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Giochi di ruolo

Community: cosa possiamo imparare, come giocatori, dagli episodi a tema D&D #1

Per molti anni Community è stata una comedy di culto per un pubblico molto ristretto. Soprattutto in Italia, dove lo show non è praticamente mai esistito, ed era appannaggio esclusivo degli appassionati di serie tv che si procuravano puntate e sottotitoli in quei modi che avete capito ma che non si usano, fate i bravi. D’altronde era ben lontana l’epoca di Amazon Prime Video prima e Netflix poi, dove ultimamente l’eclettico show creato da Dan Harmon ha trovato una nuova vita ed è diventato, finalmente, il talk of the day che ha sempre meritato di essere.

Community è uno show dalla comicità molto intelligente, spesso poco diretta o palese ma arzigogolata e strana per gli standard delle comedy. Per questo 1) è stata sempre a rischio cancellazione dalla terza stagione in poi, e 2) non è mai diventata un prodotto amato dalle masse.

Tra le cose per cui Community è nota sono gli episodi a tema. Che siano quelli che citano i gangster movie, i film di guerra, Law & Order e compagnia bella, o quelli che portano un tema centrale molto forte come il meta-referenziale episodio bottiglia in cui Annie Edison (Alison Brie) costringe il gruppo di studio a cercare una sua penna persa (che poi, insomma… occhiolino), oppure i due episodi a tema Dungeons & Dragons.

Il primo episodio a tema, il quattordicesimo della seconda stagione, è Advanced Dungeons & Dragons, andato in onda il 3 febbraio 2011, scritto da Andrew Guest e diretto da Joe Russo: sì, uno dei due Russo della Marvel cinematografica, che proprio grazie ad alcuni episodi di questo show sono entrati nelle grazie della Casa delle Idee. Un episodio fortemente voluto da Dan Harmon stesso, per il quale ha sempre raccontato di aver combattuto con la rete, fino a concedergli di incentrare una intera puntata dello show intorno a D&D.

Se avete mai visto una puntata di Boris, sapete già come funzionano queste cose. Non è semplice per un network nazionale come NBC accettare di incentrare una puntata intera su una cosa da nerd come D&D: ricordate, era il 2011 e il nerdismo non era ancora così goloso per i marketer come lo è ora, quindi è già una mezza vittoria avere una puntata del genere. Perché The Big Bang Theory usa questi temi per creare delle gag, mentre Dan Harmon, da appassionato del tema in sé, lo piega alla sceneggiatura per raccontare, in realtà, i personaggi di Community e le loro amorevoli e detestabili sfaccettature. D&D non è la macchietta per creare la gag, ma uno strumento di storytelling televisivo.

Questo significa che Advanced Dungeons & Dragons, ed Advanced Advanced Dungeons & Dragons, episodio 10 della quinta stagione dove Dan Harmon non è coinvolto in alcun modo, come vedremo successivamente, sono due episodi dove il gioco di ruolo più famoso del mondo® non solo è rappresentato con cognizione di causa, ma è così tanto curato che può fornire degli spunti anche a noi giocatori consumati su come portare avanti le nostre campagne e su come giocare i nostri eroi preferiti.

Iniziamo con il primo dei due episodi, per poi analizzare l’altro in un secondo articolo che potrete trovare su queste pagine nei prossimi giorni.

Advanced Dungeons & Dragons – l’analisi

La trama dell’episodio vede Jeff (Joel McHale) intento, con l’aiuto di Abed (Danny Pudi), ad organizzare una partita di D&D per coinvolgere nel gruppo Fat Neil (Charley Koontz), ultimamente vessato da tutto il Greendale Community College. Riguardo quest’ultimo punto c’è anche uno snodo della trama che dimostra, ancora una volta, quanto Community sia una comedy brillante ed onesta, ma non ve lo sveliamo nel caso non abbiate visto l’episodio. Nel caso: rimediate!.

Così tutto il gruppo di studio viene coinvolto in una partita con Abed nei panni del DM: una one shot chiamata The Cavern of Draconis. Tutti tranne Pierce (Chevy Chase) perché, da sempre, è una persona dagli atteggiamenti sgradevoli che gli altri personaggi faticano a sopportare, e in questo caso, visto che l’intento è incoraggiare Neil, una persona come Pierce potrebbe fare solo danni.

Ecco, questo è già un elemento da vita di tutti i giorni su cui riflettere. Nella fiction di Community ovviamente la situazione è diversa, ma è giusto escludere una persona sgradevole da un gruppo di gioco, pur frequentandola assiduamente nella vita? Come potrebbe prenderla? Magari sarebbe meglio includere quella persona nel proprio gruppo, confrontandosi con lui/lei prima in modo da appianare ogni divergenza. Anche perché, come si scopre alla fine dell’episodio, magari viene fuori che siamo noi ad esserci comportati in maniera sgradevole senza essercene accorti.

Ma andiamo avanti.

Come detto, la partita di D&D dei Greendale Seven viene svolta unicamente per far sentire Fat Neil un vincente, una volta tanto. Quindi non tutti al tavolo sono davvero interessati a giocare a D&D, e mentono spudoratamente quando Neil chiede loro se sono davvero interessati a giocare. Un intento lodevole ma che, per esperienza personale, può portare a situazioni deleterie nel lungo termine.

Avere una campagna con al tavolo persone che non sono davvero interessate, ma giocano “tanto per”, è una bomba ad orologeria: quando il timer arriva a zero, il tavolo scoppia. Cercate sempre di essere attenti ai giocatori, e di circondarvi di persone che abbiano davvero interesse a vivere con voi una campagna e che cerchino un modo per passare il tempo: l’una non esclude l’altra, ma devono coesistere reciprocamente.

Altro dettaglio interessante nella follia di Chang (Ken Jeong): è l’unico a truccarsi al tavolo, suscitando le reazioni confuse di tutti. Chang lo fa perché, beh, è fondamentalmente psicopatico, ma se tutti sono concordi, perché non usare i costumi di scena anche per il GdR da tavolo?

Senza il bisogno di vestirsi completamente, anche perché il tempo è tiranno con le sessioni settimanali (vero?), magari si potrebbe usare un cappello, una parrucca, una camicia particolare, anelli e chincaglierie varie, o semplicemente vestirsi a tema nel caso si stia giocando, che so, un noir, e rispolverare una semplice camicia e cravatta. Può funzionare, dà un piccolo tocco di immedesimazione in più e aiuta il teatro della mente.

Abed si ritrova con un gruppo di giocatori neofiti e nel contempo Neil, che invece ha un personaggio che porta avanti da molti anni. Il DM, quindi, ha bisogno di presentare l’avventura a tutti quanti e, sostanzialmente, illustrare anche cosa si sta per fare. Necessaria per una campagna e fondamentale per una one shot, la presentazione è tutto.

Catturare i giocatori dal primo secondo di gioco per una partita secca, o costruire insieme un incipit per una campagna, è come mettere male i tasselli della base di Jenga: in pieno stile Community, una battuta meta-referenziale sulla serie. Un punto esperienza a chi la collega.

Quello che io faccio per le one shot, ma che è solo un consiglio e non deve per forza andare bene per tutti, è presentare brevemente il gioco e fornire alcune suggestioni ad esso legate. L’epica, il noir, il bene contro il male o un racconto di canaglie, e così via. Poi, presentare l’avventura immaginandola come se mi trovassi di fronte ad una riunione di manager di un’emittente televisiva, e dovessi presentare il mio soggetto per una nuova serie. Oppure, immaginatelo come la descrizione di un prodotto su Netflix, tanto per rimanere in tema. Una o due frasi che racchiudano tutto quello che i giocatori devono subito percepire da quello stanno per giocare. Non serve altro, il resto arriverà durante la partita.

Abed poi passa alla consegna dei personaggi, che i suoi amici scelgono a casaccio senza interesse nel capire cosa stia succedendo davvero. In questo caso, soprattutto con giocatori neofiti, non serve a nulla spiegare la scheda in anticipo, ma può aiutare specificare se ci siano personaggi più o meno difficili da giocare rispetto ad altri.

Presentate degli archetipi che siano subito chiari, magari collegati ad una bella illustrazione; meglio del volto, così i giocatori inizieranno ad immaginare vestiario, postura, ecc. “Il bel tenebroso”, “la guerriera onorevole”, “l’infido mercante”, “lo spietato corporativo”, e così via. Potete giocare anche un po’, fornendo per esempio anche un motto del personaggio e basta, una frase chiave che lo descriva e che faccia capire subito che tipo è.

Spiegare la scheda può essere controproducente, perché magari un giocatore vuole lanciare le magie ma non ha voglia o le conoscenze pregresse per capire al volo come funzionano gli incantesimi, tanto per fare un esempio. Con un archetipo o una suggestione di questo tipo è più probabile che scelga un personaggio nelle sue corde, e che quindi si diverta di più, che è l’obiettivo fondamentale e primario.

A seguire Abed spiega l’incipit della storia, e lo fa in maniera perfetta. Senza introdurre le regole, parte a spiegare il contesto della storia, cosa lega i personaggi e qual è l’obiettivo della loro storia. Con un modulo d’avventura old school come quello della puntata è più facile, ma anche se state per giocare un appassionante thriller o un intricato gioco politico, partite da elementi semplici: background, scenario, contesto, ingaggio. Ci sarà tutto il tempo, durante l’avventura, per mettere in scena tutto il resto.

Mentre Jeff è ancora restio a capire D&D, il gruppo presenta i propri personaggi. Cosa fondamentale perché, insomma, il gioco di ruolo funziona nel teatro della mente e bisogna pur metterlo in scena prima o poi. Dopo l’archetipo, un’immagine del personaggio e una spiegazione sommaria di chi è e cosa fa nella vita, chiedete ai giocatori di presentare i propri personaggi nel modo che meglio credono. Aggiungete, magari, la richiesta per i giocatori di descrivere cosa stanno facendo nella scena in quel momento. In questo modo avranno praticamente completato tutto quello che serve per la creazione del proprio eroe: estetica, carattere, modi di fare e/o dire.

Abed non è neanche bravissimo a scegliere i nomi, nell’imbarazzo generale, perciò siate certi di scegliere dei buoni nomi, oppure lasciate che siano i giocatori a farlo. Hector il Bendotato è, per altro, un personaggio che Abed ha pensato per una persona specifica, ovvero il suo migliore amico Troy. Altra riflessione interessante per le one shot: creare personaggi a priori o modellarli secondo i giocatori?

Se conoscete bene chi giocherà al vostro tavolo, la seconda opzione può essere molto stimolante, nonché creare scenari che possano risultare molto simpatici. Avete la ragazza che gioca sempre personaggi affascinanti e carismatici? Datele una nana guerriera brutta e antipatica. Ovviamente lo si può fare avendo cura di non esagerare, e soprattutto di non creare situazioni spiacevoli, anche riguardo a storie con temi forti. Se volete creare personaggi dal passato turbolento o doloroso, assicuratevi di non assegnarli a chi potrebbe risentirne, o semplicemente non sentirsi a suo agio.

Abed mette poi i personaggi subito nell’azione, in media res. Scelta ottima, così i giocatori sono subito coinvolti nella narrazione e, contestualmente, prendono confidenza con le regole nel caso non ce l’abbiano. Non come Troy, che attacca fieramente con le sue “note addizionali” sulla scheda.

Se anche doveste scegliere di buttare i personaggi nell’azione furiosa, metteteli subito al centro della scena, di qualunque tipo sia: qualcuno li sta pedinando, esplode un negozio dall’altra parte della strada, ricevono uno strano messaggio che chiede di rispondere subito, e così via.

Nella prima scena Britta interrompe la narrazione, da perfetta rompiscatole qual è, proponendo l’idea che i goblin possano essere in realtà non così cattivi come sembrano. Teoricamente, se avete spiegato bene quali sono i toni della storia nella presentazione, nessuno dovrebbe sollevare “obiezioni” del genere.

Se giochiamo un’avventura in cui bisogna trovare un drago e sconfiggerlo, siamo eroi fantasy old school, pertanto gli umani sono buoni e i mostri sono cattivi, per rimanere nell’esempio di Community. Interazioni del genere possono rallentare inevitabilmente il flusso di gioco, ma non ignoratele a prescindere perché, di base, sono legittime idee di un personaggio.

Ascoltatele ed inseritele nella narrazione, perché saranno i nemici o gli altri personaggi a dimostrare che i goblin in questione sono solo dei mostriciattoli assetati di sangue e soldi, oppure davvero un popolo disperato in cerca di cibo. Tutti gli spunti che arrivano dai giocatori vanno ascoltati, perché a volte consegnano delle idee a cui non avreste pensato e che, magari, migliorano pure la vostra avventura.

Una piccola nota su Abed ed il suo modo di masterizzare. Per esigenze sceniche televisive è solo lui a tirare i dadi e non ogni personaggi; il tutto è chiaramente fittizio perché è una sceneggiatura di una serie TV, non una partita vera, ma… e se fosse un’idea per facilitare ancora di più i giocatori neofiti?

Certo, è un peso notevole per un DM in un gioco mediamente complesso come D&D, e lasciare ai giocatori il compito di conoscere la propria scheda ed effettuare i lanci in autonomia serve a far prendere loro confidenza con il gioco ed essere sempre più sciolti, ma non è uno spunto da scartare del tutto. Con un gioco meno complicato, magari, tirare tutti i lanci di dado può servire a velocizzare l’immedesimazione e rendere la partita molto più scorrevole per i giocatori.

Neil, poi, con il suo personaggio, effettua un’azione epica e sconfigge in toto i nemici rimanenti. Ecco, una cosa che non si smette mai di dire abbastanza: siate fan dei personaggi. Con un colpo critico un guerriero ha mandato a monte lo scontro che avete speso 2 ore a preparare? Bene, mettete da parte l’inutile frustrazione e celebrate la scena in maniera epica, narrando le gesta del personaggio.

Bonus tip: in D&D i combattimenti non devono per forza finire quando i nemici vanno a 0 punti ferita, se in quel momento della narrazione un colpo di grazia può rappresentare un finale degno di nota. Ricordatelo.

Pierce, infine, si accorge di cosa stia succedendo, e la scena ci riporta inevitabilmente ad una delle riflessioni iniziali riguardo l’escludere o l’includere amici o conoscenti al tavolo. Ovviamente nella classica routine delle comedy i personaggi mentono spudoratamente, così che Pierce lo capisca e se la prenda con loro, ma nella realtà il dialogo è sempre la soluzione: per quanto possa creare incomprensioni e momenti sgradevoli, l’onestà premia sempre.

Il gioco di ruolo è un hobby che richiede dedizione e un clima sereno tra giocatori, altrimenti non funziona. Alla fine Pierce, per senso di colpa degli altri e imposizione di quest’ultimo, si unisce al tavolo con l’intento di “vincere” la partita. Nell’esagerazione comica della scena, questo è l’equivalente di cosa può succedere quando un gruppo di gioco è diviso negli intenti. Pierce gioca contro il gruppo e crea situazioni di ostilità che non portano niente al gioco, arrivando ad uccidere il personaggio di Chang per pura ripicca.

A questo punto l’episodio cambia direzione: Pierce inizia a fare metagaming feroce studiando l’avventura di nascosto, allo scopo di sconfiggere i suoi nemici. Ancora una volta questo è ciò che serve ad un episodio di una serie TV, ma che difficilmente può succedere in una partita reale. C’è un dettaglio da osservare però, partendo da Abed che permette a Pierce di “strofinare con successo sulle palle” la spada rubata a Neil.

Il DM dovrebbe essere imparziale a tutti i costi, come suggerisce lo stesso Abed poco dopo? Sì, ma non ad ogni condizione.

Se davvero ci fosse un giocatore ostile come Pierce è compito del narratore fermare il gioco e parlare con il gruppo, cercando di capire cosa stia succedendo in realtà. Perché c’è sempre una motivazione per cui un giocatore si comporta con ostilità rispetto alla narrazione, al DM o agli altri, proprio come tra l’altro accade a Pierce nella storia dell’episodio.

Che sia per un carattere scontroso, e in quel caso è da mettere inevitabilmente in discussione la sua presenza, o un meccanismo di ribellione verso qualcosa che non trova giusto nella partita, è sempre bene parlarne. Difficile che succeda in una one shot, va detto, ed è una cosa che capita di più in una campagna, ma mai dire mai. Nell’episodio il conflitto evolve con Jeff ed Abed che spiegano la situazione a Pierce, il quale rivela il perché dei suoi comportamenti.

La surreale partita di D&D continua con Pierce che si separa dal gruppo per complottare contro i suoi amici. Uno scenario, a pensarci bene, neanche così surreale da riproporre, volendo. Costruire una one shot dove uno dei personaggi si rivela fin da subito il villain è uno spunto narrativo niente male. Certo non semplice, ma neanche impossibile. Dividere fisicamente i giocatori diventa un’impresa senza un secondo narratore ad aiutarvi, ma lasciarlo al tavolo a giocare apertamente contro gli altri può essere stimolante, oltre che utile nella fruizione. È una partita complicata da gestire, sicuramente, ma con bravi giocatori che non fanno metagame può essere a dir poco eclettica.

Nel dialogo tra Britta e il locandiere gnomo, interpretato da Abed, c’è qualcosa di semplice quanto efficace: gli espedienti per mandare avanti la storia. Il fatto che “Pegaso” sia una parola conosciuta in ogni lingua è un espediente comico per infastidire Jeff, ma ci suggerisce l’idea che, per far scorrere una one shot, bisogna a volte tagliare corto e cercare di sopperire ad eventuali mancanze o sfortune dei giocatori. Immaginate il classico indizio che non si trova perché si ha sfortuna con i dadi, o i giocatori che non sanno dove andare a parare: in una one shot bisogna trovare un modo per proseguire, quando serve.

In seguito Jeff cerca di sedurre una locandiera per ottenere un pegaso in prestito e, dopo un esilarante scambio di battute in cui flirta con Abed, è lo stesso Jeff a tirarsi indietro dalla scena perché non si sente a suo agio. Sul tema della sicurezza dei giocatori si può aprire letteralmente un simposio di un fine settimana. Per amore di sintesi, ispirandoci alla scena di Community, diciamo che è importante stabilire all’inizio i toni dell’avventura, per capire come giocare scene del genere. La seduzione, poi, è una cosa molto difficile da portare in gioco perché, tra l’imbarazzo genuino e le diverse vedute dei giocatori, si possono facilmente creare delle situazioni poco piacevoli.

La soluzione come sempre è quella di parlare con i giocatori, nel caso ci siano problemi. Non è necessario raccontare con dovizia preliminari e coito come fa Annie (mentre Troy prende appunti!), e si può tranquillamente saltare l’atto in sé semplicemente narrando tutto quello che succede prima, che invece può essere una cosa molto esilarante nonché utile. Immaginate di giocare a ruoli invertiti, con giocatori non puerili, può essere un modo per affrontare scherzosamente temi anche complicati come il maschilismo estremo, nonché semplicemente scoprire lati di sé interessanti giocando dall’altra parte del genere, una volta tanto.

È un discorso complesso, appunto ma in generale il dialogo è sempre il modo migliore per proseguire in tranquillità con scene che non dovrebbero essere mai pesanti. Se lo sono è meglio evitarle, o trovare il modo per alleggerirle.

Mentre Pierce torna nella stanza pronto a scatenare il suo piano malvagio, la scena vede il suo personaggio in condizioni pessime: ovviamente è una trappola. La reazione del resto del gruppo è ovviamente esaltata, ma è Shirley (Yvette Nicole Brown) a darci uno spunto interessante. La donna si lascia sfuggire, per un attimo, le sue vere considerazioni su Pierce, affrettandosi ad aggiungere che si trattano invece di quelle nei confronti del suo personaggio. Quello della sovrapposizione tra personaggio e giocatore è una tema profondo e interessante, difficile da affrontare e complesso da comprendere. Può accadere, è inevitabile, che screzi personali possano influire sulle dinamiche di gruppo nel gioco, così come, al contrario, una dinamica di gioco può essere “portata fuori” e diventare un motivo di discussione.

È pericoloso, perché le due sfere andrebbero scisse in ogni maniera. Per questo tendenzialmente si consiglia di giocare con persone con cui si ha un rapporto almeno sereno, se non buono, così poi da non farsi influenzare nel corso della partita. Questo non significa che una genuina diatriba scaturita dal gioco sia da condannare, ma non bisogna mai dimenticarsi che tutto deve rimanere sul tavolo e non uscirne.

Infine, la vicenda dell’episodio e dell’avventura va a concludersi. Pierce mette in atto il suo piano malvagio e svela non solo il perché delle sue azioni, ma anche le motivazioni per cui è nata la partita su impulso di Jeff. In questo caso, sorvolando sull’assurdità prettamente scenica di Pierce che ruba dei manuali per studiare l’avventura in anticipo, si può fare una riflessione sul concetto di metagioco.

Pierce mette in scena il suo piano perché nasconde dei dettagli al gruppo, ma effettivamente una soluzione del genere potrebbe risultare fastidiosa perché gli altri giocatori non hanno possibilità di fare nulla prima che il piano si concluda. Eliminare il metagioco, oppure usarlo rendendolo pubblico per dare più coerenza alla narrazione, è un modo per creare comunque quell’idea di “guerra fredda”, se vogliamo, ma lasciando a tutti i giocatori la consapevolezza di cosa sta accadendo.

This post was published on 15 Maggio 2020 17:03

Valentino Cinefra

Valentino Cinefra scrive di videogiochi per varie testate italiane, tra cui SpazioGames, BadTaste e VideoGamer Italia. Su queste pagine si occupa di giochi di ruolo, tra report delle fiere più importanti, analisi dei prodotti del momento, ed approfondimenti più o meno eclettici che mischiano vari argomenti di cultura pop nella speranza di tirare fuori qualcosa di sensato. E pensare che, quando da piccolo gli venne chiesto di provare Dungeons & Dragons, lui rifiutò vigorosamente perché inorridito dall'idea di passare pomeriggi interi a tirare dadi e "raccontare buffonate". Non solo il gioco di ruolo è diventata sua croce e delizia, ma farebbe di turno per tornare in quell'epoca fatta di pomeriggi incredibili, tra avventure senza senso, zero rispetto per il regolamento, e tanta improvvisazione e delirio.

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