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Interviste

Di botte, sudore e community: #Interview a Geecko

Nel mondo videoludico, tante sono le categorie in cui si possono incasellare i videogiocatori. La prima e forse più ravvisabile, è data dalla differenza tra giocatore casual e non. 
Il casual, per definizione, è un videogiocatore che, tendenzialmente, non approfondisce il medium e si limita a giocare o ad approfondire in maniera settoriale determinati aspetti o generi videoludici.

Spesso si usa il termine casual per schernire un giocatore, altre volte, semplicemente, ci si rende conto di quanto nulla di sbagliato ci sia nel giocare casual. 
Ed è interessante approfondire cosa giochi un casual e cosa lo affascini in un’esperienza videoludica.

Picchiaduro e fruizione

Proprio da quest’ultima domanda vogliamo partire per parlare di una categoria di videogiochi che fa sempre più fatica di altri ad emergere nelle discussioni online e non: quella dei picchiaduro.
Questo genere ha visto il suo picco di popolarità durante l’era arcade, intorno agli anni ottanta e novanta, calando di popolarità nei decenni successive.
Molte sono le possibili motivazioni ma una su tutte è quella della difficoltà: con una curva di apprendimento ostica ed una variazione nei gusti dei giocatori i picchiaduro hanno fatto più fatica di altri generi ad uscire da quel momento storico.

Molto spesso nei picchiaduro la curva di apprendimento è molto impervia, andando a scoraggiare eventuali nuovi giocatori. Per quanto esista sempre un fattore casuale, è importante cercare di capire quali siano le caratteristiche che separano un gioco competitivo da uno destinato ad un pubblico casual. Quali sono gli elementi che separano un picchiaduro da esport da uno più d’intrattenimento?

Questa ed altre domande le abbiamo poste a Leandro Vilardo, in arte Geecko.
Siciliano di ventisette anni, dopo aver transitato per un paio d’anni nel team Mkers, è diventato un pilastro della community italiana di Street Fighter V in seguito alla vittoria del qualifier italiano del Red Bull Kumite nel 2018. Leandro rappresenta l’Italia in varie competizioni in giro per l’Europa ed il mondo.

Ad oggi Geecko è uno dei più forti giocatori italiani di SFV, uno di quelli capaci di creare attorno a sé una community sempre più grande ed appassionata con giocatori provenienti anche da altri brand legati al mondo del picchiaduro.

Se volete scoprire come gioca un campione, passate a fargli visita sul suo canale Twitch.

Il punto di vista del campione

Nell’intervista che segue abbiamo chiesto a Geecko di darci il suo punto di vista sul mercato videoludico dei picchiaduro, sui suoi meriti e le sue criticità; non nascondiamo che, in fondo, alla fine dell’intervista speriamo di avere qualche lettore interessato ad interagire con questo mondo sempre tristemente ignorato.

Cammy, personaggio presente in Street Fighter

D:Ciao Geecko, ci spieghi chi sei e che ruolo hai nella community?

R: Sono Leandro Vilardo, in arte Geecko. Gioco a Street Fighter V dalla sua uscita nel 2016. La perseveranza con cui io ed altri amici lo abbiamo affrontato ci ha permesso di mettere su una bella ed affiatata community di appassionati. Al momento, siamo tutti riuniti su di un canale Discord (Fighters Networkl Italia) che conta circa mille partecipanti. Ho cercato di mantenere viva la community partecipando ad ogni evento legato a questo mondo, che fosse organizzato proprio da ragazzi di questo canale o da esterni, come ad esempio Red Bull. Proprio ad un evento Red Bull (Red Bull Kumite- N.d.R) ho iniziato a farmi conoscere come pro-player. Da lì in poi, ho vinto parecchi tornei e fatta tanta esperienza in tornei europei. Diciamo che sono quindi conosciuto sia come membro della community grazie alla mia perenne attività sul canale Discord, sia come competitor.

D: Come ti sei avvicinato a SFV? Era la tua prima esperienza coi picchiaduro?

R: Come esperienze pregresse avevo quelle che molti miei coetanei, cresciuti tra fine anni novanta ed inizio duemila, hanno avuto: parlando di cabinati, molti avranno giocato Street Fighter II ad esempio o, nel caso di giocatori su console, impossibile non ricordare Tekken 3. Certo, non giocavamo in maniera chissà quanto oculata. Era più un premere tasti a caso, nella ricerca della combo più forte. Non c’era logica, era puro divertimento e non studiavamo il combat system. Mi sono avvicinato a SFV un po’ a caso: l’ho notato in bacheca, su Steam e memore delle ore, tante, trascorse dietro a SFII e a quelle, poche, su SFIV, decisi di prenderlo a prezzo pieno. Non lo presi sicuramente con l’intento di diventare un pro. Il gioco riuscì però a conquistarmi, grazie ad alcune sue caratteristiche:

  • la difficoltà nell’esecuzione di mosse e combo che in altri giochi sarebbero state possibili con combinazioni di tasti molto meno complesse;
  • la soddisfazione che dava l’esser riuscito a “masterare” una mossa, dopo ore ed ore di allenamento.
  • il fattore 1v1: quando si è persone dall’indole competitiva, l’uno contro uno affascina sempre come dinamica.

Il fattore ‘allenamento’ in particolare, fu per me unico. Come molti, nella mia vita ho avuto a che fare con giochi come FIFA o i vari CoD e, nonostante anche lì esista il fattore competizione, nessuno mi aveva mai fatto sentire il bisogno di studiarlo né mi aveva dato soddisfazione nelle vittorie o nei miglioramenti.

Leandro “Geecko” Vialrdo

D: Abbiamo parlato di community. Come siete riusciti, in concreto, a farla crescere negli anni?

R: La prima cosa da fare è curare l’aspetto umano. Cerchiamo infatti, di essere molto cordiali, specialmente con i novizi; quando una persona decide di approcciarsi per la prima volta al gioco e passa dalla nostra community, cerchiamo di fornirgli un giusto approccio d’entrata tramite video tutorial realizzati da noi e reperibili su YouTube. Poi, ovviamente, giochiamo il più possibile insieme. Non c’è presa in giro nella sconfitta, tuttalpiù cerchiamo di insegnare che da una sconfitta si possono apprendere cose nuove che ci permettono di migliorare. Se loro si sentono invogliati a continuare, la community continuerà a crescere. Come iniziative di community, organizziamo dei mini tornei bisettimanali online competitivi o incontri settimanali in cui ci divertiamo in match d’esibizione, interviste e qualsiasi cosa permetta anche di divertirci con più leggerezza.

D: Qual è la situazione dei picchiaduro a livello di investimento dell’industria?

R: Tutto ciò che ruota attorno al picchiaduro è ancora molto indietro rispetto ad altre realtà, specialmente lato eSport. È un discorso tutto consequenziale: i picchiaduro hanno meno giocatori di altri giochi, che comporta che meno sponsor decidono di investirci, che comporta che meno gente organizza tornei in quanto mancano fondi alla base. Siamo sicuramente un passo indietro. Certo, nei giochi di punta come Tekken 7, Street Fighter V o Guilty Gear-STRIVE- qualche soldo in più gira.

L’unico vero grosso investitore che ha visto nei picchiaduro delle potenzialità è RedBull che, proprio di questi tre titoli (vedi paragrafo precedente) ha organizzato svariati tornei. Certo, le iniziative di Red Bull erano tante soprattutto nei periodi subito successivi all’uscita dei tre giochi. Per SFV ad esempio, a distanza di anni, gli unici ad organizzare tornei sul gioco sono proprio i ragazzi di Capcom (casa di sviluppo di SFV N.d.R.). Il covid ha rappresentato la sospensione di qualsiasi tipo di torneo o competizione.

La speranza di noi giocatori ed appassionati sta tutta nell’uscita di nuovi titoli, in particolare Street Fighter VI e Tekken 8 che stanno cercando di cambiare un po’ le carte in tavola.

Logo del Capcom Pro Tour

Una percezione, un po’ provocatoria, che si ha del mondo dei picchiaduro è che la formula, ormai consolidata negli anni ottanta e novanta, non sia evoluta più di tanto

Cambiamenti importanti sono stati quelli dal punto di vista grafico che, anche mantenendo le due o, a volte, tre dimensioni, ha fatto enormi passi avanti dal punto di vista dell’art design. Un cambiamento che vedo presente è nelle semplificazioni: spesso i picchiaduro più datati, hanno input estremamente macchinosi che risultano totalmente fuori luogo nei giochi moderni. Oramai, tutte le azioni basilari o anche leggermente più strutturate, hanno un alto grado di accessibilità.

È vero, c’è la percezione che il gioco non evolva ma tante sono le nuove meccaniche che od ogni grande uscita vengono aggiunte, anche solo per rendere tutto più spettacolare ed appagante visivamente, cercando di “acchiappare l’occhio”.

Altri cambiamenti, sicuramente non influenti solo nei picchiaduro, sono i dlc estetici, le varie skin acquistabili, stage nuovi, season pass, modalità extra ecc. Alla fin fine però è innegabile che il gioco sia molto simile a com’era una volta, nella sua strutta base per lo meno.

Cosa dovrebbe fare un software house per far avvicinare più gente al mondo dei picchiaduro? Quale software house secondo te ci è riuscita meglio?

C’è prima da ragionare sul tipo di utenza che si vuole raggiungere; se si punta ad un’utenza casual bisogna creare un gioco con modalità offline, una modalità storia ad esempio, con una forte componente di personalizzazione del personaggio. In sostanza, intercettare tutto ciò che può interessare all’utenza casual e farcire il gioco con tante e diverse modalità di gioco in grado di offrire varietà.
Da questo punto di vista, chi è riuscito ad avvicinarsi più al mondo casual, penso sia stata Midway Games e dal 2011, NetherRealm Studios con Mortal Kombat: i vari titoli della saga presentano tantissime modalità di gioco ed una story mode diversa e più interessante rispetto ai suoi competitor.

Lato competitivo, c’è molto da lavorare sull’accessibilità non strettamente dei giochi quanto più della partecipazione dei giocatori: in passato, i picchiaduro, qualsiasi picchiaduro, veniva giocato offline e ciò rappresentava (e in parte rappresenta ancora) un grosso problema. Questo perché chi vuole avvicinarsi al competitivo deve necessariamente viaggiare e, purtroppo, viaggiare è un investimento che deve essere sostenuto dalle finanze del singolo giocatore.
Tutto ciò è anacronistico; ad oggi, per qualunque eSport, ci sono fasi di qualifica online e poi solo fasi finali da giocare offline. Migliorare sotto questo punto di vista, significa dare molto più spazio a giocatori che, anche non avendo soldi per viaggiare, possono comunque fare esperienza e migliorare.

È necessario, in ultima analisi, lavorare all’approcciabilità stessa del videogioco; se penso a Street Fighter V, è sicuramente il picchiaduro attuale con la difficoltà d’ingresso più drastica. Ciò che in Tekken riesci a fare con un tasto, qui necessita di allenamento.

Immagine di Mortal Kombat 11

Street Fighter ti ha permesso di viaggiare tanto. Hai visitato l’Europa, visto altre community e analizzato la gestione estera del competitivo. Qual è la situazione europea ed in particolare, quella italiana?

Un po’ in tutti i picchiaduro, Francia ed Inghilterra sono i paesi con le community più grandi. Ultimamente anche la Spagna sta tirando fuori gli artigli e stanno iniziando ad investire cifre importanti sul genere. Sono sicuro che della community spagnola ne sentiremo parlare all’uscita dei nuovi giochi (Street Fighter VI N.d.R.). Come impegno e percezione, l’Italia viene subito dopo la Spagna, insieme alla Germania. Non si può dire che siamo messi male.

Fuori dall’Europa? Praticamente non esistiamo.

Un tempo, l’Italia era sede dei Capcom Pro Tour, il torneo più importante di SF. Per vari problemi organizzativi, abbiamo però perso questo privilegio. Sono sicuramente messi meglio quelli di Tekken visto che in Italia abbiamo più giocatori ed organizzatori con più esperienza.

Con l’imminente uscita di SFVI cambiano le carte in tavola?

Spero sicuramente che si ottenga quella possibilità di partecipare a competizioni importanti, senza necessariamente avere un grosso sponsor alle spalle. Spero nel miglioramento del lato competitivo online, come avviene in tanti altri giochi. E magari, perché no, che vengano organizzato altre competizioni oltre al classico Capcom Pro Tour.

Hai visto nascere e crescere la community italiana di SFV. Cosa auspichi per tutte le community dei picchiaduro in italia?

Spero che in Italia si inizino a prendere più in considerazione questi giochi. La mancanza di considerazione, al momento, è però giusta e giustificata. Tutto starà alle case di sviluppo ed alla loro bravura nell’avvicinare nuovi giocatori. Coi giochi giusti e col giusto sostegno, auspico che anche in Italia possano nascere dei circuiti competitivi nazionali riconosciuti. Molte volte, nelle interviste, vengo presentato come “campione italiano” e mi sento molto a disagio ad essere definito campione, visto che non esiste ad oggi una competizione italiana ufficiale o un campionato.

Spero anche che qualche italiano riesca a fare bene all’estero, riuscendo magari a raggiungere piazzamenti importanti in tornei come l’EVO (Evolution Championship Series- N.d.R.)

Ryu e Ken in uno scontro in Street FIghter V

Ciò che emerge dall’intervista è una forte consapevolezza di quello che è il mercato dei picchiaduro in Italia. Un mercato fatto da appassionati e per appassionati, a cui approcciarsi è difficile. Le software hopuse hanno tante responsabilità e sicuramente, iniziative come quelle di Geecko e della sua community sono lodevoli. Ciò che è certo è che l’Italia, da qualche anno a questa parte, sta muovendo i primi passi d’avvicinamento ai grandi nomi del videogioco mondiale: tra la crescita della produzione videoludica made in italy e l’apertura al mondo con titoli che riescono a generare discussioni anche nelle community internazionali.

Che sia la volta buona anche per i picchiaduro?

This post was published on 13 Ottobre 2022 12:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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