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Giochi di ruolo

Blades in the Dark, la recensione del GdR post industriale

Uno dei giochi di ruolo indie più chiacchierati degli ultimi anni arriva finalmente in Italia per merito, per altro, della neonata casa editrice Grumpy Bear. Distribuito da Pendragon Game Studio, il gioco Blades in the Dark ha finora saputo far parlare di sé tra gli appassionati, principalmente per il suo essere un prodotto in grado di distanziarsi dalla pletora di cloni di PBTA usciti negli ultimi anni.

PBTA, com’è noto, sta per Powered by the Apocalypse, un motore di gioco nato da Apocalypse World (Il Mondo dell’Apocalisse, giunto ormai alla sua seconda edizione ed edito da Narrattiva per il nostro paese), che ha generato tanti emuli più o meno riusciti ed originali a partire proprio dal suo peculiare sistema di gioco fortemente incentrato sulla narrazione.

Di fatto non è un vero e proprio PBTA, ma più una sua evoluzione. Il concetto di Fiction First è sempre al primo posto, ma Blades in the Dark introduce molti elementi innovativi per questo genere di giochi, diventando un sistema così stratificato che dal dicembre del 2017 è uscito in licenza Creative Commons, con il nome di Forged in the Dark.

Blades in the Dark è un GdR molto particolare anche per concept, ambientazione e flusso di gioco, che richiede sicuramente tanta attenzione e coinvolgimento da parte di tutti i giocatori, sia per l’aspetto narrativo sia sul fronte regolistico.

Farabutti e lame nella notte

In Blades in the Dark si giocano le storie di un gruppo di audaci criminali intenti a costruire il proprio impero nelle strade infestate di Doskvol, una città post-industriale fantasy. In una storia del genere ci saranno ovviamente colpi colpi, inseguimenti, fughe, negoziazioni pericolose, schermaglie violente, inganni, tradimenti, vittorie e morte. Il tema del gioco, quello che dovrebbe essere il filone portante, è vivere la crescita della banda, scoprire se riuscirà a prosperare tra le brulicanti minacce delle rivali, oppure fallirà clamorosamente nel farlo.

I personaggi che verranno giocati non sono affatto degli stinchi di santo. Doskvol è una città post industriale, ispirata fortemente alle città di Praga, Londra e Venezia dell’Ottocento circa, dove bande di criminali lottano per il controllo dei quartieri, tra azioni di sabotaggio, omicidi, e strani culti religiosi che mettono in pericolo la brava gente. L’idea della banda di criminali è così forte che, insieme alle schede dei personaggi, il tavolo dovrà gestire anche la scheda della banda: un vero e proprio personaggio a sé stante, potremmo dire, con delle proprie caratteristiche e possibilità ludiche o narrative. Attraverso le loro azioni i personaggi avranno modo di rendere la banda più influente o ricca, in grado quindi di ingaggiare gregari oppure essere più preponderante in alcuni aspetti sociali rispetto alle altre gang.

In questo senso è quindi molto importante che tutti i giocatori abbiano ben chiare le atmosfere e le tematiche che possono emergere da Blades in the Dark. Il manuale è molto corposo, composto da 300 pagine, quindi con tante informazioni da assimilare per poter comprendere a pieno il gioco. C’è una grande introduzione, ben curata e scritta, che riguarda proprio ciò che Blades vuole essere come gioco di ruolo. Dicevamo d’altronde che il gioco si basa sul concetto di Fiction First, la narrazione al primo posto che si ripercuote anche attivamente sulle meccaniche di gioco. I giocatori hanno infatti molti modi per risolvere una situazione, ed ogni azione non viene mai risolta da un singolo tiro, mentre invece sarà il giocatore attraverso la sua spiegazione e l’approccio che descrive a decretare il tipo di azione che si va a svolgere, e quindi il tiro da eseguire meccanicamente.

La struttura del gioco è allo stesso modo molto intrigante, ma necessità un minimo di assimilazione per poterla gestire al meglio. Solo apparentemente meccanica, Blades in the Dark gestisce la narrazione attraverso tre fasi distinte: il Gioco Libero, il Colpo ed il Downtime.

In Gioco libero i personaggi parlano, descrivono le loro azioni, interagiscono con il mondo di gioco ed i suoi abitanti, sostanzialmente tutto quello che succede al di fuori delle azioni criminali vere e proprie. C’è piena libertà, in questo caso, di gestire la storia come meglio si crede, che si voglia prediligere la narrazione pura, o lasciare che le decisioni vengano prese dall’esito dei dadi, o mettere i giocatori comunque sulla griglia e costringere a risolvere delle azioni. Questa fase avviene quando sostanzialmente i personaggi non sono coinvolti in un solo evento specifico, né devono reagire alle conseguenze di qualcosa che è accaduto recentemente in maniera diretta.

Il Colpo è invece la fase centrale del gioco, se vogliamo, visto che i personaggi sono dei farabutti. Concettualmente questo evento ricorda un po’ l’equivalente di The Sprawl, perché i giocatori dovranno decidere un Bersaglio, un Piano da mettere in atto, e per passare all’azione si effettua un tiro di ingaggio che stabilisce come il colpo inizia, che problemi ci sono o quali vantaggi inaspettati arrivano al gruppo. Ovviamente il Colpo è costituito da una serie di azioni frenetiche che i giocatori dovranno risolvere fino alla conclusione dello stesso, che sia tragica oppure impeccabile.

La fase di Downtime è invece quella successiva al colpo, dove i personaggi gestiscono il risultato delle loro azioni mentre il narratore stabilisce ricompense ed eventuali ripercussioni di bande rivali o autorità rispetto all’esito del suddetto colpo. In questa fase i giocatori tirano il fiato, decidono come andare in basso profilo o dedicarsi nel racconto dei propri personaggi, che sia l’esplorazione di alcuni aspetti della propria personalità, o più banalmente lasciarsi andare ai bagordi con il bottino accumulato. Dopodiché, una volta risolti tutti i downtime, si torna nella fase di gioco libero.

Sulla carta il sistema è molto complesso, pieno di parole chiave diverse e tiri da fare per risolvere aspetti anche apparentemente semplici. Può indubbiamente spaventare i giocatori e narratori novizi, così come quelli che hanno approcciato solamente i giochi di ruolo “classici”, per così dire: di fronte ad una mole di informazioni del genere ci si può ritrovare spaesati. Noi stessi, durante la lettura, abbiamo dovuto concentrarci parecchio. In realtà le fasi di Gioco Libero, Colpo e Downtime sono estremamente fluide e velocissime nell’esecuzione una volta che si è assimilato il concetto alla base e per questo ribadiamo, come sopra, che Blades in the Dark ha bisogno di una lettura molto approfondita (o forse anche un paio), e che i giocatori devono conoscere altrettanto bene il sistema di gioco, necessariamente.

Per questo, forse, il sistema di gioco rende molto più concretamente sul medio-lungo periodo che nelle one shot per via del suo focus sulla progressione dei personaggi, della banda, e del ricorrere delle tre fasi di gioco di cui sopra. Tuttavia, con un GM già esperto del gioco, una one shot si prepara facilmente impostando il tutto su un singolo colpo, magari. Di base va ricordato che Blades in the Dark non è un gioco che si intavola senza preparazione.

Il flashback come strumento narrativo e di gioco

La meccanica forse più caratteristica, quella che ha dato a Blades in the Dark il passaparola di cui parlavamo, è quella del flashback inserito come regola di gioco. Immaginate la classica scena da heist movie, in cui si scopre che uno dei personaggi ha corrotto una guardia qualche giorno prima del colpo per poter entrare, oppure il classico momento da “sembra che stia andando tutto male” ma, grazie ad un flashback, si scopre che era tutto previsto.

Durante un qualsiasi tipo di azione, i giocatori possono invocare un flashback per raccontare come un’azione svolta in passato ha impatto su quella attuale. Ogni flashback ha un costo in stress, una sorta di valuta che i giocatori ricevono quando le cose vanno male, a seconda di quanto predominante sia l’entità dell’azione avvenuta in passato. Dopo aver deciso il costo, il flashback viene risolto come fosse un’azione, quindi non è mai un modo facile per uscire da una situazione spinosa, e può anche avere bisogno di generare un tiro di downtime per essere espletato: immaginate lo studio di una planimetria, tanto per fare un esempio.

Una meccanica di gioco geniale che riesce a fare ciò che deve senza risultare uno strumento troppo potente per i giocatori. D’altronde non si può modificare il passato o fare dei viaggi nel tempo, perché il tempo presente è sempre importante nella fiction, ma nelle mani di giocatori proattivi e particolarmente fantasiosi è contemporaneamente uno strumento di gioco importante, perché comunque costa stress, ma anche una grande opportunità per inserire nella narrazione alcuni elementi. Immaginate la corruzione di una guardia qualche giorno prima del colpo, che finisce per essere un successo parziale: magari la suddetta guardia si ripresenterà alla porta del personaggio per riscuotere il favore.

Le nostre conclusioni

In ultima analisi non possiamo che fare un plauso al lavoro editoriale fatto da Grumpy Bear. Blades in the Dark è un bellissimo manuale cartonato in A5, con una copertina dall’effetto opaco e un’affascinante stampa traslucida di due lame, senza nessuna lettera o logo stampato in evidenza. Anche l’interno del manuale è davvero ottimo, ampiamente sopra la media di molte produzioni attuali, con una carta molto spessa ed una impaginazione precisa e mai caotica, perfetta per accompagnare la lettura dei tantissimi contenuti da leggere di cui parlavamo.

Trecento pagine non sono poche: ci sono tantissime informazioni così come una approfonditissima descrizione di Doskvol che fornisce a giocatori e narratore una miriade di spunti ed informazioni per creare la crime story perfetta. A questo proposito bisogna dire che Blades in the Dark è un GdR molto particolare, fortemente narrativo con un sistema di gioco che va prima di tutto capito.

Si rivela inoltre indubbiamente difficile da approcciare all’inizio, perché somiglia a tanti altri giochi e allo stesso tempo a nessun altro, ma studiare a fondo regolamento e concept è uno sforzo da fare per godere di uno dei giochi di ruolo più interessanti e stimolanti degli ultimi anni, senza dubbio.


>>Leggi anche: la recensione di Spire – La città deve cadere<<

This post was published on 29 Giugno 2020 16:01

Valentino Cinefra

Valentino Cinefra scrive di videogiochi per varie testate italiane, tra cui SpazioGames, BadTaste e VideoGamer Italia. Su queste pagine si occupa di giochi di ruolo, tra report delle fiere più importanti, analisi dei prodotti del momento, ed approfondimenti più o meno eclettici che mischiano vari argomenti di cultura pop nella speranza di tirare fuori qualcosa di sensato. E pensare che, quando da piccolo gli venne chiesto di provare Dungeons & Dragons, lui rifiutò vigorosamente perché inorridito dall'idea di passare pomeriggi interi a tirare dadi e "raccontare buffonate". Non solo il gioco di ruolo è diventata sua croce e delizia, ma farebbe di turno per tornare in quell'epoca fatta di pomeriggi incredibili, tra avventure senza senso, zero rispetto per il regolamento, e tanta improvvisazione e delirio.

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