La Camarilla.
Ogni volta che penso a questo gruppo di Vampiri mi sale la tristezza.
Nonostante sia indiscutibilmente la setta di succhiasangue più numerosa della società dei fratelli, risulta essere anche la più monotona.
Le sue leggi, le sue Tradizioni, la sua burocrazia, la fanno sembrare una cosa antica, ingolfata e stantia… ed effettivamente è proprio cosi.
Un grande marchingegno arrugginito dai colori sbiaditi, tristi, proprio come gli avvenimenti che ci vengono presentati nella narrazione introduttiva della “Guida alla Camarilla“.
Perché vi dico tutto questo? Semplice.
Cosi come avviene nella “Guida al Sabbat“, questo manuale spiega molte più cose nella sua breve introduzione che nel resto delle sue pagine.
Certo, ci saremo tutti emozionati la prima volta che lo abbiamo sfogliato e ci siamo trovati davanti i Gargoyle e quei dannati Lasombra antitribù ma leggendone il contenuto non ci si può esaltare se prima non si capisce davvero cosa sia la Camarilla, e questo processo è possibile solo leggendo questo breve racconto.
Vedete? già il titolo sa di… statico ma, non temete, questo racconto è una vera e propria perla che saprà immergervi alla perfezione nelle dinamiche che caratterizzano la Camarilla.
Cosi come Lettere da Iwo Jima ci mostrava chi ci fosse dall’altra parte di Flags of our Father, questo racconto fa la stessa cosa, rivelandoci un segreto: tutto ciò che avveniva in quel racconto era stato già calcolato e quei fottuti Sabbat erano stati giocati dalla Camarilla.
Dalla prima all’ultima azione, parola, avvenimento, era tutto stato ideato, meticolosamente preparato e applicato, da una mente completamente aliena: Montrose, lo Sceriffo di Las Vegas. Un Nosferatu.
Dopo una lunga riflessione introduttiva in cui Montrose spiega come funzioni il suo lavoro, fatto di meticolosità, routine e calcolo dei rischi e si sentono prepotentemente le differenze che lo contraddistinguono dalla narrazione dedicata al Sabbat, avviene qualcosa: un telefono rosso squilla. Rosso, un colore fuori posto in mezzo a quell’accozzaglia di toni freddi, quasi come se Spielberg fosse intervenuto a dirci “ehi, eccola li l’azione che stavi aspettando, non temere“; in un certo modo sarà cosi.
All’altro capo del telefono c’è Duke, il Ghoul del Principe Benedict (non del Principe Rothstein del Clan Giovanni) che ci informa che ci sono “visite” in città.
Ora, cosa c’è più “cama” di un Ghoul di un Principe che chiama lo Sceriffo per dirgli che sono arrivati dei piantagrane nel principato? Beh, se vi viene in mente scrivetemelo, perché io non ne ho idea; nel frattempo soffermiamoci sullo scambio di battute e sul perfetto bilanciamento che è stato creato tra la vitalità che ancora anima Duke, in qualità di vivo, e la Malinconia che pervade Montrose, in qualità di morto.
Ecco, in poche righe ci viene presentata l’essenza della Camarilla: una società di cadaveri che deve costantemente relazionarsi con esseri cosi diversi da loro, i viventi, e contemporaneamente deve fare attenzione al suo più grande nemico: se stesso.
Le visite di cui parla Duke consistono in due nuovi clienti di un albergo: una bella donna con un cappello a falda larga ed un tipo che si spaccia per Tom Cruise. Vi ricorda qualcuno? Mi auguro di si, perché da questo momento in poi “tutto sarà rivelato“.
Appena informato dell’avvenimento vediamo Montrose mette subito in moto tutto il suo apparato per scoprire chi siano e cosa vogliano questi individui nella “sua” città.
La cosa assurda? Sono loro stessi a chiamarli “controlli Standard“; la routine appunto, la tradizione: il fare meccanicamente un operazione perché la si è già fatta migliaia di volte.
La Malinconia della Camarilla è già tutta qui ma siamo solo alla punta dell’iceberg, amici.
Dopo un veloce dialogo vis-à-vis tra Duke e Montrose in cui quest’ultimo si disgusta del drink che il Ghoul sta sorseggiando (gli permette di resistere alla mancanza di sangue del Principe, confesserà lo stesso Duke) lo Sceriffo ordina di entrare in azione e mettere in moto la messinscena: far credere a Tom Cruise che la Camarilla si sia convinta che solo una coppia di Anarchici e portarli immediatamente dal Principe per ottemperare alla Tradizione della Presentazione che i due nuovi arrivati hanno bellamente ignorato.
Avete mai visto una applicazione simile di una Tradizione? Io no… e neanche voi.
Ricapitoliamo: la Camarilla ha deciso di ritorcere le mosse del Sabbat contro di loro (lo spacciarsi anarchici) e di fornirgli una serie di informazioni false, facendosi passare per una massa di incompetenti, cosi da poter giocare a carte coperte in uno scontro futuro.
Ok, prendete un respiro d’aria, bevete un bicchiere d’acqua e tornate quando avete finito, perché non abbiamo ancora finito.
Sappiamo dal racconto sulla “Guida al Sabbat” che il sig. Cruise viene condotto davanti al Principe di Las Vegas e al suo fido braccio destro, un Toreador. Ciò che non sapevamo è che le cose non erano quelle che sembravano. In quest’altro racconto scopriamo che le cose sono ben diverse: La persona che Tom Cruise si trova davanti non è il Principe, ma Montrose e che la persona al suo fianco non è il suo braccio destro, ma bensì un Fratello qualunque, peraltro di un clan differente, Ventrue non Toreador.
Perfino il punto dove doveva fermarsi Duke è accuratamente preparato ed indicato con un pezzo di nastro adesivo, lo stesso nastro che Tom nel suo racconto nota (Notte Brava a Las Vegas) ma di cui non ne comprende il senso.
Capite quanto cazzo sia paranoica la Camarilla? E’ arrivata ad architettare una sceneggiata con cosi tanti dettagli, da necessitare un copione che preveda persino segni per terra dove fermarsi, proprio come su un set cinematografico dove tutto, appunto, è finto….come la Camarilla, come la Masquerade, come la loro Non-Vita.
Come fa tutto questo a non farvi sentire tristi? A me lascia senza energie e mi immerge cosi tanto nell’atmosfera che si respira in questa introduzione da convincermi che si, la Camarilla è un oggetto polveroso, grazioso e malinconico, dimenticato su di una vecchia credenza che se visto ci ricorderà la prima comunione di un parente ormai morto da tempo, procurandoci Malinconia.
Ciò che succederà dopo seguirà il copione: Montrose, ricorrendo alle sue Discipline, farà scomparire se stesso e la sua spalla, che ora sappiamo chiamarsi Alexander Cantor, mentre il povero Duke, rimasto spaesato da quanto sta succedendo e inconsapevole pedina degli eventi, vedrà venir strappato via il suo braccio da Tom Cruise e morire dissanguato.
Arrivati a questo punto della lettura avrete sicuramente notato un dettaglio: tutto quello che riguarda Montrose puzza di premeditato, tutto quello che riguarda Duke sa di accidentale. La domanda sorge spontanea: perché? Perché altrimenti non potrebbe esserci alcun plot twist.
Ci è, infatti, stato fatto credere fino a questo punto che il destino di Duke fosse segnato, che era una perdita accettabile e calcolata. Tutto lo lasciava presagire, gli scambi di battute al telefono tra il Principe e lo Sceriffo, il momento in cui si descrive il terrore negli suoi occhi quando “le cose non vanno secondo i piani…che lui conosce“, e
Alexander Cantor, infatti, non era li solo per fare la bella statuina, no signori, era li con un preciso scopo, abbracciare Duke nel momento in cui sarebbe morto. Già, meglio un Ventrue che un Nosferatu per un nuovo Fratello che ha passato una vita a fare il Ghoul “di facciata”. Meglio ancora se questo Ventrue deve riscuotere un favore… o se ora ne deve uno a qualcuno.
Ancora una volta ci viene presentato uno strumento tipico della Camarilla: il Favore.
Un semplice gesto come la presenza sul posto di Alexander ha garantito, il vantaggio tattico di fornire una informazione falsa, ha posto un bersaglio sulla sua testa di un Fratello che non conta nulla, ha garantito la sopravvivenza di Duke, senza contare sulla eventuale copertura di cui avrebbe goduto Montrose nel caso di colluttazione con Tom Cruise.
Tutto come da “manuale”, quindi, non credete?
La scena finale del racconto, poi, è superba ed è interamente dedicata alla deumanizzazione di Duke.
Se ricordate bene, ho posto molta attenzione sul fatto di come Duke risulti
Gli scambi di battute che leggiamo ci fanno comprendere subito come il Ghoul che abbiamo conosciuto sia già cambiato in una notte ma non ancora completamente; sul tavolo, di fianco a lui, vi è ancora quel drink che tanto disgusta Montrose ma che ora è intonso e non consumato, a dimostrazione di come, sebbene non possa gustarne più il sapore, Duke abbia ancora bisogno di averlo “al suo posto” perché altrimenti la sua umanità lascerebbe spazio alla Bestia.
Ed è su questa riflessione che voglio chiudere questo articolo: ogni Fratello della Camarila, a contrario di un Cainita del Sabbat, cerca di sopire la propria “Bestia“, aggrappandosi al ricordo della propria umanità, fortificando cosi l’idea di massa della necessità della Tradizione della Masquerade, ed è proprio in quel bicchiere che è racchiuso tutto il significato della Camarilla e del perché Montrose lo abbia posto li, vicino al suo nuovo Fratello nelle tenebre.
Per non farlo perdere.
Questa è la Camarilla: una lotta continua con se stessi.
Son tutti bravi a spaccare le teste con il Crick. Sono in pochi ad essere dei buoni fratelli.
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This post was published on 14 Giugno 2017 23:08
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