Come avevamo annunciato, l’autrice canadese di Cuori di Mostro (che abbiamo recensito), Avery Alder, è stata ospite d’onore alla fiera Play di Modena dello scorso weekend.
Ho avuto il piacere di conoscerla e cenare e trascorrere del tempo con lei, il partner e i due figli (di due e otto anni – ci siamo ritrovati a fare delle battaglie Pokémon coi loro pupazzetti).
Naturalmente non mi sono fatto sfuggire l’opportunità di intervistarla. Buona lettura!
Come ti è venuta in mente l’idea di progettare Cuori di Mostro in primo luogo?
Ho due risposte a riguardo. Ho giocato una campagna di Apocalypse World con, tra gli altri, Daniel Wood e Adam Koebel [poi divenuto co-autore di Dungeon World, ndA]. Eravamo entusiasti del gioco, ma ciascuno aveva un’idea diversa su quale ne fosse il nucleo. Così creammo diversi giochi powered by the apocalypse. Per me AW è un gioco riguardo le relazioni di persone potenti ma manchevoli, imperfette. Persone legate l’una all’altra, con legami incasinati. Questo è il gioco che volevo progettare.
Tematicamente, Cuori di Mostro è nato riflettendo molto su Twilight. Era appena uscito il film, ed era molto popolare, ma subì un notevole contraccolpo – nella mia cerchia in particolare da maschi bianchi con istruzione universitaria. Facevano a pezzi questo film attorno cui gravitavano in particolare ragazze adolescenti e giovani donne. E non vedevo lo stesso tipo di risposta al vetriolo, di accanimento distruggendo l’opera scena per scena, verso film e trasposizioni di bassa qualità che però fossero “maschili”. Era un odio specifico verso Twilight, ed era sessista. Così sui forum di AW iniziai a progettare delle mosse riguardo la relazione tra Edward e Bella. All’inizio era praticamente uno scherzo, gingillavo scrivendo mosse per giochi inesistenti, ma poi molti mi dissero “Sai cosa? Dovresti effettivamente farlo”.
Cuori di Mostro è un gioco che parla di adolescenti, ma non sembra pensato per essere giocato da adolescenti. Hai due figli piccoli… sono curioso, loro cosa sanno del gioco? Gliene hai parlato, e come? Pensi che prima o poi ci giocherai con loro?
Il target principale di Cuori di Mostro sono effettivamente gli adulti, hai ragione – perché è il target principale dei GdR. Ma è anche un gioco che funziona bene per gli adolescenti, e molti – in particolare queer e LGBT possono ritrovare sé stessi, le loro tematiche, identificarsi. Quello che ho realizzato giocando giochi queer, sulla sessualità ecc., è che o voglio giocarli con adolescenti oppure con adulti. Credo che il problema sia il mescolare i gruppi – è lì che tensione, imbarazzo, dislivello di maturità possono facilmente sorgere.
Non so se è un gioco che giocherei mai coi miei figli. Comunque sono molto piccoli, ho ancora tempo per pensarci. Ho parlato a Breea, che ha 8 anni, di alcuni dei miei lavori, come Dream Askew, ma non di Cuori di Mostro nello specifico.
Penso che i bambini siano in grado di capire temi delicati molto più di quanto tendiamo a credere. Il punto è trovare parole che siano in grado di comprendere.
Al momento con Breea sto giocando principalmente a giochi come Do – Pilgrims of the Flying Temple o Dungeon World, ma in futuro non vedo l’ora di giocare con loro a GdR più strani e complicati.
Qual è la tua Pelle (Archetipo) preferita? Come le inventi?
Ho guardato moltissime serie e film riguardo mostri adolescenti. Ho lavorato a lungo per interiorizzare gli archetipi essenziali con cui giocano gli autori di queste opere. Quindi, l’idea di avere Pelli che siano al contempo letterali e metaforiche per la mostruosità umana non è poi così rivoluzionaria e unica, è tipica di questo genere. Quello che ho fatto è prenderle e tentare di codificarle.
La Pelle che penso sia stata più ardua da progettare, come un puzzle, è il Mortale – ho dovuto trovare un modo di rendere Bella [di Twilight, ndA] interessante. Non doveva essere semplicemente interessante raccontare una storia su di lei, ma anche raccontare una storia mentre si gioca lei. E così doveva avere scelte interessanti, possibilità di agire, dinamiche relazionali interessanti, e tutto questo essendo semplicemente un umano che si stava avventurando in qualcosa di molto pericoloso senza una strategia di uscita.
Alla fine è diventata una delle mie Pelli preferite, probabilmente per quanto impegno ci ho messo nel progettarla. L’altra mia preferita è la Strega, e subito dopo viene il Fatato.
C’è una Pelle che invece non giocheresti, che ti piace meno delle altre?
Quella che personalmente non giocherei è il Ghoul, che è una specie di zombie sexy ma frustrato. La ragione è che emotivamente sono molto diversa da un Ghoul. Il Ghoul è in grado di spegnere totalmente le proprie emozioni e tenerle sotto controllo, fino al punto in cui scatta qualcosa e diventa violento e pericoloso. Nel mio caso, invece, le emozioni sono sempre presenti e turbolente – e allo stesso tempo, non arrivo mai al punto di rottura esplosivo del Ghoul. È la Pelle in cui mi identifico di meno.
Qual è il tuo gioco di ruolo preferito, escludendo le tue creazioni e altri giochi powered by the apocalypse?
Ho due risposte. La prima è Dog Eat Dog, di Liam Burke. È un gioco sul colonialismo, dal design elegante e potente. Una persona gioca il colonizzatore che giunge in questa nazione su un’isola, e gli altri giocano membri di questa nazione. All’inizio i giocatori devono capire chi sia il più ricco nella realtà, e quello dovrà giocare il colonizzatore. Questo è giusto un esempio dei tanti modi in cui il gioco spinge a coinvolgerti con i suoi temi, immediatamente e potentemente. Ha anche degli effetti collaterali: se sei il più ricco del tuo gruppo finirai per fare sempre il colonizzatore, e se vuoi che questa cosa cambi, dovrai redistribuire la tua ricchezza oppure cercare qualcuno che sia più ricco di te e farlo riflettere sul colonialismo, e fargli giocare un gioco sul colonialismo. È come se il gioco ti dicesse “Ehi, se questo ti mette a disagio, devi fare qualcosa nel mondo reale, oppure continuerai a tenerti questo disagio”.
Il mio altro gioco preferito è Silver & White. Non è ancora pubblicato, ma ci ho giocato molte volte, e lo sta progettando Jackson Tegu.
Ho giocato a Cuori di Mostro con alcune persone che lavorano effettivamente con adolescenti, come operatori. Loro ritengono possa essere utile per gli operatori stessi – che ne pensi?
Ho progettato il gioco per esprimere idee complicate sul modo in cui funzionano la sessualità, i sentimenti di vergogna ecc. specificamente per gli adolescenti, e sull’esperienza di realizzare di essere in una relazione disfunzionale o problematica, e cercare di preservare il proprio benessere. Quindi penso che il gioco crei alcuni modelli per comprendere questi concetti, e potrebbe in effetti essere davvero d’aiuto per le persone: per avere un linguaggio condiviso, per parlare di certe esperienze, per giocare e ritrovarsi a pensare “oh, questo è molto familiare – perché è così familiare?”, dando ai giocatori l’opportunità di interrogarsi durante il gioco, e imparare qualcosa di sé stessi.
L’altro giorno hai tenuto una conferenza qui in Italia. Ci puoi dire qualcosa a riguardo?
Pochi giorni fa ho parlato alla Tavola Esagonale riguardo l’idea che le meccaniche di gioco riflettono valori culturali e pregiudizi dei game designer. Questo ci porta, giocando, a immaginare mondi che veicolano in modo irriflesso visioni dominanti, spesso eteronormative, ecc. Ciò che ho cercato di dire è che non solo possiamo immaginare mondi diversi che abbiano spazio per la rappresentazione del diverso, ma possiamo anche avere un design queer a livello di meccaniche. Ad esempio, portando a raccontare storie riguardo comunità anziché singoli individui potenti; con alternative al tipico possesso dei personaggi da parte dei giocatori; con esplorazione della fluidità e l’incertezza; giocando esplicitamente con dinamiche di potere; giocando con idee assurde e inaspettate.
E non si tratta solo di pensare a “come possiamo progettare meccaniche queer?”, ma anche di “come possiamo progettare meccaniche che indeboliscano i valori capitalisti, colonialisti, dei suprematisti bianchi, che indeboliscano la violenza e l’oppressione nella nostra stessa mente e nel nostro mondo?”
[Potete trovare le slide della conferenza a bit.ly/queergames, e la conferenza stessa su Vimeo, ndA].
L’ultima domanda è più leggera: cosa hai apprezzato di più e cosa di meno in Italia?
Questa è una domanda difficile, perché sto davvero apprezzando la mia esperienza in Italia. Se proprio devo dirne una, direi il fatto che la fiera è isolata dalla città, e che il mio hotel è distante da entrambe. Il centro storico è così bello, ed è un peccato non poterlo visitare insieme alla fiera.
L’aspetto più incantevole è l’ospitalità e la generosità, in particolare per quanto riguarda il cibo, e le opportunità di chiacchierare ed essere conviviali.
This post was published on 16 Aprile 2018 17:32
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