Un viaggio piacevole in autostrada fiancheggiando la costa campana e una passeggiata tra le stradine di montagna mi hanno condotto alla prima edizione del Giffoni Good Games 2023, una nuova fiera a tema gaming creata da una costola del celebre Giffoni Film Festival, organizzata proprio da Giffoni Innovation Hub e Giffoni Experience con il patrocinio del comune di Giffoni Valle Piana (trovate qui un report della fiera). Tra le tante attività, di cui ho descritto nel dettaglio un report nei giorni scorsi, sono riuscito a incontrare e intervistare Jean-Luc Sala, Art Director di Assassin’s Creed Mirage.
Jean-Luc Sala era uno dei tanti ospiti di lusso invitati a Giffoni, invitato in primo luogo per parlare di Assassin’s Creed Mirage, nuovo gioco della saga degli assassini in arrivo il prossimo 12 ottobre 2023 che promette ai giocatori di tornare alle origini del concept di gioco, lontano dai fasti e dalle vastità degli ultimi capitoli Origins, Odyssey e Valhalla. Ma Jean-Luc Sala era qui anche per condividere la sua esperienza nella promulgazione del “Manifesto del Good Gaming“, una linea di principi e valori che Giffoni vorrebbe mantenere lungo la sua missione negli anni.
Jean-Luc Sala ha avuto una carriera eclettica ed è arrivato a diventare Art Director di Mirage dopo aver trattato paleoarte, storyboarding, concept art per Star Trek, scrittura e sceneggiatura per fumetti Marvel, progetti di storytelling con tecnologie sperimentali, e tanto altro. Inoltre, Jean-Luc Sala è stato insegnante per 11 anni di numerose discipline come Storia dell’Animazione, Narrazione Visuale, Storyboarding, e Pittura Concettuale.
Mentre scortavano me e la mia compagna di avventure Hoshibyte nelle aree della fiera, mi sono ritrovato all’improvviso con Jean-Luc Sala nell’ampia sala del Creator District, seduti su dei pouf al caldo sole di Giffoni che filtrava da una grossa vetrata affacciata sulle montagne. Prima di passare alla nostra chiacchierata rilassante, nel prossimo paragrafo è riassunta un po’ anche l’esperienza del panel dell’autore riguardo Assassin’s Creed Mirage.
Il peso dell’esperienza di Jean-Luc Sala si è sentito soprattutto nel panel dedicato alla narrazione visiva mitologica, dove l’artista ha discusso del progetto di Assassin’s Creed Mirage e in generale delle scelte che si fanno per cercare di raccontare una storia anche attraverso le immagini. La discussione, moderata da Il Rinoceronte (Daniele Daccò) e Kafkanya, si è incentrata soprattutto sulla relazione tra fantasia e accuratezza storica, e sul ruolo della struttura del Viaggio dell’Eroe, un modo di raccontare storie che è riscontrabile nella natura umana fin dagli antichi greci e che è sfruttatissimo in libri, film e videogiochi.
Come Art Director, Jean-Luc Sala ha spiegato che il suo lavoro è quello di indicare la direzione del gioco nel momento in cui si inizia a svilupparlo. Questo accade soprattutto tramite le immagini e le concept art, dove si cerca di modellare l’impressione generale del gioco su cui gli sviluppatori si muoveranno. Nel panel è stata presa come esempio l’immagine mostrata in basso dietro lo schermo, un panorama davvero evocativo.
Peccato che, come spiegato da Jean-Luc Sala, quell’immagine fosse impropria e non accurata. Quando lui e il team di sviluppo sono andati a studiare l’ambientazione infatti si sono accorti che quell’immagine era gremita di cliché sul mondo arabo. Questo processo ha continuato ad andare avanti, immagine dopo immagine, fino a cercare di avere dei buoni compromessi tra fantasia e autenticità.
Un esempio di questo buon compromesso è stato fatto con le spade. Per i cliché della nostra cultura contemporanea, nel mondo arabo ci sono le scimitarre; tuttavia, nel periodo storico in cui è ambientato Assassin’s Creed Mirage, non esistevano ancora. Per questo motivo si è scelta la via del compromesso: alcuni personaggi particolari e iconici hanno delle spade a metà tra scimitarra e normale spada dritta, visto che nei videogiochi c’è sempre bisogno di rendere riconoscibili alcuni elementi di gioco.
Per quel che riguarda la struttura narrativa del Viaggio dell’Eroe e degli archetipi dei personaggi che ricorrono in ogni storia fin dalle mitologie antiche, qui la discussione si è spostata proprio sul compromesso da cercare nel rispettare la struttura e contemporaneamente cercare di sovvertirla per sorprendere i giocatori.
Infine Jean-Luc Sala ha anche raccontato di come sia nato Assassin’s Creed Mirage: inizialmente doveva essere un DLC di Assassin’s Creed Valhalla ambientato in Irlanda, ma nel buttare giù le idee tutti si sono convinti che questa non poteva essere una semplice espansione, e che inoltre bisognava riportare gli assassini proprio lì dove tutto era cominciato, in Medio Oriente.
Nella tua carriera ci sono fumetti, videogiochi, nuove tecnologie… qual è il tuo mezzo preferito per raccontare una storia, e perché?
Onestamente non ho un mezzo preferito. Ci sono però differenze. Forse scrivere per i fumetti è stata l’esperienza migliore, perché nessuno mi poneva dei paletti ed ero completamente libero. Quella dei fumetti è un’industria economica, a nessuno importava davvero nulla se non che facessi un buon lavoro, quindi mi lasciavano fare ciò che volevo. Eventualmente poi si lamentano solo se ci sono poche vendite.
Coi videogiochi invece è tutt’altra storia, si tratta di progetti multi-milionari, c’è molta più pressione e ci sono davvero tante persone al lavoro. Per me la pressione che si prova per progetti del genere è data dal fatto che diventi responsabile di un vasto pubblico su scala globale. Non è come per i fumetti dove il rapporto con i fan è più intimo grazie a festival e meeting.
Credo che ormai i videogiochi abbiano superato di gran lunga l’industria dei film, oltre a essere molto meno lineari come racconti. Ma nei videogiochi ci sono anche più compiti da rispettare per me: per esempio in Assassin’s Creed devi sì intrattenere con il racconto, ma devi rispettare l’accuratezza storica, devi sorprendere il giocatore con un po’ di esperimenti.
Per tutti questi motivi raccontare storie con i videogiochi è sicuramente più difficile… ma proprio per questo è anche più stimolante. Per un fumetto poi servono giusto due persone: un artista e uno scrittore. I videogiochi sono un’esperienza produttiva collettiva, e bisogna comprendere che più il gioco è grande nelle sue ambizioni, più il team deve essere enorme. È differente, ma la sfida è anche in questo.
Nel tuo passato hai avuto anche una breve esperienza ad Asobo per progettare un gioco sperimentale utilizzando le Hololens di Microsoft. Quali furono le sfide dell’epoca? Ma soprattutto, oggi che il mondo sta impazzendo per VR e AR, lavoreresti di nuovo a esperienze simili?
Oh beh, di certo ora il mondo è differente. I vecchi prototipi dell’epoca erano abbastanza deludenti a dirla tutta. Il campo visivo delle Hololens era molto ristretto, soprattutto in verticalità. Se per esempio volevi creare un personaggio e volevi farlo apparire in una stanza, dovevi inquadrarlo da molto lontano altrimenti potevi solo vedere una frazione del suo corpo: la faccia, le ginocchia, e così via… Bisognava davvero essere molto lontani ma, insomma, non tutti possono avere a disposizione grandi stanze.
Era davvero frustrante e complicato avere a che fare con quei device, anche se all’epoca era un po’ un sogno poter lavorare a quelle che erano tecnologie futuristiche. Avevamo provato a realizzare personaggi olografici più piccoli, potevano girarsi e parlare, e così avevo scritto un progetto che cercava di dimostrare come raccontare una storia attraverso queste tecnologie. Fu un’avventura per me, ma non era proprio il mio modo ideale per raccontare una storia.
Inoltre considero i videogiochi come un mezzo di evasione, si gioca ai giochi per essere in un altro mondo, per vivere un’altra vita, e non per essere nella tua stanza. A quel tempo della mia vita quelle tecnologie non erano adeguate, era tutto pensato in piccolo, tutto molto sperimentale. Adesso invece è una storia differente.
Onestamente ora sono più interessato alla Realtà Virtuale che a ologrammi o alla Realtà Aumentata. Sono intrigato dal nuovo Apple Vision Pro che permette di passare da una situazione AR a una completamente VR. Credo sia una soluzione efficace, anche se non è proprio alla portata del portafoglio di tutti come un po’ tutte queste tecnologie. Voglio dire, anche pensando al PSVR2, quella è una tecnologia che costa quanto la stessa console su cui funziona.
Diciamo che sono molto curioso verso il futuro prossimo di queste tecnologie. Se sei davvero appassionato di videogiochi, il VR è un’opzione da aggiungere al tuo hobby. Sono abbastanza sicuro che nel vicino futuro, magari già nella prossima generazione VR, potrebbe arrivare qualcosa che possa funzionare con più efficacia… e che non sia una maschera.
Detto questo, per quel che riguarda il VR attualmente sono molto interessato alle simulazioni. Per esempio, i combattimenti con la spada, i viaggi in astronave… esperienze del genere. Se devo guardare al futuro di questa tecnologia, lo faccio dalla prospettiva di questi tipi di esperienze.
Puoi raccontarci come si diventa Art Director di Assassin’s Creed Mirage?
Provo a fartela breve: 20 anni fa lavoravo nei videogiochi e uno dei miei Junior Artist, Raphael Lacoste, decise di andare in Canada. Scrissi per lui una cover letter – una lettera di presentazione – a Ubisoft e poco dopo diventò Art Director di Assassin’s Creed… Di molti Assassin’s Creed, quasi tutti.
Passano gli anni e succede che Ubisoft stava aprendo un nuovo studio a Bordeaux, in Francia, dove io insegnavo. Contemporaneamente Raphael Lacoste aveva lasciato il suo ruolo di Art Director, e un po’ restituendomi il “favore” disse a Ubisoft di non guardare troppo lontano per sostituirlo, ma giusto due strade più in là: fece il mio nome.
Conoscevo anche parte del team perché avevo già lavorato con loro e quindi… sì, eccomi. Il nostro primo colloquio fu particolare perché successe proprio durante la pandemia. Di solito, quando sei nel processo di accettare un nuovo lavoro in questa industria, si incontrano singolarmente i capi dei reparti, prima uno, poi l’altro, colloquio dopo colloquio. Ma dato che era un periodo particolare incontrai tutti insieme allo stesso momento. Un sacco di persone per me!
Così ho raccontato loro cosa volevo fare, cosa mi piaceva fare, cosa invece non mi piaceva fare, e cosa credevo si dovesse fare ma non sapevo come farlo. Era il lavoro dei sogni per me, ma bisogna sempre essere onesti e mettersi dei paletti. E niente, poco dopo per tutti ero dentro. Diciamo che mi ha aiutato anche parte del mio background, perché ho vissuto in Iran, e siccome il nuovo Assassin’s Creed doveva essere ambientato proprio in Medio Oriente avere questo tipo di conoscenza nel posto di lavoro era sicuramente un plus.
Cosa dobbiamo aspettarci quindi dalla tua direzione artistica in Assassin’s Creed Mirage?
Come sicuramente potrete notare da trailer e dev-diary, dovreste aspettarvi il ritorno di Assassin’s Creed alle sue radici. Tutti ricorderete che il primo gioco di Assassin’s Creed è iniziato proprio nel Medio Oriente, in un ambiente bello soleggiato, un piccolo mondo compatto e circoscritto ma con viste e panorami mozzafiato, proprio come qui a Giffoni, lontano dagli open world vasti e sconfinati degli ultimi giochi.
Questo era parte del DNA di Assassin’s Creed, e potete aspettarvi di tornare a questa atmosfera. Origins, Odyssey e Valhalla sono stati giochi formidabili ma erano diventati molto grandi, e tanti giocatori non sono riusciti neanche a finirli, per questo abbiamo stabilito che sarebbe stato bello dare uno sguardo al passato di questa saga, di riportare indietro gli assassini in Assassin’s Creed.
Quindi l’abbandono della formula open world è stata messa fin da subito sul piano di discussione?
Sì, abbandonarla è stato un accordo comune tra tutti. E non era solo una questione di preferenze, ma anche di contingenze: Ubisoft Bordeaux è un piccolo studio, nonostante siamo supportati da tutto l’ecosistema di studi Ubisoft sparsi nel mondo. Uno studio così piccolo non può assolutamente permettersi giochi di dimensioni estese. E poi volevamo concentrarci davvero tanto sulle radici di Assassin’s Creed: solo assassinii, parkour e stealth. Solo l’essenza primaria di Assassin’s Creed.
Abbiamo messo da parte l’esplorazione e la scoperta di nuovi mondi perché crediamo che concentrarsi su un’unica grande città era anche qualcosa che mancava da diversi capitoli. Per noi Assassin’s Creed Mirage doveva essere così fin dall’inizio.
Ciò ovviamente non vuol dire che io non apprezzi le esperienze di Origins, Odyssey e Valhalla, ma diciamo che io come tante altre persone sentivamo il bisogno di tornare un po’ anche a una dimensione più contenuta e familiare. Credo che Mirage farà proprio tanto piacere ai fan di vecchia data, a giudicare dai feedback che riceviamo da loro costantemente. Li vediamo che sono davvero entusiasti di tornare alle radici del gioco.
Un’ultima domanda. Cosa suggeriresti ai giovani che vogliono percorrere la tua stessa carriera?
La prima cosa è studiare e imparare. Bisogna però tenere a mente che quella del gaming è un’industria davvero gigante, e al suo interno ci sono tante piccole cose limitate da fare. Sono stato insegnante in scuole di Animazione e Videogiochi per molti anni, e la prima cosa che ho sempre chiesto ai miei studenti è stata “Chi vuole diventare un Character Designer?“. Ovviamente quasi tutti alzavano la mano.
Spiegavo loro che ovviamente tra tutti probabilmente solo uno sarebbe diventato Character Designer, mentre tutti gli altri sarebbero finiti in altri posti al di sotto della piramide per svolgere altri ruoli, magari per produrre proprio gli asset di cui il Character Designer ha bisogno.
Bisogna imparare a trovare il proprio posto e il proprio ruolo nell’industria, che non è fatta solo di Character Designer, ma di tanti altri piccoli posti in questa grande piramide. Quindi, sì, cercate soprattutto di trovare qualcosa che vi valorizzi al meglio, siate sempre curiosi, giocate a tanti videogiochi, andate fuori all’aria aperta a passeggiare, guardate film, andate ai musei… Più cose imparerete, più materiale avrete per le vostre ispirazioni.
This post was published on 8 Luglio 2023 19:00
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