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Giochi di ruolo

Eat The Reich | Recensione: un GDR pulp di vampiri contro Hitler

Nel mare magnum dei giochi di ruolo che nell’ultimo periodo si moltiplicano sempre di più, fa sempre piacere trovare quei progetti piccoli e immediati con un’identità molto forte. È proprio il caso di Eat The Reich, un piccolo GDR che mescola horror, pulp, fantastoricismo e colori sgargianti, portato in Italia da Mana Project Studio.

Progettato da Grant Howitt e Rowan Rook and Decard Ltd., Eat The Reich mette i giocatori nei panni di vampiri in missione per uccidere Hitler in una Parigi del 1943 occupata dai Nazisti, in un’ambientazione fantastorica in cui il Fürher si rifugia su un dirigibile nella capitale francese meditando la conquista del mondo tramite poteri occulti.
Perché collocare la fine di Hitler così presto in Francia? Giusto per flavor: agli autori sembrava romantico pestare i nazisti davanti a un bistrot parigino sotto le luci della Torre Eiffel. Davvero affascinante.

Abbiamo provato in anteprima il gioco grazie a Mana Project Studio, e siamo pronti a parlarvene ora, alle porte del Lucca Comics & Games 2024, dove potrete trovare questo e altri GDR di Mana Project al solito padiglione Carducci! Se invece non sarete a Lucca, fate un giro sul loro sito ufficiale.

A proposito, sarete a Lucca? Potrete trovarci in giro, seguite i nostri spostamenti sul nostro gruppo Telegram.

Le opinioni riguardo Eat The Reich, purtroppo, non sono del tutto positive, complice un sistema di gioco che sembra perdersi in sé stesso e nell’alea col passare del tempo, dando un senso di incompiutezza non indifferente se si guarda invece alla fattura incredibile e superlativa del manuale, nonché alle premesse stesse che gli autori fanno delle dinamiche di gioco… Insomma, per diversi motivi, Eat The Reich non è un gioco per tutti, ma vi approfondiamo meglio le nostre impressioni nei prossimi paragrafi.

Pulp e splatter

Ovviamente la prima cosa che colpisce di Eat The Reich è il suo stile grafico, un capolavoro pulp da un’ottantina di pagine che alterna continuamente colori al neon, fascicoli fintamente secretati e chiazze di sangue. Già solo sfogliare il manualetto di questo gioco è come avere una sorta di graphic novel dalla vena artistica molto spinta. Credo sia il prodotto editoriale GDR più bello e intrigante che abbia mai avuto tra le mani, sono sincero.

Questo stile violento e caotico cerca di riflettersi anche in gioco, e sicuramente colpisce nel segno nei primi momenti; il manuale stesso istiga una narrazione ricca di maciullamenti di arti, omicidi rocamboleschi e stragi sanguinolente dove ciò che dovrebbe essere grottesco fa il giro per diventare dissacrante, divertente e adrenalinico, grazie soprattutto alla spinta data dal sistema di gioco che cerca di incanalare l’azione come se tutto fosse un beat’em up arcade o un mousou giapponese: ondate di nazisti da usare letteralmente come carne da macello mentre ci si fa strada verso l’obiettivo.

Anche i nemici, soprattutto gli Übermenschen, ovvero i mutanti su cui i nazisti hanno sperimentato, sono caricature folli – talvolta anche di personaggi realmente esistiti – realizzati in modo che sia divertente vederli sul manuale, ma altrettanto divertente averci a che fare, picchiarli, essere picchiati e… sì, anche mangiarli dato che ognuno di loro ha una sezione sul manuale relativa al gusto del sangue!
Sì, comprendo, arrivati a questo punto della recensione sarete curiosi di sapere che sapore abbia il sangue di Hitler secondo Eat The Reich. Ma è l’unica cosa che il manuale presenta del Fürher come personaggio visto che la scelta degli autori è stata quella di rappresentarlo volutamente – e saggiamente – come un essere miserabile e non esattamente affrontabile, quindi preferiamo non farvi spoiler.

L’orda di disclaimer

Eat The Reich è violento, grottesco, splatter e potenzialmente ricco di linguaggio scurrile. Non è esattamente un gioco adatto a tutti, e anche per questo motivo il manualetto ci tiene a riempire pagine di disclaimer sul tono del gioco, sui possibili contenuti e su quanto sia fondamentale mantenere delle norme di sicurezza emotive e mentali al tavolo.

Le avvertenze sono rivolte anche nei confronti di quei giocatori che si possano sentire in difficoltà a dover trattare temi simili, ed è giusto così. C’è chi potrebbe aver perso familiari e amici a causa di comportamenti fascistoidi di persone o, addirittura, di governi. E l’intento dei giochi non è certamente far sentire a disagio, ma, anzi, di unire e divertirsi attorno a un tavolo.
Quindi, ribadiamo: Eat The Reich non è un gioco per tutti, ma giustamente non ci prova neanche a esserlo.

Ciò che mi sorprende delle avvertenze di Eat The Reich, però, è che queste in parte mi sembrano troppe, in parte mi sembrano anche essere in conflitto tra loro.
Non mi sembra quasi vero che alle soglie del 2025 ci si debba addirittura giustificare dal prendere a cazzotti metaforici personaggi immaginari che incarnano quello che a tutti gli effetti è riconosciuto come il male assoluto nell’immaginario collettivo e nella cultura globale: il nazismo, letteralmente un “free pass” per inventarsi le peggiori nefandezze senza arrecare danni alla sensibilità di nessuno, come la saga videoludica di Wolfenstein insegna.

Una risposta a questa orda di disclaimer giustificanti l’avevo trovata a pagina 3, in un paragrafo in cui gli autori dichiarano come il loro intento e in generale il gioco in sé non siano un atto di resistenza, quanto più un “atto di frustrazione” nei confronti di un problema, quello dei fascismi, che continua a persistere nel mondo reale. Giocare Eat The Reich diventa quindi, secondo gli autori, un momento catartico e dissacrante dove potersi sfogare con creatività e fantasia. Perfettamente condivisibile.

Eppure, gli stessi autori in qualche rigo successivo si contraddicono, imponendo ai giocatori di non inventarsi nuovi crimini da parte dei nazisti ma di attenersi solo a quelli realmente accaduti… e qualche rigo dopo contraddicono la contraddizione chiedendo di non parlare del crimine che è stato l’Olocausto.
Sono confuso. Posso giocare come c***o mi pare? (uso anch’io un disclaimer: ovviamente nel pieno rispetto della sensibilità e dell’emotività delle persone al tavolo).

L’orda di nazisti

La vera confusione di Eat The Reich, però, purtroppo è arrivata con la prova effettiva del gioco.
Ho giocato online con due colleghi di Weirdoor, Pask nei panni di Cosgrave, un vampiro necromante dall’accento e savoir-faire squisitamente british, l’Astropate nel ruolo di Flint, un pipistrellone feroce ma a suo modo carino e coccoloso, e con il supplemento di Viks di Fallimenti Critici nelle vesti dell’esplosiva e incendiaria Nicole; esplosiva in tutti i sensi, tant’è che abbiamo campionato un suo potentissimo starnuto come suono base di spiaccicamenti nazisti.
Tutti quanti nei giorni prima di giocare abbiamo avuto un’hype preparatorio incredibile perché l’estetica del manuale, i personaggi pre-costruiti e l’ambientazione ci avevano completamente galvanizzato.

La prima mezzora di Eat The Reich è stata un susseguirsi di ruolate al cardiopalma con situazioni grottesche e divertenti da morire. Il party è atterrato in un hotel per ricconi dove ha dovuto fronteggiare orde di nazisti brilli che, a un certo punto, sono diventati birilli, perché l’Astropate/Flint ha iniziato a lanciargli qualunque cosa a portata di zampa addosso, a mo’ di palla da bowling o proiettile improvvisato, il tutto mentre gli altri facevano saltare teste e arti nazisti.
È stato anche divertentissimo essere attori e spettatori di questa gloriosa carneficina mentre sullo sfondo scorrevano brani francesi degli anni ’40. Vi assicuriamo che Non, Je Ne Regrette Rien di Édith Piaf è perfetta per le esplosioni al rallentatore.

Pian piano però il sistema di Eat The Reich ha cominciato a mostrare i suoi limiti, palesando una struttura simil-gioco da tavolo american da cui è stato difficile districarsi e che ci è sembrata fortemente sbilanciata in favore dei nemici, nonché condizionata in maniera troppo pesante dal caso. Tutto ciò ha spento gradualmente i nostri animi, le giocate di ruolo sono diventate giocate dazzardo e siam finiti a terminare la partita poco prima che arrivasse l’effettivo game over per disperazione.
Svisceriamo per bene l’argomento sistema di gioco come gli intestini di un nazista nei prossimi paragrafi.

Scene, Obiettivi e Minacce

Le sessioni di Eat The Reich sono organizzate in Scene, ossia degli ambienti in cui è concentrata l’azione, che sono visibili sulla mappa di Parigi: l’Hotel di cui abbiamo discusso è teatro di una Scena, così come ci sono catacombe, un parco divertimenti, dei bistrot, e così via. Nelle Scene i personaggi agiscono secondo turni e round senza quasi mai attimi di riposo e riflessione.
È tutto compattato e confezionato per calare i giocatori subito in un corridoio fatto di azione e spargimenti di sangue.

Parigi è divisa in 3 Settori, e il gioco comincia con i giocatori che vengono paracadutati (o meglio, schiantati) nelle loro bare in una Scena a scelta del Settore 3, con l’obiettivo di raggiungere Hitler al Settore 1. Il manuale vorrebbe che venissero affrontate due o tre Scene per ogni Settore, ma vi sconsigliamo un’operazione del genere come prima partita, dato che perderete tempo ad assimilare le meccaniche di gioco. In realtà, come vedremo ben presto, il gioco ha bisogno di costanti affinamenti di strategie che rende ogni azione un medio-lungo processo decisionale, quindi il nostro consiglio è di usare proprio una sola Scena per Settore altrimenti sforerete le 3 ore di gioco… tempistica sconsigliabile con un’esperienza del genere che è fatta di meccanismi molto ripetitivi che tendono a stancare sul lungo periodo.

In ogni Scena i giocatori devono tenere a bada counter di Obiettivi e Minacce, i quali non son altro che reskin degli orologi dei sistemi Forged in the Dark, un po’ alla stregua del GDR di Cowboy Bebop, ma resi sia graficamente che ludicamente in maniera diversa. I Successi alle prove dei giocatori, determinati dai 4, 5 e 6 risultati sui dadi, possono essere allocati su questi due counter per farli scendere, oltre ad avere utilizzi più meccanici come il Difendersi da un Successo nemico ingaggiato o il cibarsi di Sangue che è una risorsa utile ad attivare Capacità Speciali e a curarsi Ferite.

Gli Obiettivi si dividono in Principali, necessari al completamento di una Scena, e Secondari, utili per rimettere in sesto un Vampiro incapacitato o per portare avanti compiti non attinenti alla riuscita dell’obiettivo primario. Infatti quando il counter di un obiettivo principale viene ridotto a 0, si passa a una Scena successiva. Se invece viene portato il counter secondario a 0, oltre alla riuscita del compito il giocatore trova un Bottino, ossia un equipaggiamento, e può attivare un effetto secondario.

Le Minacce invece sono rappresentate dalle armate nemiche. Esse oltre ad avere un counter, hanno anche un punteggio d’attacco che rappresenta il numero di D6 da tirare contrapposti alle prove dei giocatori. Esistono sostanzialmente tre tipi di Minacce: quelle regolari, le élite e gli Übermensch. Le minacce normali, quando azzerate, tornano il round successivo ma depotenziate, a significare un continuo impiego di nazisti mandati al macello contro i giocatori; le truppe élite e gli Übermensch invece una volta azzerati, vanno via per sempre (e meno male).
Tuttavia, quando arriva un nuovo round, tutte le Minacce ancora attive (e quindi non a 0) aumentano di 1 il punteggio di attacco, a mimare un’azione di accerchiamento costante delle forze tedesche.

Insomma, la struttura delle Scene rende bene l’idea di una situazione frenetica e compromessa dove i giocatori devono cercare di completare i loro obiettivi mentre i nazisti escono dalle fottute pareti. In gioco la sensazione è un’oppressione costante che accende l’adrenalina e l’inventiva: i nazisti continuano a tornare e i loro Successi ostacolano il perseguimento dell’Obiettivo principale dei giocatori, i quali sono chiamati a ingegnarsi per allocare Sangue e Successi come risorse all’occorrenza per adempiere azioni, perseguire Obiettivi o eliminare Minacce.

Ben presto però diventa evidente che l’essenziale è completare l’Obiettivo primario, e quindi a meno che non ci siano rischi particolari, tutto il resto viene automaticamente ignorato dai giocatori. Gli obiettivi secondari, a dirla tutta, non incentivano nemmeno i giocatori a perseguirli dato che le loro ricompense sono quasi inutili nella maggior parte dei contesti.

Rinforzi di truppe e riciclo di oggetti

Il problema più grande però è negli strumenti che il manuale offre per superare i costanti rinforzi dei Nazisti, e in generale tutte le prove più difficili, perché un sistema del genere è tarato su un aumento costante della difficoltà, ma non consente ai giocatori di perfezionarsi e migliorare in alcuna maniera salvo Scene particolari, rendendo l’esperienza di gioco sempre più frustrante e troppo legata alla casualità dei dadi sul lungo andare.

Gli Equipaggiamenti e le Capacità di ogni personaggio possono essere giocati nelle prove dai giocatori per aumentare il pool di dadi da tirare con l’Abilità scelta, ma non tutte le Capacità sono adeguate a ogni contesto e, soprattutto, gli Equipaggiamenti hanno slot di utilizzo limitati, il che significa una volta riempiti tutti, l’equip va distrutto. Il gioco incentiva anche a distruggere gli oggetti donando un dado in più alla loro rottura, perché, come descrive il manuale, c’è bisogno di un riciclo costante di equipaggiamenti. Questo è vero, ma gli unici modi in cui Eat The Reich offre nuovi oggetti sono due:

  • Frugare alla ricerca di Bottino dopo aver completato un Obiettivo, ma l’oggetto che si guadagna ha sempre e solo 3 utilizzi e un solo dado bonus aggiungibile al tiro.
  • Completare un Obiettivo secondario legato alla Scena: l’oggetto che si guadagna è descritto nel manuale stesso, ed è spesso molto utile. Occasioni del genere, però, sono davvero poche.

In sostanza, per aggiungere dadi da tirare per superare le prove il giocatore è ovviamente motivato a utilizzare quanto più Equipaggiamento possibile, ma mentre gli oggetti di partenza sono molto forti, quelli trovabili Frugando in giro servono a poco e niente. Va da sé, quindi, che il giocatore sprecherà presto tutti gli slot di durabilità dei suoi oggetti migliori per poi ritrovarsi tra le mani ninnoli inadeguati in sostituzione, a meno che non si finisca in quelle poche Scene che abbiano un oggetto potente in dotazione… ma anche quello sarà destinato a distruggersi prima o poi, senza contare che sarà equipaggiabile da un solo giocatore, mica da tutti.

Eat The Reich risulta purtroppo davvero sbilanciato contro le possibilità dei giocatori, soprattutto se si aggiunge che ogni prova è troppo legata alla casualità dei dadi: alle difficoltà maggiori delle Scene, quando ormai non avrete quasi più Equipaggiamenti e quindi ci saranno pochi dadi da tirare, sarà letteralmente impossibile ottenere risultati positivi dagli incontri coi nazisti. Al fattore alea influisce inoltre anche il numero di giocatori: più ne sono al tavolo, più si avranno opportunità di tirare dadi (e quindi potenzialmente più successi)… Non è stato prevista nemmeno una tabella di bilanciamento in base al numero di giocatori.

A fine manuale sono incluse anche delle pagine che consigliano modalità di hacking del gioco, sia per creare proprie ambientazioni sia per rendere la ri-giocabilità più estesa generando propri personaggi e Scene, o modificandoli. Sembra strano però che già alla base, il gioco di Eat The Reich non sia adeguatamente performante, soprattutto se, come già detto, rapportato alla qualità eccelsa del suo stile grafico.

Eat The Reich ha quindi una giocabilità subordinata alla bravura del master nell’identificare i punti deboli della struttura di gioco, così da poterli adattare a situazioni più coinvolgenti e bilanciate per i giocatori. In altre parole, prima di cominciare una partita, il Master è meglio che preveda già oggetti che siano DAVVERO utili da trovare nelle Scene, e che preveda quale Scene incontrare lungo il percorso dei giocatori al prezzo della loro libertà di esplorazione, così da sostenere un ritmo di gioco che possa aiutare anche a divertirsi nel ruolare, invece che focalizzare il tutto sul tirare quanti più dadi possibili.
È davvero un peccato perché Eat The Reich ha un’ambientazione con potenzialità incredibili, ma purtroppo il sistema di gioco non la aiuta a sppiccare il volo.

C’ho un rigurgito antifascista, se vedo un Übermensch ci sparo a vista

Eat The Reich si presenta come un’esperienza di gioco estremamente caratterizzata, tanto visivamente quanto narrativamente, grazie al suo inconfondibile stile pulp e alla dissacrante ambientazione fanta-storica con vampiri e mutanti. L’approccio degli autori oscilla però tra due poli: da un lato è un GDR carismatico e sfacciato, che si diverte a giocare con elementi grotteschi e violenti; dall’altro, purtroppo, evidenzia alcune fragilità nelle sue meccaniche di gioco, le quali possono trasformare la sessione in una corsa a ostacoli fin troppo ardua e aleatoria. Eat The Reich non è un titolo per tutti, ma può rappresentare una scelta singolare e catartica per chi ama il lato più estremo e scenografico dei GDR.

This post was published on 27 Ottobre 2024 23:00

Alessandro Colantonio

Game designer in erba e chitarrista a tempo perso. Nasce all'ombra del Vesuvio nel 1991, muove i suoi primi passi nel mondo dei videogiochi su un Windows 95 all'età di 5 anni, e diventa presto un Allenatore di Pokémon. Bazzica tra radio web e band durante i suoi studi universitari tra Napoli, Roma e Milano, si parcheggia nella fan-community di Pokémon Milennium dove instaura il suo regime dittatoriale da caporedattore, costruendo una macchina da recensioni e contatti e diventando inconsapevolmente PR. Oggi, oltre a prestare le sue dita a Player.it per articoli, recensioni e approfondimenti, figura anche come streamer di Twtich, content creator di TikTok e PR abusivo. I suoi generi preferiti sono i gestionali, gli strategici, i tattici e i GDR. Ma essendo un accumulatore seriale di videogiochi, cerca sempre di giocare ogni titolo che gli capita sotto mano. Ha una perversione per le pratiche fandom, i cani e la birra artigianale. Adora D&D, va in ira e carica.

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