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Giochi di ruolo

Community: cosa possiamo imparare, come giocatori, dagli episodi a tema D&D #2

Continua la nostra analisi di Community dal punto di vista del gioco di ruolo, con il secondo episodio dedicato a D&D della serie, ovvero Advanced Advanced Dungeons & Dragons, il decimo della quinta stagione di Community, diretto da Joe Russo e scritto da Matt Roller. In questo periodo della serie, il 2014, lo show era perennemente a rischio cancellazione e già da una stagione Dan Harmon era stato allontanato dal progetto per una serie di vicissitudini poco piacevoli, legate al suo comportamento e alla diatriba con Chevy Chase.

Ciò che ci interessa è che questo episodio è, in termini comparativi, una imitazione dell’episodio di cui vi abbiamo parlato in precedenza. C’è sempre una persona che ha bisogno di un aiuto nella vita reale attraverso D&D, c’è sempre Abed che fa da DM, con l’unica differenza che il gruppo è più ampio e, ad un certo punto, si dividerà completamente. In quanto pallida imitazione ci sono quindi meno riflessioni e spunti prettamente ludici, ma non per questo meno interessanti.

Iniziamo.

Advanced Advanced Dungeons & Dragons – l’analisi

Ancora una volta i personaggi sono pregenerati e stavolta vengono assegnati specificatamente ai giocatori, proprio perché Buzz Hickey (Johnathan Banks) ha bisogno di riavvicinarsi a suo figlio. I PG successivamente vengono mescolati per colpa delle rimostranze di un giocatore ostile che, già dai primi secondi di gioco, si lamenta della struttura railroad della one shot preparata da Abed.

Il giocatore che interpreta il figlio di Buzz si trova subito a disagio nella situazione, proprio perché non vuole che anche in gioco i due siano parenti. Elemento interessante che ci porta alla questione del bleeding accennata nello precedente articolo, nonché della sicurezza dei giocatori. Non tutti i giocatori che hanno rapporti di parentela, o sentimentali che siano, sono a loro agio nel riviverli anche in gioco. Prestate quindi attenzione a preparare una one shot se contiene personaggi di questo tipo, e se conoscete i vostri giocatori magari parlate loro prima di questa possibilità, se pensate che possa creare dei fastidi.

Il giocatore ostile, in seguito, mette subito in discussione la storia della one shot. Per quanto sia surreale, e prettamente rivolto a creare il classico imprevisto da comedy, non è assolutamente improbabile che qualcuno si sieda al vostro tavolo e, nonostante la partita one shot, decida di fare di testa sua. Ovviamente una one shot è studiata per avere uno specifico tema e percorso, e andrebbe detto al giocatore che, insomma, basta che si renda un conto un po’ della situazione.

Certo, il modo in cui i giocatori arrivano a conclusione è ben diverso, e lasciare la libertà ai giocatori di costruire il “come” è il segreto per una one shot perfetta. Non serve avere il faldone gigantesco che Abed tira fuori rispondendo al dubbio del giocatore perché, ancora una volta, una one shot preparata in precedenza è simile ad un racconto breve e dovrebbe andare in quella direzione. Certo, essere pronti all’improvvisazione è sempre un requisito fondamentale per un buon narratore.

Da qui nasce chiaramente un conflitto estremo tra giocatori che Abed, se fosse un DM “normale” e non un attore con un copione da seguire, gestisce in maniera ottima. Dall’incantesimo di fuoco creato dal giocatore, Abed narra che il ponte fatto di corde si rompe, costringendo il gruppo a dividersi. Questo è, nell’assurdità del trattarsi di una sceneggiatura, in realtà uno spunto ottimo per ogni narratore: ascoltate le azioni dei giocatori e date loro un peso nella narrazione. Soprattutto in una one shot è altamente probabile che lo sforzo di costruire il “come” si svolga possa scaturire da uno spunto di un giocatore, che voi non avevate minimamente immaginato. Zero fatica per il DM, massimo divertimento per tutti.

Il conflitto tra personaggi è difficilissimo da gestire, ma non è da bandire a tutti i costi. Se incasellato in un set di regole e intenti comuni, può diventare anche uno spunto divertente da giocare. Certo, in questo episodio è aggravato da un astio personale tra padre e figlio, dove abbiamo di nuovo la sovrapposizione tra giocatore e personaggio, ed una situazione del genere è altamente sconsigliabile nella vita reale.

“Abed, non stai aiutando!”
“Sarei un pessimo Dungeon Master se lo facessi.”

Che dire. Un altro argomento per cui aprire una convention a tema. Semplicemente il Dungeon Master è un giocatore come gli altri, con ruoli e compiti diversi, ma come gli altri deve divertirsi. Nonché far fluire il gioco. Personalmente sono dell’idea che un DM debba prima di tutto lavorare per la storia, quindi, quando serve, deve aiutare i giocatori nel modo più adatto al momento.

Ma non tutti conducono le loro partite allo stesso modo e, non essendocene uno giusto o sbagliato, sostanzialmente sta alla sensibilità di ognuno decidere se sia giusto o sbagliato il modo in cui Abed vede la figura del DM.

Breve parentesi sull’interrogatorio dei goblin. Altro grande modo per cogliere lo spunto dei giocatori e creare una scena del tutto nuova. Se i vostri goblin non parlano, ma un personaggio vi chiede se capiscono la sua lingua per poterlo interrogare, rispondetegli di sì senza esitare. Piegatevi agli spunti dei giocatori se capite che c’è possibilità di plasmare qualcosa di inaspettato.

In seguito, l’episodio sviluppa il conflitto tra i personaggi fino a concluderlo in una battle royale tra tutti quanti. Padre e figlio arrivano alla torre del negromante che è scappato, perché i due hanno battibeccato per tutto il tempo. Buzz si altera con Abed perché, secondo lui, gli devono un finale. Ecco cosa risponde Abed:

“Non vi devo nulla. Sono un Dungeon Master. Creo un mondo sconfinato, limitandolo con le regole. Troppo pesante per un ponte? Crolla. Colpito? Prendi i danni. Passa un’ora davanti alla porta di qualcuno a litigare su chi l’ucciderà? Lui scappa dal retro.”

Un discorso che ovviamente risuona con quanto Abed menziona all’inizio della partita. In questo caso, però, è profondamente giusto. Il gioco di ruolo ha bisogno di regole per funzionare, più o meno complicate o stringenti che siano. Che si tratti di un sistema complicatissimo o un masterless, l’azione di gioco ha bisogno di una struttura per cui i giocatori possano sentirsi eccitati, in pericolo, motivati, e generalmente coinvolti. Un ragionamento ovvio per molti, ma è comunque utile ricordarlo ogni tanto.

Community, come ogni serie televisiva, ha chiaramente molto in comune con la “serialità” di una campagna di gioco di ruolo. Vi abbiamo già raccontato, ad esempio, cosa possiamo imparare da Game of Thrones in questo senso.

Lo show creato da Dan Harmon, invece, con i due episodi in questione offre molti spunti per capire come gestire al meglio una one shot o, al massimo, una sessione di una campagna. A voi coglierli, assimilarli, e reinterpretarli secondo le vostre abitudini.


>>Leggi anche: Community: cosa possiamo imparare, come giocatori, dagli episodi a tema D&D #1<<

This post was published on 19 Maggio 2020 17:00

Valentino Cinefra

Valentino Cinefra scrive di videogiochi per varie testate italiane, tra cui SpazioGames, BadTaste e VideoGamer Italia. Su queste pagine si occupa di giochi di ruolo, tra report delle fiere più importanti, analisi dei prodotti del momento, ed approfondimenti più o meno eclettici che mischiano vari argomenti di cultura pop nella speranza di tirare fuori qualcosa di sensato. E pensare che, quando da piccolo gli venne chiesto di provare Dungeons & Dragons, lui rifiutò vigorosamente perché inorridito dall'idea di passare pomeriggi interi a tirare dadi e "raccontare buffonate". Non solo il gioco di ruolo è diventata sua croce e delizia, ma farebbe di turno per tornare in quell'epoca fatta di pomeriggi incredibili, tra avventure senza senso, zero rispetto per il regolamento, e tanta improvvisazione e delirio.

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