Grazie alla grande sovraesposizione del brand di The Witcher, non servono grandi presentazioni per Andrzej Sapkowski, creatore delle avventure di Geralt di Rivia e personaggio sui generis. Molto sicuro di sé, un gran comunicatore, conoscitore di 14 lingue, che ci ha salutato con un “Buongiorno signori e signore” in perfetto italiano.
Nel nostro incontro al Press Café di Lucca Comics & Games 2019 si è parlato della sua carriera, delle sue ispirazioni nella creazione della saga di The Witcher, la sua passione per le lingue e l’esperienza militare in Afghanistan, del suo breve e turbolento rapporto con i giochi di ruolo, ed anche fugacemente del suo rapporto con CD Projekt RED (in un modo sorprendentemente rilassato, tra l’altro).
Scienza e genetica sono due temi molto importanti in The Witcher, come mai questa particolare scelta nell’introdurli, e ci saranno nella serie TV?
Vedi, 40 anni fa essere originali nel fantasy in Polonia era difficile, quindi sapevo di dover fare qualcosa al riguardo. Ho trovato un modo per essere originale e li ho inseriti, nonostante fossero cose lontane da me. Vendere l’idea di scienza e genetica nel fantasy era difficile, ma ho trovato il modo per farlo.
Nella saga ci sono personaggi femminili estremamente caratterizzati. Tris, Yennefer e Ciri sono molto diverse tra loro, ed hanno percorsi di storia differenti. Sono legate a qualcosa di particolare nella sua vita?
[usa le mani per fare gesti] Mi servono le mani per spiegarvelo. Per fare una storia hai bisogno di un eroe, che sia il palo di una tenda [mima la tenda]. I paletti sono i personaggi secondari, e bisogna anche trovare la ragazza che accompagna l’eroe. È facile, ma va fatto molto bene. Le persone mi chiedono se io immagino quello che scrivo e no, io uso solo le lettere. Non “vedo” le mie storie, scrivo le lettere e basta. Tutto quello che vedo sono le lettere.
Qui a Lucca è stato presentato il trailer di The Witcher di Netflix. Lei è stato coinvolto in qualche modo nel progetto, ed il risultato era come se l’immaginava?
Non l’ho visto, uso solo le lettere! Ho visto il trailer ieri: fantastico. Ma non chiedetemi cosa immagino, perché io non immagino niente. Poi è stato bellissimo il trailer, quando l’ho visto la prima volta lo volevo subito rivedere. So che è strano da credere, ma io scrivo solo lettere, non vedo quello che scrivo. E cosa fa il lettore? Legge le lettere! Non guarda film, fumetti: legge le lettere.
Visto che lei parla molte lingue, ha avuto modo di confrontarsi con le altre traduzioni delle sue opere e con i traduttori?
C’è un detto in italiano: “Traduttore traditore”. Il traduttore è un traditore, per forza, non se ne esce. The Witcher è stato tradotto in 35 lingue, anche il cinese. Sono stato in grado di vedere e giudicare alcune traduzioni, quelle di cui capisco la lingua. Nessuna traduzione era buona, tranne un’eccezione, quella Ceca, perché conosco il traduttore ceco ed è molto bravo. L’unica traduzione che posso dire che sia fedele è quella. Il mio traduttore russo una volta mi ha chiesto: “chi fa questo gesto [mima una specie di pernacchia con la bocca] quando beve acqua?” e allora io gli ho detto che era vodka. Divario culturale.
Lei ha iniziato con raccolta breve che ha avuto un grande successo quasi a sorpresa. Quando ha capito che stava andando verso un mestiere a tutti gli effetti?
[ci mette molto a parlare, riflette] C’è un modo per creare una storia di successo, ed il modo in cui riesci a farlo è qualcosa di molto difficile da dire. Non lo so. So il modo perché sono un professionista, ma come ho fatto? Non so spiegarlo. So mettere le lettere in fila, ma chiedermi la ricetta del successo? Non lo so. So la ricetta della puttanesca, ve la so spiegare. Ma non ho una ricetta per scrivere una bella storia.
Che ne pensa del successo trasversale di The Witcher tra tutti i medium di intrattenimento?
Mi chiedo ancora: “ma che cosa ho fatto?”. Ho creato un personaggio, una storia, e tutti vogliono farci qualcosa al riguardo. Ok, va bene, fatelo! Ma cosa posso fare io? Ho creato questo personaggio e sarà sempre mio. Vuoi farci qualcosa? Vai pure, perché no! Sai, la prima volta che ricordo quando fecero qualcosa dalla mia opera ero soddisfatto, perché avevano fatto qualcosa con cose che erano mie. Quindi prego, fatelo pure, i soldi non contano niente.
Può raccontarci come ha iniziato tutto quanto, a scrivere, a mettere le lettere al posto giusto?
Quando inizia il racconto… è stato quando ho deciso di scrivere la mia prima storia. L’avevo scritta per una competizione, e quando scrivi per un concorso devi scrivere veramente bene. L’ho scritta per vincerla, perché sapevo che ci sarebbe stata tantissima gente, così sapevo di dover essere il migliore. E per essere il migliore dovevo impegnarmi.
C’è qualche storia, magari legata al folklore polacco, o cara a lei che è alla base dell’universo di The Witcher?
Devi sapere che prima di scrivere la mia prima storia ero molto aggiornato sulla letteratura fantasy. La conoscevo molto bene. Come ho detto prima dovevo essere originale, ho lottato molto duramente per trovare la mia originalità. È un archetipo, sapevo le storie e le leggende. Il mostro terrorizza la città, e c’è solo il calzolaio a difenderla. Ma un calzolaio sa fare solo il calzolaio e non può fare nulla contro il mostro. Se c’è un mostro che terrorizza la città, chi può fare qualcosa? Un professionista, un witcher. Prendi una storia da favola e rivoltala come un calzino.
C’è un autore fantasy che l’ha colpita particolarmente?
Molti. Ovviamente ero un grande fan di Tolkien. Venne tradotto in polacco negli anni sessanta circa. Dopo una notte con la mia prima moglie, ho visto nella sua scaffalatura dei libri di Tolkien, e gli ho chiesto “Cos’è?” e lei “Mh, non so se ti piacerà, sono un po’ speciali”. Ed erano effettivamente speciali. È stato amore a prima vista. Poi, col tempo ho cominciato a conoscere la letteratura, e c’era un periodo in cui leggevo 200 libri l’anno, quando mia moglie era fuori casa tanto tempo per lavoro. Niente di quello che è stato fatto nel fantasy mi è sfuggito di mano, che mi crediate o no! Noi Sapkowski non mentiamo mai! Ed al momento credo che, di questi autori, Joe Abercrombie sia il migliore sul mercato.
Rimanendo nell’argomento fantasy, si è mai avvicinato ai giochi di ruolo?
Nah. C’è stato un tempo in cui ero un gamemaster, tanto tempo fa, non più. Io non giocavo però, ero un “game master” [incalza sul concetto]. Questi giochi non mi danno nulla, non mi interessano, però facevo il game master.
Che ne pensa di Henry Cavill nella serie tv?
Perché no? Il problema è che io non riesco a vedere niente di quello che scrivo. Per me sono solo lettere. Quando vedo altri giocare, o leggere fumetti, qualcosa su The Witcher dico “Wow”, ma io non riesco ad immaginare niente. Io. Scrivo. Solo. Lettere. Non riesco a vedere niente. Non so se avete capito il concetto. Lettere, Nient’altro. Lettere.
Il pubblico potrebbe approcciarsi alla serie TV di The Witcher prima del romanzo. Cosa conviene fare prima secondo lei, leggere libri o guardare la serie?
Mah, non so, direi che potrebbe, forse… leggere i libri. [risata generale]
Il “mettere le lettere in fila” sembra un lavoro da artigiano. Lei si considera artigiano o artista? E che differenza c’è secondo lei?
Io sono un artista! Sono capace di mettere le lettere nel giusto ordine. Chi sono? Non lo so. Non conosco la differenza.
Scrivere è più un lavoro da pittore o da scultore nel togliere il gesso in eccesso?
Se so disegnare la Mona Lisa sono un artista? Sì, certo. Perché il quadro che ho creato è stupendo. Quindi quando scrivo le mie lettere nel mio libro nel giusto ordine sono un artista o no? Sì che lo sono. Sono un fottuto artista! [incalza con i gesti delle mani]
Com’è finita la questione del trattamento dei diritti con CD Projekt RED?
Beh, sapete. Possono fare quello che vogliono. Tutto questo è oltre me, assolutamente oltre me. L’ho detto. Sono contento dei soldi che mi hanno dato, ma il resto non mi riguarda. Lo accetto ma non mi riguarda.
Lei parla 14 lingue, quali sono e qual è la sua preferita?
Molte di queste. [ride] Quella che mi tiene sveglio la notte? Il russo. Ho servito in Afghanistan: quindi inglese, tedesco, italiano.
L’esperienza in Afghanistan è stata in qualche modo trasportata nella sua opera, le è servito?
[riflette in modo sommesso] Preferisco non parlarne.
This post was published on 1 Novembre 2019 17:28
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