Un vero peccato.