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Giochi di ruolo

Smonta il Sistema: l’impatto del sistema nella storia

Quasi un anno è trascorso dall’ultimo articolo di Smonta il Sistema – conciliare università e lavoro full-time non è semplice. Eppure, rieccomi qui. Non posso promettere una presenza costante come nel periodo d’oro, ma spero di riuscire ogni tanto a mettere per iscritto idee che credo valgan la pena di essere diffuse.

A questo giro, volevo trattare dell’intersezione di una serie di questioni che mi stanno a cuore. Di un tema che si lega da un lato alla sfera dell’importanza della rappresentazione della diversità e delle minoranze nei giochi, e dall’altro lato ad alcuni falsi miti sul gioco di ruolo che è bene sfatare – il mito del “con questo gioco ci fai tutto | questo è un sistema generico/universale | il sistema non conta | un bravo master può raccontare qualsiasi storia con qualsiasi sistema”.

Si tratta del tema di come le meccaniche dei giochi non siano mai neutre, ma veicolino sempre certi tipi di storie, di mondi, di rappresentazioni e di identità, e non altre (e mai tutte). In questo senso, le meccaniche dei giochi di ruolo sono politiche. Ho trattato questo tema ad una conferenza per il TO Play 2019 a Torino, dal titolo “Rappresentazione e Inclusività nel GDR – dal cavaliere che salva la principessa agli elfi genderfluid“.

Un po’ per ragioni di spazio e un po’ perché Player.it è una testata di giochi, qui darò un taglio diverso. Darò per scontato che la rappresentazione e l’inclusività di diversità e minoranze siano buone e giuste, e mi soffermerò sull’analisi dell’impatto che hanno le meccaniche dei giochi nel permettere di raccontare e vivere qualcosa, ma non qualcos’altro, e mai tutto.

Ultimo preambolo: per i contenuti di questo articolo sono fortemente debitore della talk Designing Queer Games di Avery Alder, autrice, tra le altre cose, di Cuori di Mostro.


Indice

Parte 1 – Il sistema non conta?

È opinione diffusa che i sistemi dei giochi di ruolo siano un supporto neutro alla storia e alla narrazione – così, viene spontaneo pensare che con GURPS e la sua universalità e modularità si possa giocare qualunque storia; che si possa utilizzare D&D o Pathfinder per riadattare e giocare One Piece, o il Trono di Spade, o qualsiasi sia la vostra ambientazione preferita del momento; che un Bravo Master™ possa raccontare qualunque tipo di storia a prescindere dal sistema che si utilizza.

Avendo giocato circa 70 giochi di ruolo per me è lampante l’inadeguatezza di questa visione, e quante possibili storie e avventure e sfumature si perdono se si pensa di poter fare tutto con un solo gioco. Spiegare per bene il perché non è però così immediato. Spero in questo articolo di riuscirci, portando tanti esempi concreti di giochi – e spero che questo possa stimolare a giocare, giocare e giocare tanti giochi e tante storie diverse.

Parte 2 – Stessa storia, diversa esperienza, diverso significato

Ribbon Drive

C’è un gioco di ruolo chiamato Ribbon Drive, in cui ciascun partecipante prepara una playlist musicale, e sia la situazione (che deve essere un viaggio in auto) che i personaggi che lo svolgersi del gioco saranno influenzati dal brano che sta venendo trasmesso in quel dato momento – come partecipanti ci facciamo ispirare e trascinare dal testo, dalla melodia, dal mood, e la storia e i nostri personaggi prendono forma di conseguenza.

Impostando casualmente le playlist, quando ci ho giocato la prima canzone ha esordito dicendo “There’s a killer among us” (c’è un omicida tra noi). Non è il luogo adatto per raccontare la storia, ma garantisco che già questo solo primo verso è stato fondamentale. Ad ogni modo, limitandomi ad un solo momento, arrivati all’epilogo mi sono trovato a riprendere i sensi e scoprire che la donna che amavo e che mi aveva rapito non c’era più.

Dopo tutta la situazione, e ispirandomi alla musica tetra e angosciante di quel momento, volevo raccontare di come rimanevo a morire bloccato nella Jeep ribaltata nella tempesta di sabbia nel bel mezzo del Sahara. Proprio a quel punto, però, è iniziata un’altra canzone: Still Loving You degli Scorpions. Ed ecco che allora ho concluso l’arco del mio personaggio addentrandomi disperato nella tempesta, gridando il nome di River, perché nonostante tutto l’amavo ancora.

Ribbon Drive è un gioco sul lasciarsi andare, abbandonare le aspettative e vivere sul momento. Funziona su molteplici livelli, sia dei personaggi che dei giocatori.

Pupi o Zar

Immaginiamo un altro gioco di ruolo semplicissimo e universale: le regole sono molto semplici – i giocatori dicono quello che vogliono far fare ai loro personaggi, il master racconta le conseguenze di queste azioni, e racconta anche l’ambiente e tutti i PNG. Tornerà anche più avanti, quindi diamogli un nome. Lo chiameremo Pupi o Zar. Chi controlla il mondo è lo Zar, tutti gli altri sono i Pupi. Se il sistema non conta, con un gioco così e un Bravo Master™ si può raccontare qualsiasi storia, giusto?

E immaginiamo che per una miracolosa coincidenza un gruppo giochi a Pupi o Zar e produca esattamente la stessa storia, con gli stessi personaggi, descrizioni e dialoghi che io e i miei amici abbiamo giocato grazie a Ribbon Drive.

Il Pupo che ha mandato il suo PG alla ricerca di River nel deserto l’ha fatto verosimilmente perché lo pensava come l’esito più adatto per il personaggio. Il risultato finale è davvero lo stesso? È ancora una storia sul lasciar andare le aspettative e seguire il flusso, se ti sei pianificato in anticipo cosa far fare al personaggio e poi l’hai seguito?

Sembrerebbe insomma che oltre alla storia, per l’esperienza conta anche il come puoi o non puoi dire certe cose, cosa ti porta a dirle, cos’altro avresti potuto dire.

Lovecraftesque

Vediamo un altro paio di esempi: molte persone non apprezzano Lovecraftesque perché il personaggio ruota tra tutti i partecipanti ed è poco più di un pretesto per mandare avanti la storia. Per come funziona il gioco, non si innesca il coinvolgimento per il personaggio, ma solo per la storia. Non lo senti tuo, non senti di essere il PG. Se si giocasse a Pupi o Zar in due, producendo la stessa esatta storia di una specifica sessione di Lovecraftesque, ma con il Pupo che fa sempre il PG… se il sistema non conta non è cambiato niente, la storia è sempre quella precisa identica, no? Eppure stavolta il coinvolgimento per il PG può essere più forte.

Dungeons & Dragons

Il gruppo di avventurieri si trova in una situazione disperata, i coboldi stanno sciamando da ogni dove – ormai sembrano spacciati, ma all’ultimo, lo Stregone sfodera un asso nella manica che non aveva mai mostrato prima: Palla di Fuoco!

Immaginiamo che questa situazione sia avvenuta giocando a Dungeons & Dragons, e che lo Stregone avesse raggiunto il 5° Livello poco prima e avesse appena ottenuto la tanto agognata Palla di Fuoco. La sensazione sarà quella di essersi sudati il nuovo incantesimo e l’aumento di potenza, con molte sessioni in cui si era più deboli, e finalmente riuscendo a sbloccarlo.

E se un gruppo giocasse la stessa identica situazione con Pupi o Zar? Lo Stregone annichilisce i coboldi con un incantesimo mai usato prima – ma se avesse voluto, avrebbe potuto dire di usarlo fin dalla prima scena della prima sessione (oppure sarebbe stato concesso o negato ad insindacabile giudizio dello Zar). Anche se il risultato è lo stesso, la play experience è totalmente diversa, e così anche ciò di cui sta parlando la storia – da un lato di personaggi che gradualmente si conquistano un maggior potere, dall’altro dipende… magari personaggi con un enorme potere ma che utilizzano soltanto in situazioni drammatiche per via delle pesanti conseguenze e responsabilità che comportano?

Parte 3 – Pupi, Zar e Regole

Abbiamo visto che a parità di personaggi ed eventi, il chi ha introdotto gli elementi, in base a cosa, e cos’altro avrebbe potuto dire ma non ha detto, sono importantissimi per definire l’esperienza di gioco e i temi della storia.

Lo si può capire anche con questa analogia: se vi racconto una barzelletta su una persona che inciampa su una banana e cade, non ridete – abbassate lo sguardo provando giustamente imbarazzo per me. Se però vi racconto di quella volta successa veramente in cui la mia amica Ginevra è caduta su una buccia di banana (senza farsi niente), magari invece ridete sì. È fondamentale per la comicità se una storia è vera o meno – se non lo è non ci sono paletti a quello che si può dire, e la soglia di ciò si deve dire per farci ridere è generalmente più esigente, e in ogni caso è diversa. Lo stesso vale nei giochi di ruolo – ciò che dà diritto a chi di raccontare cosa è fondamentale per il come consideriamo e reagiamo alla storia, per il significato che avrà per noi, per il ricordo che ci lascerà, ecc.

Facciamo un passettino in avanti, guardando a Fantasy World e a Cuori di Mostro, due giochi della famiglia di sistemi powered by the apocalypse (pbta).

Fantasy World è un GdR per giocare avventurieri fantasy. C’è una regola che si attiva quando si cerca di far male a qualcuno in una situazione conflittuale – la cosa più vicina che c’è nel gioco al tiro per colpire di D&D. Questa, a determinate condizioni, permette di scegliere, tra le altre, di condurre l’avversario in una posizione scomoda. Inoltre ogni volta che un PG o un PNG/mostro viene ferito da qualcosa, deve scegliere da opzioni come “lasciar cadere qualcosa di importante” o “ti si è rotto un arto/appendice” o “cicatrice” o molte altre.

Cuori di Mostro invece è un gioco di teen drama soprannaturale, un po’ come Buffy l’Ammazzavampiri o Life is Strange. Se andiamo a guardare la regola che si attiva quando si cerca di far male a qualcuno (il “tiro per colpire”, si sarebbe tentati di dire erroneamente), pur essendo il gioco sempre un sistema pbta (e anzi, proprio per questo) vediamo che la regola è ben diversa da quella di Fantasy World. È abbastanza breve, quindi la riporterò tutta:

Scagliarsi contro Qualcuno

Quando ti scagli contro qualcuno, tira 2d6+Instabile.

Con 10+, infliggi danno, e loro si bloccano momentaneamente prima che possano reagire.

Con 7-9, li ferisci ma scegli uno:

  • Imparano qualcosa sulla tua vera natura e guadagnano un Filo su di te [influenza/potere contrattuale con cui si può ricattare ecc].
  • È il GM a decidere alla fine quant’è l’intensità del Danno [spesso un risultato peggiore significa un Danno maggiore di quello che volevi fare, con tutte le drammatiche conseguenze del caso].
  • Diventi il tuo Sé Oscuro [ogni tipo di personaggio può cadere in una crisi con comportamenti molto disfunzionali e ciascuno ha il suo modo per uscirne].

Con 6-, il GM fa avvenire una Reazione Dura.

Se si giocasse a Pupi o Zar un teen drama soprannaturale, starebbe alla Bravura del Master pensare al fatto che rivelare la propria natura a qualcuno è una conseguenza spesso interessante. Il che già non è per nulla scontato – d’altronde se davvero facessimo affidamento totale sul Bravo Master™, a cosa ci servirebbe comprare dei manuali di un qualsiasi gioco? Ma invece tutti usiamo dei giochi effettivi.

Ma il punto più sottile è che sarebbe diverso anche se il Bravo Master™ riuscisse a pensare a tutte queste cose senza bisogno del sistema X o Y. Lo si vede forse più chiaramente con Fantasy World: quando si arriva a scontrarsi fisicamente, si cerca di superare la guardia, si conduce l’avversario in posizioni svantaggiose, ci si rompono le ossa, ecc. C’è chi dice “ma posso farlo anche con D&D” – che già non è vero, perché ad esempio non si può condurre l’avversario in posizioni svantaggiose durante uno scontro. Ma guardiamo al caso di ferite e rotture di arti con cui fare i conti: se il Master le usa in D&D sta decidendo lui quando questo avviene oppure no.

In Fantasy World come giocatore so a cosa stiamo giocando tutti, come funziona e quindi che cosa posso fare per provare a rompere le ossa a qualcuno o provare ad evitare di rompere le mie. Se vengono introdotte “a prescindere dal sistema” dal Master, come giocatore mi verrebbe tolta agency e sarei in balìa del gusto e delle idee del Master, sperando che quello che faccio vada bene per quello che voglio fare, ma dovendo affidarmi non ad un quadro condiviso ma a quello che vuole raccontare un’altra persona.

Allo stesso modo in Cuori di Mostro come giocatore so che se faccio del male a qualcuno rischio di rivelare la mia vera natura, e posso regolarmi di conseguenza – mentre se fosse a discrezione del Master che racconta perché “il sistema non conta e non serve” i giocatori si troverebbero in una condizione in cui hanno molta meno agency sul mondo di gioco.

Anche immaginando che la storia risultante sia identica, l’esperienza di gioco, l’agency dei giocatori, il significato della storia, il livello di coinvolgimento verso i vari elementi variano: variano a seconda del sistema con cui si sta giocando, di chi ha detto cosa, di cos’altro avrebbe potuto dire, di cosa sapeva quando ha compiuto le scelte, ecc.

Sempre in Cuori di Mostro, tra le tante peculiarità degli archetipi, il Fatato può scegliere la seguente:

Esca

Ogni volta che qualcuno ti fa una Promessa, loro segnano Esperienza.

Ogni volta che qualcuno rompe una Promessa che ti ha fatto, tu segni Esperienza.

Come si può intuire, il Fatato gioca tra le altre cose sul tema delle promesse, della fiducia e della rottura di questa fiducia. Esca fa sì che gli altri giocatori siano fortemente tentati dal fare promesse al tuo personaggio. E che tu sia fortemente tentato dallo spingere al limite queste Promesse in modo che non riescano a rispettarle – per poi reagire male (un’interessante dinamica psicologica da esplorare).

In Worlds in Peril, gioco di supereroi, so che posso spingermi al limite per riuscire in qualcosa che sta andando male, ma che così facendo sto mancando ai miei doveri verso partner, o famiglia, o lavoro o amicizie o cittadinanza, che rimarranno delusi (e lo si vedrà in una scena apposita). Se succedesse solo se e quando viene in mente al Master non potrei compiere determinate scelte.

Chiaramente a Pupi o Zar un gruppo potrebbe uscirsene, per una miracolosa coincidenza, con una storia identica a quella del Fatato o della Super-eroina che pacca la fidanzata per salvare la città. Ma finora abbiamo parlato di queste miracolose coincidenze dando come punto di partenza che ci sia un gruppo che con Pupi o Zar (o “con D&D, o GURPS, o…”) produce una storia identica a quella di un altro gruppo che invece usa, poniamo, Cuori di Mostro o Worlds in Peril.

Eppure questi meccanismi di incentivi non sono neutri – vi spingono a parlare di certe cose e non di altre, a mettere a fuoco qualcosa e non qualcos’altro. I nessi di cause-effetti di un dato gioco, sia al livello dei personaggi che a quello dei partecipanti, danno una certa agency ai giocatori e fanno sì che si raccontino certi tipi di storie, e non altre.

Parte 4 – Storie che non si riescono a raccontare

Nelle parti precedenti abbiamo visto come anche a parità di storia, eventi e personaggi, il modo in cui si gioca può cambiare molto l’esperienza, il significato di ciò che si sta facendo, i temi della storia, e il coinvolgimento verso personaggi ed eventi. Abbiamo lasciato lì senza toccarlo l’assunto che comunque se anche l’esperienza cambia, il Bravo Master può farvi vivere qualsiasi storia con qualsiasi gioco, se guardiamo solo alla storia. Ora facciamo un ulteriore passo avanti e chiediamoci: ma sarà davvero così? Davvero i sistemi dei giochi di ruolo permettono di raccontare tutto?

Sardine a Westeros

Qualche anno fa, parlai con una persona di come fare per giocare di ruolo il Trono di Spade. Io suggerii di usare un paio di giochi che mi sembravano calzanti, tra cui uno ufficiale che aveva anche dei sistemi per gestire gli intrighi politici. Questa persona mi rispose che gli intrighi non devono essere regolamentati, a quello ci pensa il Master. E che per il Trono di Spade si poteva benissimo utilizzare Pathfinder con pochi riaggiustamenti. Mi mandò il suo manuale di conversione, di 106 pagine, che consistevano semplicemente di un pochino di fluff di ambientazione, e poi Classi adatte e Casate al posto delle Razze – con ad esempio i Lannister che hanno il talento “razziale” bonus “Sbilanciare migliorato”. Le ultime 20 pagine del manuale consistono in un bestiario, in cui troviamo voci come questa:

Pur descrivendo le sardine come inutili e per nulla pericolose, questa persona ha ritenuto superfluo avere regole per gli intrighi politici, mentre invece fondamentale avere delle regole che prevedono persino il modo in cui le sardine salgono di livello (!), aumentando la loro forza di volontà, o che devono essere almeno 300 per poter spostare un massimo di 50kg.

Alla fine giocando con queste regole quello che ottieni non sono storie sulla falsariga del Trono di Spade, ma avventure di un party che risolve quest nel mondo di Westeros. Prendo questo aneddoto come esempio di qualcosa che in realtà è estremamente diffuso: quante persone dicono che con D&D, o GURPS o che so io ci fanno qualsiasi cosa e ci giocano la loro ambientazione preferita, per poi a conti fatti stare semplicemente operando un reskin, ma mantenendo la stessa struttura di storia?

Certo, stavolta non ci sono gli elfi bensì gli alieni, ma alla fine stiamo facendo le stesse cose. Stiamo raccontando sempre gli stessi, pochi, tipi di storie.

Ci sono alcuni assunti strutturali diffusi in quasi ogni gioco di ruolo, che sono così diffusi e da così tanto tempo che non ci si rende conto che non sono neutri, e che stanno dando delle prospettive ben definite. Vediamo quali sono questi assunti, e quali tipi di identità e di storie lasciano fuori, e nella prossima parte vedremo vari giochi che li decostruiscono per raccontare storie diverse:

I personaggi guadagnano e accumulano progressivamente potere, capacità e ricchezza con l’esperienza

Immagine di badillafloyd

Quando mi creo un Mago in D&D 5, io so esattamente che al 4° livello potrò scegliere un Talento che farà sì che imparerò tre lingue, al 5° livello potrò prendermi la Palla di Fuoco, e all’8° la mia Intelligenza potrà aumentare di 2 punti. Niente e nessuno potrà impedirmelo, e salvo casi limite eccezionali niente e nessuno potrà togliermi queste acquisizioni.

Detta in altre parole, posso pianificarmi la mia intera crescita personale e di esperienza in anticipo, se lo voglio, senza possibilità di deviazioni impreviste, e in tutto questo dipendo solo da me stesso. Non devo imparare da qualcun altro. Non devo indebitarmi per imparare all’università, sperando di avere ancora abbastanza soldi e di non averli dovuti spendere per la mia salute. Non dimentico quello che non pratico per lungo tempo. Non ci possono essere grandi shock che mi portano a cambiare radicalmente rotta per smettere di essere quello che ero e diventare una persona nuova (multiclassando aggiungi nuove capacità, ma le sommi a quelle vecchie, che non vengono perdute o ripensate).

Insomma anche una cosa apparentemente così neutra come la possibilità di scegliere liberamente i tratti del proprio personaggio ha delle ricadute sui tipi di storie che si possono raccontare e su quelle che non si possono raccontare.

Ancor di più, Avery Alder faceva notare nella sua talk come per una rappresentazione a tutto tondo delle identità marginalizzate, non basta semplicemente mettere un personaggio trans, uno nero e via dicendo, mantenendo poi però sempre la stessa struttura di storia – perché le identità comportano dinamiche e vissuti. Altrimenti è semplicemente un reskin fatto per dare un contentino ma che non sta rendendo giustizia a cosa significhi essere bisessuali o non binari.

La progressione dei personaggi sopracitata si sposa bene con l’esperienza di uomini bianchi benestanti etero del primo mondo che possono vivere la vita come un graduale accumulo di studi, competenze e carriera pianificati e senza deviazioni. Non è però l’esperienza di chi si ritrova a venir sbattuta fuori casa dalla famiglia perché trans e deve abbandonare gli studi e reinventarsi come può. Non è l’esperienza di chi non è nelle condizioni socioeconomiche per studiare, né di chi non ha accesso a determinate occupazioni perché straniero o donna. E così via.

Ed è in generale una visione individualista in cui “ciascuno è un’isola” e non necessita degli altri per lo sviluppo personale.

Ciò che i personaggi ottengono è meritato e appartiene loro

Il default in D&D (e nel grosso dei giochi di ruolo più diffusi) è che si trovano tesori e oggetti addentrandosi nei dungeon e/o svolgendo le quest e/o esplorando il mondo, e che questi appartengono di diritto a chi li ha trovati – salvo casi limite eccezionali o quando viene chiesto di ritrovare l’oggetto X.

Nelle precedenti edizioni di D&D era anche strettamente necessario per il bilanciamento del gioco agghindarsi con oggetti magici per rimanere al passo con le sfide adeguate al proprio livello (e nelle prime si faceva esperienza raccogliendo tesori, mentre ora uccidendo creature).

Come si nota dalle avventure pubblicate (e dalle regole per la generazione di tesori casuali) si dà per scontato che in quasi ogni stanza ci sia del bottino da raccogliere, senza proprietari, mettendo appunto nel mindset “è mio” – un po’ come in molti videogiochi di ruolo (tra cui quelli ispirati a D&D e i jRPG) in cui entri nelle case e arraffi tutto ciò che puoi, perché funziona così.

Quando si trova un grande tesoro, insomma, lo si è conquistato ed è proprio, e si pensa a come utilizzarlo – non si pensa “a chi apparteneva?” né “chi potrebbe averne più bisogno?”, se non limitatamente al resto del party (ti do la bacchetta di cura ferite perché tu la usi meglio e torna come vantaggio a tutti noi). Non si fa ritorno al villaggio distribuendo il denaro agli indigenti. Non è loro. È tuo. Te lo sei meritato rischiando la vita nel dungeon.

Anche qui Avery nota come si tratta di una rappresentazione di alcune identità ma non di altre – che per le categorie marginalizzate, come ad esempio le persone trans, tipicamente quando si riesce ad ottenere un po’ di denaro non lo si mantiene come proprio, ma lo si dà a chi nella comunità ne ha bisogno, si ospita chi non ha una casa dove stare, ecc.

I personaggi sono protagonisti

I PG nei giochi di ruolo sono tipicamente persone importanti, e/o destinate a diventarlo. Spiccano rispetto alle persone comuni. È una struttura in cui ci sono persone più importanti di altre. Questo è già incastonato nella struttura di tali giochi, nel fatto che sono i personaggi che hanno più spazio nelle scene in quanto PG, e spesso anche che sono meccanicamente “più” della gente comune (in D&D 3.5 la gente comune ha accesso a classi più deboli come il popolano, l’aristocratico e l’adepto; in Dungeon World o Fantasy World chi fa il Bardo è IL Bardo, chi fa il Guerriero è IL Guerriero, sono unici al mondo).

Questo rende impossibile raccontare storie in cui ad essere al centro sono le comunità, significativi gruppi di persone tutti sullo stesso piano, dinamiche sociali e politiche a livello di gruppi anziché di individui.

L’azione eroica visibile è ciò che salva il mondo

“Ma io con D&D/GURPS/… ci faccio qualunque cosa”, dicono molti. Però il default è così forte che giocano i soldati che vanno in guerra, e non le donne che rimangono in città e si trovano col gravoso compito, di enorme responsabilità, di mantenere operativa la città e di insegnare e trasmettere ciò che è importante alle generazioni del futuro.

Ma non esiste solo Salvate il Soldato Ryan, ci sono anche The Village e Bomb Girls e The Breadwinner.

I film, i libri e le serie TV raccontano storie di tutti i tipi. Molte storie sono storie di formazione, o in cui l’aiuto viene dato in modo silenzioso, discreto, stando sullo sfondo (qualcuno ha detto Il favoloso mondo di Amelie?) – e possono essere storie drammatiche, intense e che vale la pena di giocare. Può essere lo stesso con i giochi di ruolo, e si tende a non pensarci solo perché è connaturato alla struttura di tutti quelli più famosi che si giochino storie in cui le situazioni si risolvono con azioni visibili e dirette.

Escalation violenta come forma di progresso della storia

Non solo, si dà per scontato che a mandare avanti la storia sia un’escalation della violenza. Questa cosa è rinforzata dal fatto che nel grosso dei giochi di ruolo (da D&D a GURPS a Vampiri a Sine Requie ecc) sulle schede personaggio e nel grosso del manuale si dice come e quanto il personaggio sa picchiare la gente, e progredendo lo si sa fare sempre meglio.

Ma così come non è necessario affrontare situazioni violente in modo visibile e si può fare sullo sfondo, non tutte le storie devono neppure essere sul risolvere situazioni violente. Perché non giocare storie tipo Scrubs o Will & Grace o Bojack Horseman?

E chi dice “faccio tutto con D&D”… be’, molto utile mettersi a fare schede personaggio di Black Mirror in cui si dice con quali armi picchia e poi non avere assolutamente nulla che sorregga i temi del gioco, lasciando poi lo Zar a raccontare un po’ quello che vuole ai Pupi in base a quello che gli viene in mente.

Parte 5 – Raccontare storie diverse

Appurata quindi l’importanza e non-neutralità del design dei giochi per poter raccontare storie e rappresentare identità e dinamiche, vediamo alcuni giochi che decostruiscono gli assunti strutturali molto diffusi visti nella parte precedente.

Spero di riuscire a rendere almeno un minimo la potenza di questi giochi e quindi del medium gioco di ruolo una volta che si capisce che per raccontare tante storie potentemente diverse occorrono tanti giochi diversi. Chiaramente il consiglio è sempre quello di giocare. Giocare molto, giocare tanti giochi – solo così ci si fa un’idea in prima persona dell’influenza del design nell’esperienza di gioco.

Abolizione della proprietà del personaggio

A Place to Fuck Each Other – Avery Alder

In questo gioco di ruolo si interpretano donne lesbiche e bisessuali che si conoscono grazie al fatto di fare gruppo. Si gioca in tre: due che si stanno frequentando, e “la terza”. Le due amanti vivranno l’inizio della loro storia con una fortissima idealizzazione, pensando che finalmente sia quella giusta, l’unica donna che le abbia mai capite davvero e con cui passerete il resto della vita. La terza persona giocante inserisce problemi e scomodità varie a ricordare che la realtà è sempre diversa dalle idealizzazioni (come “nel mezzo dell’amplesso ti rendi conto che devi andare in bagno” a “mentre lei è fuori dalla sua stanza squilla il suo telefono e noti che ha ancora la foto della sua ex come sfondo”).

Ad ogni scena si ruotano i ruoli, ma non solo: una delle due amanti rimane la stessa, ma l’altra cambia. Si vedono quindi storie d’amore nascere con estrema speranza e infrangersi, e le persone della comunità gira e rigira sono sempre le stesse e si frequentano e lasciano nelle combinazioni più disparate.

La meccanica del cambio di ruoli e del creare un nuovo personaggio ad ogni giro funziona molto bene nel riuscire a rappresentare queste dinamiche tipiche delle minoranze sessuali, in cui l’essere pochi fa sì che ci si aggrappi con speranza ai pochi altri che si conoscono… ma essendo persone come tutti, non sempre le cose vanno bene. E quando finiscono male, si vorrebbe chiudere completamente i ponti, ma alla fine nonostante il dover rivedere costantemente le tue ex e persone che vorresti fuori dalla tua vita, continuar a frequentare la comunità lella è preferibile al tornare completamente isolate.


Altri esempi di gioco che ripensano la proprietà del personaggio sono Lovecraftesque, La Sposa di Barbablù e Everyone is John. Riuscite a pensare a quali funzioni svolgono questa meccanica nei tre giochi?

Il focus non va agli individui

Shock: Social Science Fiction – Joshua A.C. Newman

In Shock si raccontano storie brevi di fantascienza. Il punto di partenza è un grosso “What if” deciso insieme.

Ogni personaggio è l’intersezione tra un “What if” e un tema sociale – ad esempio, “Cosa succederebbe se si potessero resuscitare persone del passato?” si potrebbe intersecare con il tema della difficoltà di comprensione tra culture diverse, creando magari un personaggio romano e pagano riportato ai nostri tempi che mette in crisi l’idea reazionaria che culturalmente siamo vicini ai nostri avi romani e che la concezione di “famiglia” sia rimasta sempre la stessa. Ma si può intersecare anche al tema di quanto si sia attaccati alle convinzioni con cui si è cresciuti e quanto la comunità scientifica fatichi ad accettare cambi di paradigma finché non c’è un ricambio generazionale – e il personaggio potrebbe ad esempio essere un Aristotele o Leonardo o Einstein che ha un rifiuto verso la conoscenza contemporanea ritenendola gravemente sbagliata.

Che storie si possono raccontare intersecando la necromanzia con l’imperialismo? E lo svegliarci domattina tutti di sesso cambiato, intersecato con il machismo o con le questioni trans?

Microscope – Ben Robbins

In Microscope non si controllano personaggi, ma si stabiliscono periodi storici, eventi all’interno di questi periodi e scene con individui all’interno di questi eventi. Il gioco spazia attraverso ere ed ere, e si dà vita ad una cronistoria ricchissima.

Non si deve per forza andare in ordine cronologico ma si possono sempre inserire periodi ed eventi prima o dopo un altro periodo o un altro evento.

Questa peculiare struttura permette di raccontare storie di ampissimo respiro, e trasmette la duplice idea di quanto gli eventi possano avere ripercussioni a epoche geologiche di distanza, e di quanto sia difficile rintracciare le cause e le conseguenze nell’intricatissimo divenire storico, in cui nuovi elementi possono sempre dare una luce diversa a ciò che si pensava di conoscere.

The Quiet Year – Avery Alder

In questo gioco si controllano fazioni e gruppi all’interno di una comunità sull’orlo del collasso, con eventi che la avvicinano o allontanano dalla sua fine inevitabile.

Grazie al fatto di agire al livello dei gruppi, il gioco consente di vedere e raccontare dinamiche sistemiche, il significato delle dinamiche di potere al livello comunitario.


Un altro esempio di gioco il cui focus non è sugli individui è Dialect. Riuscite a vedere il perché?

L’importanza dell’aiuto invisibile, sullo sfondo

Dilemma – Marco Andreetto, Mattia Bulgarelli, Manuela Soriani

Si giocano degli esseri superiori simil-angeli custodi, chiamati Ali. Le Ali cercheranno di aiutare indirettamente delle persone con vite incasinate, anche se questo aiuto non verrà mai davvero notato e riconosciuto e apprezzato. Si tratterà infatti di far incontrare la persona giusta al momento giusto, far comparire il messaggio adatto sul televisore, e simili.

Le persone da aiutare sono condivise da tutte le Ali in gioco, il che porterà spesso le Ali a litigare su quale sia il modo più adatto per aiutare una certa persona – da dilemmi simili al “dare il riso o insegnare a coltivarlo” fino a divergenze più radicali come “il meglio per lei è che smetta di stare con quel partner” contro “può riuscire a cambiarlo”.

Tra le tante chicche del gioco c’è il fatto che ogni Ala è definita da un colore, che viene assegnato dal Custode dopo la prima scena di gioco in base a come si è giocato – a mo’ di Cappello Parlante di Harry Potter, insomma. Ogni colore ha una sua dualità attorno cui gioca (come azione vs riflessione o altruismo vs egoismo) e può influenzare i mortali di volta in volta spingendoli verso uno o l’altro estremo. Starà a loro trovare l’equilibrio.

A fine sessione, inoltre, le Ali dovranno tornare in cielo e non potranno interagire mai più con quei mortali. Se però ci si è affezionati a un mortale in particolare, si può decidere di Cadere – si racconta di come si cade fisicamente (lanciandosi dalla guglia di una cattedrale, ad esempio) e si diventa umani, per poter restare con quella persona in forma umana. Si strappa la scheda personaggio e non la si potrà più riutilizzare in altre partite.

Purtroppo Dilemma ha avuto una storia sfortunata e non ha visto la pubblicazione, ma è possibile giocarlo alle CONvention di giochi di ruolo indie.

Esplorare la fluidità e l’incertezza

Ribbon Drive – Avery Alder

Di Ribbon Drive si è già detto verso l’inizio di questo lungo articolo. Chiaramente il modo in cui il sistema utilizza la musica permette di enfatizzare il tema dell’incertezza e del lasciarsi andare al flusso.

Cuori di Mostro II – Avery Alder

Abbiamo accennato qualcosa su questo teen drama soprannaturale in precedenza. Uno dei modi in cui fa esplorare la fluidità e l’incertezza è il modo in cui funziona l’eccitazione – nelle situazioni potenzialmente eccitanti, sarà il dado a decidere se il vostro personaggio si ritroverà eccitato o meno. Poi potrete fare quello che volete con questa situazione, ma non potete decidere cosa vi attrae. Questo riflette il fatto che in adolescenza ci si ritrova a sentire il proprio corpo attratto da altri senza che abbiamo voce in capitolo, e a volte anche contro tutto ciò che ci è stato insegnato, provocando vergogna, odio di sé ma potenzialmente anche esplorazione, accettazione e orgoglio.

Da un lato questa meccanica permette di rappresentare meglio le storie di scoperta di omo e bisessualità rispetto allo scegliere le caratteristiche del PG; dall’altro lato, però, si trova in difficoltà con l’asessualità, dal momento che nessuno può dirsi “al sicuro” dal ritrovarsi eccitato prima o poi. Inoltre in questo modo i personaggi tendono facilmente alla bisessualità.

Cuori di Mostro permette di esplorare l’incertezza in almeno altri due modi generali (oltre all’eccellente lavoro fatto sulle classi, che spingeranno verso moltissime dinamiche adolescenziali).

Uno di questi è che come adolescenti non avete alcun modo meccanico per influire sugli adulti, e per influire su altri adolescenti dovrete ricorrere all’attrarre o all’umiliare.

L’altro, legato al precedente, è che le quattro principali modalità di interazione che vi permettono di ottenere dei risultati sono dinamiche disfunzionali (sedurre, umiliare, aggredire, sprofondare nel proprio dolore). Essendo gli unici modi che permettono dei risultati, il gioco vi spingerà a comportarvi in quel modo. Nel tempo si faranno esperienze, e si potranno sbloccare le varianti “adulte” e funzionali di queste modalità (far sentire apprezzati, mettere davanti alle responsabilità, proteggere fisicamente, condividere il proprio dolore).

Dinamiche di potere esplicite

Hot Guys Making Out – Ben Lehman

In questo gioco si esplora una relazione asimmetrica tra un personaggio determinato e assertivo, ma non in contatto con la sua emotività; e un personaggio riflessivo e sensibile, ma incapace di farsi valere.

Il giocatore del PG dominante può dire solo ciò che questi dice e fa, ma non ciò che prova o pensa. Per il PG remissivo vale il viceversa.

Solamente in rari momenti di trascendenza (quando riusciranno a calare carte di Cuori) potranno superare queste difficoltà ed essere un po’ più uniti e comunicativi.

Immagino non occorra dire quanto questa meccanica sia potente per rappresentare questo tipo di relazioni asimmetriche.

SexyTime Adventures – Anna Kreider

In questa hack di Dungeon World gli uomini giocano PG donne e viceversa. È una satira in cui meccanicamente le donne non possono fare nulla di efficace senza l’aiuto o il permesso di un uomo, e devono descrivere come ciò che fanno mette in bella vista la scollatura ecc. per il piacere degli uomini (e ricordiamo che si gioca a generi invertiti!)

La catchphrase è “Il gioco in cui gli uomini sono uomini e le donne sono sexy”.

Piuttosto emblematica la coppia in cui dopo la demo l’uomo ha detto “menomale che è finita, un’altra ora così non l’avrei retta”, e la sua compagna l’ha fulminato con lo sguardo dicendo “Benvenuto nel mio mondo”.

 

Dog Eat Dog – Liam Liwanag Burke

Questo gioco esplora il tema del colonialismo, e lo fa fin dal momento in cui ci si siede al tavolo per giocare: il primo atto è infatti quello di confrontare i propri livelli di ricchezza, perché al giocatore più ricco spetterà di giocare il colonialista (con tutte le implicazioni del caso – mettere subito sul tavolo in modo forte il tema della disparità socioeconomica, e il fatto che se uno si trova a fare sempre il colonialista e vuole giocare come i nativi deve andare a cercare persone ancora più facoltose per farle giocare un gioco in cui si riflette sul colonialismo).

Le eleganti meccaniche grazie al modo in cui gira l’economia dei token faranno sì che il colonialista possa in ogni momento annientare i nativi e lo spingeranno a volerli provocare e ammaestrare; i nativi, dal canto loro, si troveranno incentivati al mettere da parte le proprie specificità culturali e ad essere assimilati alla cultura coloniale.


Un altro gioco in cui figurano dinamiche di potere esplicite, e che ricorda per certi versi il primo visto in questa lista, è Star Crossed. A cosa sono funzionali le differenze meccaniche rispetto a Hot Guys Making Out?

Trovare agency e significato in contesti di impotenza

Come assunto strutturale del grosso dei GdR, i personaggi hanno chances di ottenere ciò che vogliono – voglio diventare il Principe vampirico di questa città; voglio salvare il mondo; voglio liberarmi e tornare a casa; …

Grazie alle loro capacità hanno i mezzi per farcela, o per procurarsi i mezzi necessari. Sarà difficile, e magari in alcuni casi non riusciranno, ma possono tentare.

Le storie di molte persone sono diverse. Sono storie di persone che non hanno voce, che non vengono ascoltate, che vengono discriminate e marginalizzate in modo sistemico, e devono arrangiarsi sapendo ad esempio che non potranno fare affidamento su famiglia o lavoro o istruzione o salute. E non ci possono fare niente.

Per poter rappresentare meglio queste dinamiche e questo tipo di storie, occorrono giochi che ruotino attorno alla situazione di impotenza dei personaggi.

Sign – Kathryn Hymes e Hakan Seyalioglu

In questo LARP da camera si ripercorre la storia dei bambini sordomuti del Nicaragua che negli anni ’70 è stata radunata in una scuola sperimentale per imparare il labiale (non c’era un linguaggio dei segni in Nicaragua). L’esperimento fallì, ma i bambini finalmente si trovavano con altri come loro, e fecero l’unica cosa che potevano fare per comunicare: faticosamente diedero vita ad un loro linguaggio dei segni, che è tuttora la base del linguaggio dei segni del Nicaragua.

Giocando si ricevono delle carte personaggio tra cui scegliere, senza farle vedere agli altri. Quella che ho scelto io diceva, tra le altre cose, che mi chiamavo H. Barrioz, volevo danzare con qualcuno e da grande volevo scrivere libri per bambini.

Una volta entrati in gioco non si parla più. Già dall’inizio il gioco mi ha colpito: mi sono reso conto che non avevo modo di dire il mio nome. Per il resto abbiamo arrabattato pantomime improvvisate. Nel tempo si costruiscono, sempre senza parlare, vari segni, finché si riesce a comunicare ciò che prima sembrava impossibile da dire – come quando finalmente un altro dei bambini/partecipanti è riuscito a dirci “ho paura che mio fratello si dimentichi di me” a gesti.

Sign è un’esperienza fortissima che dà una piccola idea delle difficoltà comunicative in cui incorrono le persone sordomute.

Ten Candles – Stephen Dewey

Il sole si è spento cinque giorni fa. Dopo un po’, sono comparse delle entità che temono soltanto la luce. Il mondo sta per finire, e non c’è nulla che possiamo fare per impedirlo.

Si gioca al buio con 10 candele, che si spegneranno una dopo l’altra.

Si giocano persone che compiono un ultimo viaggio, per qualcosa che ritengono fondamentale – dare un ultimo saluto ad una persona amata? Una vendetta? Un tentativo disperato di salvarsi?

All’inizio ciascuno registra vocalmente un ultimo messaggio, del tipo “… se state ascoltando questo messaggio, significa che sono morto.” È un messaggio per dare speranza a sé stessi, per l’irresistibile impulso a lasciare una traccia, o perché magari sarà d’aiuto a qualcuno.

Durante il gioco l’atmosfera si farà sempre più buia e tetra, man mano che le candele si spengono. Per riuscire in situazioni disperate occorrerà bruciare fisicamente sopra le candele foglietti con tratti dei personaggi e mostrare come la persona cambia e sta perdendo qualcosa di sé in questo viaggio.

Alla fine, quando l’ultima candela si spegne, il mondo finisce.

E nel buio più assoluto e totale, si riascoltano i messaggi audio.

Dopo aver affrontato il viaggio, acquistano tutto un altro significato (ed è una mazzata emotiva che fa venire la pelle d’oca, garantito).

I personaggi sapevano fin dall’inizio che sarebbero morti e che tutto sarebbe stato vano, ma nonostante questo il viaggio era importante. A cosa ci aggrappiamo quando mancano pochi giorni? Cosa ci definisce come umani? Cosa è fondamentale fare anche se non porterà a niente?

I Say a Little Prayer – Tor Kjetil Edland

In questo LARP da camera gratuito si giocano cinque coinquilini gay quando scoppia l’epidemia di AIDS negli anni Ottanta, e si vedono i propri amici morire come mosche, uno dopo l’altro, senza avere idea di cosa stia succedendo e sentendo una spada di Damocle che pende sulla propria testa.

La prima parte del gioco è fondamentalmente allegra e spensierata, quasi à la Friends. Si dettagliano i rapporti tra i personaggi, affrontano insieme alcune difficoltà, ma stanno bene e vedono un grande futuro davanti a loro.

A metà gioco, come anche alla fine, ciascuno metterà in un’urna una quantità di bigliettini col nome del proprio PG da 1 a 5, in base a quanto ritiene di essere a rischio di contagio per come si è comportato. Il Regista estrarrà un bigliettino, e il PG indicato avrà contratto l’HIV e sviluppato l’AIDS.

Il fatto che i comportamenti influiscano ma che poi possa essere estratta anche una persona che ha messo un solo bigliettino contribuisce al senso di condanna e fatalismo, ma anche a generare sensi di colpa in chi pensa di meritarselo più di chi se n’è andato, o in chi pensa di essere colpevole per aver “ucciso” chi se ne è andato.

I personaggi, peraltro, sono scritti benissimo: nel momento in cui ne viene a mancare uno, quale che sia, l’equilibrio nella casa salta, dato che si reggeva su una delicata alchimia che richiedeva tutti e 5 i personaggi, ciascuno in grado di capire, temperare, valorizzare, far star bene qualcun altro.


Tra gli altri giochi in cui i personaggi si ritrovano in un contesto di impotenza figura Montsegur 1244.

Tirando le somme

Spero che quest’ultima carrellata abbia illustrato un po’ più nel concreto tutto ciò che si è detto nelle parti precedenti: nessuna meccanica di gioco è neutra; non esiste nessun gioco con cui si possa “fare tutto” (anche solo il cosa si può scegliere sui personaggi e come ha un’influenza); attenzione a non considerare necessaria la struttura condivisa dai GdR più famosi; per rappresentare pienamente (non solo come reskin) storie e dinamiche diverse da quelle che vengono assunte dai GdR più tipici occorrono giochi che spingano in quella direzione.

E abbiamo poi visto vari giochi e i modi in cui spingono in certe direzioni. Ora non resta che… giocare, giocare e giocare!

This post was published on 25 Novembre 2019 20:13

Alex Grisafi

Classe '93, siciliano di origini, bresciano di nascita, a Milano per studi e lavoro. Ho iniziato con i giochi di ruolo in seconda media con D&D 3.5, arrivando a giocarne una settantina (a novembre 2019), dai più noti agli indie. Ho approfondito parecchio questioni di game design dei GDR e di come i sistemi permettono di raccontare alcune storie e non altre - e intersecando il tema con un altro che mi sta a cuore, ossia della rappresentazione e inclusività di categorie marginalizzate.

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