Saturnalia è probabilmente uno dei giochi indie italiani più attesi del momento, e non solo dai nostri giocatori connazionali. Lo studio milanese Santa Ragione nel tempo si è guadagnato una certa fama internazionale, sostenuto da titoli audaci e sperimentali (Milky Way Prince – The Vampire Star, Wheels of Aurelia, MirrorMoon EP, Fotonica) che hanno guadagnato diverse nomination e altrettanti riconoscimenti nel corso degli anni.
Come potete leggere dalla nostra anteprima, l’ultima fatica di Santa Ragione è certamente un titolo ambizioso per lo studio, ma anche per lo stesso panorama creativo italiano. Sotto la sua maschera horror, Saturnalia racconta in maniera moderna alcune sfaccettature della nostra italianità, dipingendo una Sardegna folkloristica, cupa e sovrannaturale che raramente viene trasposta all’esterno dei nostri confini (forse anche all’interno).
Abbiamo raggiunto Pietro Righi Riva, game director di Saturnalia e studio director di Santa Ragione, proprio per discutere riguardo Saturnalia e il modus operandi del suo studio. Ne è venuta fuori una chiacchierata interessante su alcuni ambiti di gioco, sul suo sviluppo e in generale sul panorama italiano.
Ciao Pietro, ci puoi spiegare da dove è nata l’idea di ambientare un horror in Sardegna?
Pietro: La scelta dell’horror e della Sardegna sono decisioni che abbiamo preso quasi contemporaneamente.
Secondo me l’horror è un genere in cui gameplay e narrazione hanno una relazione molto forte, perché nell’esplorare, nello scappare, nello scoprire, nelle azioni che fai in gioco è già inclusa una componente narrativa. D’altra parte, a livello di mercato scegliere l’horror ci sembrava l’occasione per realizzare qualcosa di più grande usando un genere già prestabilito, invece di sperimentare a 360 gradi come abbiamo fatto finora.
L’ambientarlo in Sardegna è una decisione che ci è venuta quasi immediatamente, perché l’isola è un luogo che secondo noi si presta moltissimo all’horror data la sua sconfinata abbondanza di folklore, di stratificazioni di culture, di storie e di maschere. Inoltre, questa cosa non si era neanche quasi mai vista nei videogiochi, quindi ci sembrava anche un elemento identitario molto forte per Saturnalia, qualcosa che lo rendesse immediatamente riconoscibile.
Questo mi spinge a farti una domanda che avevo preparato per dopo: quella di raccontare l’Italia a livello di contenuti è proprio una vostra missione, vero? Come ben sai, la scena italiana non è al passo tecnologicamente parlando rispetto al resto del mondo, e almeno da quello che notiamo, ci sono case come Milestone, per esempio, che si concentrano su contenuti che sono di stampo già internazionale – non è una critica, anzi, sono solo modi di fare diversi
Pietro: È vero che case come Milestone o Kunos Simulazioni (Assetto Corsa) fanno “giochi internazionali“, ma c’è un legame anche tra i loro giochi e l’Italia: la passione per le auto e i motori è parte della nostra cultura, quindi non è che la loro “italianità” sia indifferente a un pubblico internazionale.
In Italia abbiamo tante realtà come noi che, semplicemente, fanno parte di una wave che sia nel cinema sia nei videogiochi contemporanei si fa portatrice di un’idea diffusa di autori che vogliono raccontare storie legate al territorio e alla propria cultura. Questo deriva sia da esigenze di sensibilità personale, sia da un senso di responsabilità: bisogna condividere le storie dei nostri genitori, dei nostri luoghi, perché se non le raccontiamo noi, chi le racconterà più? E poi c’è anche la pura curiosità nello scoprire e nel fare ricerca sulle nostre radici.
Noi ci chiamiamo Santa Ragione, non ci chiamiamo “SPACE OPERA ADVENTURERS“, per noi non aveva senso darsi un nome generico e un logo generico per fare videogiochi generici nell’ambito dei videogiochi di successo. Fin dall’inizio ci piaceva l’idea che ci fosse un’italianità nel nostro modo di fare design e di raccontare, quindi sì, la nostra è un po’ una missione, un po’ il nostro modo di essere.
A proposito di raccontare l’Italia, non è la prima volta che inserite sottotesti politici in un videogioco, anche se il vostro lavoro precedente, Wheels of Aurelia, era sicuramente più politico…
Pietro: In Wheels of Aurelia il tema politico era esplicito, il gioco usava dei dettagli della società e della cultura dell’Italia degli anni ’70 per portare il giocatore a riflettere sulla società e sulla politica di oggi. Era proprio l’idea centrale del gioco: la scusa delle storie di Wheels of Aurelia era far emergere questi specchi della società italiana dell’epoca, per incuriosire il giocatore con la relazione tra presente e passato.
Però questa relazione tra presente e passato la vedo anche qui in Saturnalia
Pietro: Certo, ma molto più sottile. Wheels of Aurelia se lo giochi devi per forza vivere la storia di quegli anni raccontata dai personaggi, altrimenti è solo un gioco in cui guidi una macchinina cercando di saltare i dialoghi per dodici minuti, poi c’è una canzone e i titoli di coda.
Saturnalia invece è un gioco di azione e investigazione horror dove, se vuoi e se ti interessa, se vuoi capire fino in fondo le motivazioni e il significato di ogni cosa nel gioco, puoi trovare lungo la tua strada qualche elemento che può suscitarti curiosità. Una lore nascosta, ma nascosta per modo di dire: c’è proprio tutto un filone di gioco che parla di eventi regolatori e di sindacati, che all’epoca aveva un significato e oggi ne ha un altro. Se vuoi approfondire questa cosa la approfondisci, se la vuoi ignorare la ignori.
Se la ignori chiaramente ti perdi qualche passaggio sulle motivazioni ultime di qualche sotto-trama, sull’origine degli eventi e così via. Ma è lo stesso anche per i film horror, no? C’è l’elemento sovrannaturale, il mostro che insegue i protagonisti, e così ti godi la storia e i jumpscare, però puoi anche riflettere sulle origini dell’elemento sovrannaturale, sulle ragioni, sulle motivazioni…
A proposito di mostri, come avete scelto quale mostro rappresentare e quale storia del folklore sardo portare in gioco?
Pietro: In realtà l’horror al centro di Saturnalia è completamente inventato, non è basato sul folklore originale. Certo, è ispirato a combinazioni di storie e alcune sotto-trame utilizzano riferimenti e simbologia riconducibile al folklore sardo, ma non abbiamo semplicemente adottato e trasformato questi elementi per riadattarli al nostro gioco.
Tutte le maschere, le tradizioni, i simboli del folklore hanno significati specifici e un valore spirituale per le persone di una data cultura. Per loro queste sono tradizioni che noi milanesi del cazzo non abbiamo il diritto di prendere, ritagliare e incollare per dire “ah sì, questo è cattivo“. Quella maschera lì, quel personaggio lì, quel costume lì, non rappresentano il male, il bene, quello che ci piace e che non ci piace. Per noi è stato fondamentale non attribuire comportamenti e significati a simboli e tradizioni che sono reali. Sarebbero stati inappropriati, inventati e distorti dal loro significato originale.
Anche Gravoi, il villaggio in cui si svolge il gioco, è un luogo immaginario, simile per storia e rappresentazione a tanti villaggi sardi grazie agli studi che abbiamo fatto sui luoghi reali, ma è un posto nuovo. Lo stesso metodo è applicato al folklore del gioco.
Ti confesso che sembra di essere davvero in un paesino sardo, ho avuto parecchi déjà-vu, sia negli esterni che negli interni. In passato mi sono sempre domandato perché le case sarde avessero tutte quelle scale a caso…
Pietro: Ti ringrazio, questo lavoro è tutta opera della nostra collaboratrice Marta Gabas, una scenografa che finora ha lavorato al teatro e non aveva mai fatto un videogioco in vita sua. Lei si è ispirata tanto all’architettura reale dei luoghi che abbiamo visto in Sardegna, ma anche all’espressionismo tedesco nel cinema e nel teatro con tutte quelle geometrie impossibili.
Ci ha aiutato molto la Fondazione Sardegna Film Commission che ci ha accompagnato per tutto il tempo della nostra visita sull’isola, facendoci vedere tanti luoghi interessanti. Abbiamo raccolto molto materiale di studio per cui c’è stata anche una ricostruzione realistica. Sono contento che ti dia la sensazione di trovarti davvero in un paesino sardo, nonostante sia un luogo immaginario. Era un po’ il feeling che volevamo ottenere.
Oltre alla scenografa, Santa Ragione ha preso in prestito anche altre figure fuori dal mondo dei videogiochi. Come mai queste partnership esterne?
Pietro: Santa Ragione usa da sempre questo metodo, la ricerca di collaborazioni fuori dal mondo dei videogiochi. Per evitare di riciclare sempre le stesse idee, le stesse dinamiche e gli stessi contenuti, abbiamo sempre pensato che per risolvere questo problema in maniera netta dovevamo cercare creativi che avessero poco a che fare con i videogiochi, così da assorbirne i riferimenti culturali, le conoscenze e le sensazioni artistiche.
Oltre all’art direction influenzata dall’espressionismo tedesco, ci sono alcuni elementi di gioco in Saturnalia che, per esempio, prendono spunto dai giochi da tavolo: il modo in cui viene configurato il villaggio di Gravoi ogni nuova partita prende spunto dai boardgame, e questo è stato un lavoro di Lorenzo Silva di Horrible Guild, casa editrice di giochi da tavolo.
E l’inventario?
Pietro: L’inventario è il lavoro di un altro designer, Nicolò Sala, mio ex compagno universitario che poi si è dedicato a diversi ambiti come la musica e l’UI design. Cose a cui ha collaborato anche in Saturnalia. Insieme a lui abbiamo fatto proprio un lavoro di usabilità per rappresentare una mappa mentale che collegasse personaggi, indizi e oggetti.
Secondo me è una delle cose più belle del gioco. Facendo il PR in un’altra redazione e vivendo quindi in mezzo a fogli excel combinati tra loro, quel menu ha dato un senso alla mia smania gestionale.
Pietro: Io ho sempre il dubbio che sia un po’ troppo poco casual, un po’ difficile da digerire, anche se alla fine la complessità degli intrecci tra indizi e storie richiedeva un lavoro del genere… Mi spaventa un po’ il primo impatto che potrebbe avere questo elemento di gioco.
Io più che complesso direi che è diverso. Personalmente il primo impatto l’ho assorbito benissimo, perché veniva visualizzata poca roba. È dopo che viene il bello: la mappa degli indizi si fa sempre più grande mentre nel frattempo nelle vie di Gravoi c’è il caos. A un certo punto hai un labirinto fisico che è quello della città, e un labirinto mentale che è raffigurato dalla mappa concettuale. È interessante, bisogna districarsi tra entrambi i grovigli di vie e di indizi.
Pietro: Sono contento che ti senta così. Era proprio questo il nostro intento. Speriamo che verrà apprezzato da tutti.
Cambiando argomento, secondo voi in Italia adesso come stiamo messi con le produzioni nel mondo dei videogiochi?
Pietro: Io direi splendidamente, almeno dal mio punto di vista. Adesso hanno anche appena approvato il First Playable Fund, una roba che non abbiamo mai visto in Italia. Ci sono tanti studi bravi, c’è tanta gente nuova tutti gli anni che inizia, gente che viene da mondi diversi con modelli culturali diversi. È tutto molto migliorato rispetto a 10 anni fa.
Abbiamo comunque dei problemi, ma il più grande secondo me non è un problema italiano, è un po’ una crisi di mercato globale e generale: la rete di distribuzione è difficilissima da raggiungere se sei emergente, è quasi tutto in mano ad algoritmi per cui chi fa cose un po’ più originali o fuori dagli schemi ha molte più difficoltà di una volta, e questo non accade solo in Italia, ripeto.
Io da un certo punto di vista, grazie alla storia di Santa Ragione, posso permettermi di parlare con un grosso outlet internazionale. Una persona che inizia da zero oggi invece fa davvero fatica se fa roba originale, se non si inquadra in un genere di tendenza, che abbia alta rigiocabilità, o che abbia un comparto multiplayer, o che abbia una buona funzione in streaming… insomma ci sono tante dinamiche che ammazzano un po’ i contenuti originali se sei emergente.
Cosa vorresti vedere rappresentato in un videogioco italiano in questo momento? Cosa funzionerebbe della cultura italiana in un contesto videoludico?
Pietro: Ma non lo so… tutto! Mi piacerebbe molto vedere un gioco sugli anziani: i vialetti, il conflitto tra giovani e adulti, un gioco sui giovani che restano a casa dai propri genitori, sulla precarietà del lavoro… Oppure sui pregiudizi, sulla nostra sfiducia per la politica, la nostra fiducia per l’uomo forte in contraddizione con il nostro italico disprezzo per l’arroganza.
L’opinione pubblica italiana ha così tanti aspetti e sfaccettature, e stiamo parlando di quelle più sistemiche. Se poi andiamo a cercare cose più di nicchia nella nostra cultura, io mi sentirei di consigliarti un gioco di Broken Arms Games, una casa di sviluppo di Torino: Hundred Days, un gestionale sulla produzione del vino con elementi puzzle molto bello.
Confidiamo che abbiate trovato interessante e stimolante questa intervista. Vi ricordiamo che Saturnalia per ora non è ancora disponibile, ma verrò pubblicato presto in questo 2021 solo su PC via Epic Games Store.
This post was published on 17 Marzo 2021 13:30
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