Immaginate uno scenario che coniughi il post-apocalittico con la mitologia scandinava, condite con qualche millennio di storia antica e guarnite a piacere con un po’ di tematiche distopiche, che non guastano mai: surgelate il tutto ed ecco che otteniamo Svilland, un modulo d’ambientazione per la quinta edizione di Dungeons & Dragons.
In circa duecento pagine fitte di rune, gli autori di Dream Realm Storytellers, gli stessi di Corpus Malicious, ci offrono 46 nuovi archetipi, 2 classi completamente nuove e studiate ad hoc per l’ambientazione, 6 nuove razze, 4 background, una quarantina di mostri e creature, un centinaio di oggetti magici intrisi di lore e la bellezza di 120 incantesimi freschissimi.
Dopo aver raccolto oltre il quintuplo del target nella campagna Kickstarter, Svilland è destinato ad arricchirsi di mappe stampabili, un nuovo dungeon, altri oggetti magici, incantesimi, talenti, background, NPC, fazioni, territori e altro ancora, ma soprattutto vedremo finalmente un’avventura giocabile, colmando quindi la principale pecca di questo manuale d’ambientazione.
Svilland ci proietta in un mondo grande quanto la Scandinavia, popolato da razze vecchie e nuove che si ritrovano costrette a vivere fianco a fianco, in tre regni ostili e belligeranti, stretti nella morsa del gelo innaturale, dell’apocalisse profetizzata e dei conflitti politici tra fazioni legate solo da accordi tutt’al più tiepidi.
I tre Regni di Nionaem, Alsvartr e Green Lights of the East sono a loro volta suddivisi in 17 micro-aree dai nomi piuttosto evocativi: si va dal Bjargfold alle Sabbie Ferrose, passando per il Drundanland e la Foresta di Fangorn Rengorn che donano un certo tocco squisitamente tolkieniano.
Mi ha positivamente impressionato la dettagliata e approfondita caratterizzazione di ogni insediamento: oltre agli aspetti sociali e politici, vengono descritte anche le festività, le leggende e gli spunti narrativi per ogni singolo centro abitato segnato sulla mappa.
Quel che colpisce di quest’ambientazione, però, è soprattutto la sua inevitabile ciclicità: i popoli di Svilland sono sempre sull’orlo dell’estinzione. Un tempo abitata da Vanir e kuning, gli indigeni del luogo, quest’isola è stata invasa e conquistata da uomini provenienti da Nord, scacciati dalle loro terre per mano dei giganti di ghiaccio; dopo una serie di stragi e massacri, e un breve periodo di pace, oggi i discendenti di quegli invasori sono a loro volta chiamati a difendere l’isola, ma stavolta da un nemico decisamente peggiore.
Sullo sfondo di queste cicliche sventure, inoltre, troviamo antichi re, terribili profezie, minacce apocalittiche e dèi che -nella migliore delle ipotesi- sono severi e capricciosi, dovendo guadagnarsi giorno dopo giorno lo status divino. L’intrinseca instabilità del pantheon si riflette sulla politica e sul clima sociale di Svilland, dove il forestiero è guardato con sospetto e soltanto con le gesta più eroiche si riesce a farsi accettare, non soltanto nel Valhalla ma anche nel villaggio più sperduto.
Oltre agli abilissimi artigiani Dvergar, a cui accenneremo in un racconto a parte, tra le pagine del manuale di Svilland troviamo anche gli onorevoli e svegli umani Austri, i possenti e -a tratti- carismatici Mezzi-Jǫtnar (mezzo-giganti), gli spirituali umani Kuning, gli affamati umani Mithal, e i navigati (letteralmente) umani Vestri.
Una parte che ho apprezzato moltissimo, invece, è quella che riguarda la caratterizzazione delle relazioni tra le razze: in questo modo, ad esempio, scegliere di giocare un Dvergr ci porta già ad avercela a morte con gli Austri, visti come degli infami egoisti, a essere più o meno neutrali nei confronti dei Kuning, a rispettare i Mezzi-Jǫtnar e i Vestri, e soprattutto ad amare i Mithal.
Svilland arricchisce l’arsenale di ogni giocatore con una valanga di nuovi archetipi, ma soprattutto introduce due classi nuove di zecca, particolarmente azzeccate per l’ambientazione scandinava.
La prima è quella del Runewalker, che ricerca la conoscenza e si concentra soprattutto sulle rune e le loro sfaccettature; il Runewalker offre una sterminata varietà di personalizzazioni, perché può scegliere tra diversi percorsi runici e anche varie tradizioni runiche.
I percorsi comprendono gli elementi, il viaggio, la morte, la protezione, la furia Berserk e i sigilli, mentre le tradizioni includono il fanatismo dei Runescarred, la sapienza dei Runescribe e la saggezza dei Runeweaver.
L’altra nuova opzione per la creazione del personaggio riguarda il Seidr, il saggio che richiama moltissimo l’archetipo dello Sciamano degli Spiriti che ho imparato ad amare nella 3.5 (e in Neverwinter Nights 2); alternandosi tra spirito e sogno, il Seidr è a suo agio sia in prima linea sia tra gli incantatori, e può scegliere tra diverse specializzazioni: il Chanter of Kin si concentra sulla ricerca del favore degli spiriti dei propri antenati, mentre il Chanter of Skies entra in contatto con gli spiriti celesti, la loro furia e il loro potere di guarigione; il Chanter of Nattura, infine, incarna l’ideale di equilibrio naturale, e lo ricerca a tutti i costi.
È proprio il Sogno a rivestire una certa importanza nel mondo di Svilland, al punto che un mortale sufficientemente saggio può rendersi conto che, in realtà, non sta sognando ma si trova in un reame, o forse un Piano, completamente distinto da quello materiale, che confonde le iscrizioni, muta gli oggetti e le persone, e rivela ciò che lo sguardo materiale non riesce a vedere. Fluttuando nel Sogno, però, si possono incontrare degli incubi, e allora è meglio svegliarsi. Se ci si riesce.
Le nuove opzioni presentate per alcune classi sono tutte interessanti e piuttosto bilanciate, a parte qualcosa di sgraverrimo di cui vi parlerò al termine di questa parte; allo stesso modo, dedicheremo un paragrafo a sé stante per le discendenze degli stregoni, che mi sembrano davvero ben studiate.
Mancano, ad esempio, opzioni per il Druido, il Monaco, il Rogue e il Warlock, ma tra l’ampio ventaglio di possibilità che troviamo nelle classi del Seidr e del Runewalker, e gli archetipi introdotti per le classi standard, potremo sostituire le classi dimenticate con qualcosa di più adatto tematicamente.
Innanzitutto vi annuncio, urbi et orbi, che con Svilland torna la Performance per i Bardi, e troviamo anche un ulteriore livello di personalizzazione, oltre che una valida scelta tattica: in base allo strumento suonato, ad esempio, cambiano i bonus conferiti da alcune delle Tradizioni del manuale.
Possiamo spaziare dalla Tradizione di Braghi, più social e caciarona, a quella della Parola di Hel, spiccatamente edgy, passando per quella di Ofridr che incarna lo skald guerresco pronto per il Valhalla, e per quella di Villr, più simile a un Druido che al classico Bardo à la Dandelion (Ranuncolo) di The Witcher.
C’è naturalmente molto spazio per il Barbaro, che può spaziare dall’iconico Path of Berserkr, con tanto di pelle d’orso d’ordinanza al posto dell’armatura, al meno cinematografico Path of Svinfylkings, guidato dallo spirito del cinghiale in carica.
Con il Path of Úlfheðnar, poi, si va sul mitologico: troviamo le gesta dei branchi di guerrieri “vestiti di lupo” in gran parte delle opere scandinave, dall’Edda alla Saga di Yngling passando per tutto ciò che c’è nel mezzo, ma ce n’è traccia anche in Tacito e perfino nelle leggende sui lupi mannari.
Per l’Úlfheðinn la sopravvivenza del branco è più importante della propria, ed ecco che abbiamo il Barbaro tank, che usa una Reazione per frapporsi fisicamente tra il colpo in arrivo e il compagno in pericolo.
I Ranger che scelgono l’archetipo dello Spirito della Terra si votano al Genius loci che profuma di influenza romana, mentre altri possono diventare briganti e cacciatori a proprio agio nel gelo delle montagne scandinave, grazie ai favori di Skaði, gigantessa e dèa della caccia e degli sci.
Un ranger può anche decidere di votarsi alla caccia in sé e per sé, che diventa più importante della preda: l’archetipo di Ullr ricorda vagamente la classe dell’Hunter di World of Warcraft. Senza infamia e senza lode, insomma.
Questa parte mi ha rispedito a calci nella Miðgarðr di Journey to Ragnarok.
Le nuove opzioni introdotte per il Guerriero vanno dalla Shieldmaiden, che volenti o nolenti evoca la figura di Lagertha e si basa sulla coordinazione tra i combattenti del party, al Vikingr che si specializza negli abbordaggi e nei combattimenti navali.
Il mio preferito però è il terzo: il Rune Warrior che, in sostanza, è la versione tribale e scandinava del Warlock Hexblade, ma all’eventuale morte del PG permette di infonderne l’anima nella lama runica che questi ha impugnato nel corso della sua eroica vita, creando quindi un’arma senziente e leggendaria, e rendendo in un certo senso immortale il PG in questione.
Una fine degna di uno degli Einherjar, cioè -in soldoni- gli spiriti dei guerrieri morti onorevolmente in battaglia.
I Chierici, ribattezzati Gothi per l’occasione, possono diventare dei giudici severi o dei Trickster modellati sulle gesta di Loki; possono anche scegliere di seguire i passi di Odinn e diventare dei maestri delle Rune o dei riti sacrificali, o votarsi alle virtù e a tutto ciò che è buono e luminoso, oppure intraprendere il sentiero opposto, che porta a tutto quello che è oscuro e malvagio.
In alternativa possono diventare avatar della vendetta divina o anche della protezione degli dèi, oppure l’estensione del gelido Fimbulvetr che precede il Ragnarok, o anche dei servitori della versione scandinava del piratesco Davy Jones, in due diverse varianti.
Ancora, possono scegliere di diventare la personificazione del dolore, o quella dello sforzo civilizzatore dell’homo faber, oppure possono gettare alle ortiche ogni sovrastruttura sociale della civiltà e diventare degli agenti della furia di Fenrir, il lupo mitologico che in occasione del Ragnarok spezzerà le sue catene, e divorerà lo stesso Padre degli Dèi.
E gli Stregoni? E i Paladini? Un attimo, ora ci arriviamo.
In un’ambientazione con una tale compenetrazione (letteralmente) tra il divino e il mortale, non potevano mancare le discendenze divine e runiche per gli Stregoni: ad esempio la magia Aesir dell’Ansuz, la runa di Odinn che serra il legame con gli incantesimi arcani a discapito di quelli elementali, oppure la magia dei Vanir, talmente selvaggia e legata alla natura da offuscare la linea di demarcazione tra gli incantatori arcani e quelli druidici.
Non manca l’influsso della runa Ihwar, legata al sogno e alla morte che, proprio come per i Greci, in fondo sono fratelli. La runa Ing, affine alla terra e alle montagne, rende più tankoso lo Stregone, mentre il ghiaccio di Isa rende tutto più lento e tendente all’immobilità; il fuoco della runa Kaun, al contrario, tende all’entropia e al caos, e contiene una certa dose di piromania.
Quando tutto è toccato dal fuoco, conviene affidarsi alla runa Laugr, l’acqua che rinfranca, cura e nutre, e muta la propria forma per adattarsi a ogni circostanza. La runa Sol, invece, trasforma lo stregone in una sorta di Zeus, che scaglia fulmini e punta tutto sul Carisma: attente, fanciulle dei villaggi scandinavi, e non fidatevi di cigni, tori, aquile, draghi, cucù, formiche e quant’altro, perché potreste ritrovarvi gravide senza nemmeno sapere il perché.
Ecco qualcosa di veramente sgravo. I giuramenti dei Paladini includono quello a Freyja, che porta a proteggere prima di distruggere, quello a Hel, che trasforma il proprio campione in un immortale araldo di morte e pestilenza, quello a Thor, molto più cavalleresco di quanto le saghe scandinave e quella di God of War portino a pensare, e quello stereotipicamente Legale-Buono a Tyr.
E dov’è la componente OP, vi chiederete; ebbene, con l’Oath to Hel si acquisisce il tratto Death’s Persistence che, in sostanza, rende impossibile buttare giù un Paladino.
Dal livello 15 in poi, ogni volta che i punti ferita del personaggio vengono ridotti a zero e il PG non viene one-shottato, questi viene curato di un numero pari al livello da Paladino più un numero di d6 pari al modificatore di Carisma, ad esempio 15 + 5d6, e sul manuale non sono specificate limitazioni: può fondamentalmente auto-ressarsi at will, senza limiti legati al turno, al riposo breve o al riposo lungo. Sicuramente una dimenticanza, ma RAW è una bomba in grado di spaccare il gioco.
Per quanto riguarda i Background, ce la caviamo con un niente da dichiarare: sono realistici e parecchio in linea con l’ambientazione scandinava, e per questo possono risultare intercambiabili con quelli di JtR, ma semplicemente perché ho messo le zampacce prima su JtR e poi su Svilland. Abbiamo il mistico Destined, l’asservito Thrall, il ricco Karl e il religioso Reverend. Quanto basta per caratterizzare un PG creato ad hoc, ma niente per cui scrivere a casa, insomma.
I Talenti, invece, arrivano a frotte: ok, magari non proprio a frotte, ma comunque ce ne sono una dozzina. Una selezione discretamente ampia, diciamo così.
C’è roba succosa anche per il lato ruolistico, come il talento che permette d’identificare una creatura annusandone una traccia di sangue, attingendo ai sensi bestiali e primordiali di Fenrir.
La lista degli incantesimi introdotti da Svilland, oltre ad accompagnarci per una quindicina di pagine, include delle chicche, come ad esempio Boon of Sacrifice: quando si abbatte un avversario è possibile, con una Reazione, dedicare l’uccisione alla propria divinità, che ci ricompenserà inviando un proprio messo, appropriato alla natura della divinità in questione. Mi piace molto anche Borrowed Hand, con cui si divora ritualmente la carne di un cadavere così da acquisirne le conoscenze per un certo periodo di tempo.
Non manca anche una (minuta, a dire il vero) lista di Rituali: si tratta di riti occulti in senso stretto, non di meri incantesimi di utilità lanciati senza spendere uno slot. Solo soltanto due, ma possono influenzare drasticamente la vita di un personaggio.
Dove Svilland brilla, a mio avviso, è nella selezione degli armamenti disponibili: la panoplia dei nostri personaggi è quantomeno verosimile, e aiuta molto i giocatori nell’immergersi nell’atmosfera scandinava dell’epoca vichinga, che convenzionalmente va dalla razzia dell’Abbazia di Lindisfarne del 793 fino alla Battaglia di Stamford Bridge del 1066.
Apprezzo la scelta di eliminare armature di piastre, balestre, stocchi e strisce (rapier), e inserire armamenti appropriati per la localizzazione geo-temporale dell’ambientazione, seppur in chiave fantasy com’è ovvio e doveroso che sia.
C’è da dire che, di certo, gli autori non hanno avuto alcun timore di scrivere mezza pagina di lore per un singolo oggetto magico.
Ci sono anche oggetti di livello Leggendario e perfino Artefatti, e molti richiedono l’Attunement; e meno male, aggiungerei, visto che alcuni sono decisamente sgravi, come un’arma che evolve in base al danno inflitto fino a diventare +7 (no, non è un refuso: +7, non +3), o come l’anello che rende competenti con ogni arma impugnata e dà vantaggio a ogni tiro per colpire, presumibilmente inclusi quelli relativi agli incantesimi.
Mi ha fatto sorridere la Pozione di Mamma, che ti sazia per due giorni e sa di fragola, e ho apprezzato molto quella di Ratatoskr, lo sboccato scoiattolo che corre su e giù sul tronco di Yggdrasill, per riportare gli insulti che reciprocamente si scambiano il serpente Níðhöggr, che si annida tra le radici dell’albero cosmico, e la gigantesca aquila annidata tra le fronde dello stesso albero, tra i cui acuti occhi da rapace è appollaiato il falco Veðrfölnir.
Non manca un capitolo dedicato alle pietre runiche, che permettono di lanciare incantesimi un tot di volte al giorno, né un bel paragrafo consacrato alla creazione di rune personalizzate. Davvero un bel tocco, approvo.
Avvicinandoci alla fine troviamo il bestiario e una nutrita collezione di stat block per mostri e creature di ogni genere, dal Draugr CR1 fino al glaciale vermone CR 12, passando per le Huldra (Ninfe), i costrutti Vanir, i campioni degli Jǫtnar (i Giganti) e perfino Valkyrie CR 17 e Wyrm (draghi, all’incirca) che arrivano fino a CR 21.
In fondo sono riportati gli stat block degli NPC Alleati e Avversari che, devo dire, sono molto ben costruiti: gli insiemi di abilità, caratteristiche e azioni sono variegati, approfonditi e ben delineati, al punto che alcune di queste schede prendono addirittura due pagine.
Il manuale si conclude con una mappa d’insieme di Svilland e con la lista dei backer, piuttosto lunghetta.
Come ho già scritto, per me il problema principale è che manca un’avventura introduttiva, almeno nella copia che ho tra le zampacce. D’altro canto questo è un manuale d’ambientazione, quindi non me la prendo più di tanto.
In generale, però, la costruzione delle frasi può essere difficile da seguire, a differenza di tutti gli altri manuali in inglese che mi sono passati per le mani nel corso degli anni, e quindi diversi punti risultano oscuri, poco chiari o comunque fraintendibili: interpretazioni in un senso o nell’altro rischiano di creare malumori tra i giocatori e il master.
The scimitar exists, but it is not culturally common. Finally, there is saex rather than the shortsword. Your Constitution score is increased by 1.
Spero che queste piccole pecche siano già state sistemate nella versione definitiva, anche perché non credo che usare un saex non magico possa incrementare di default la Costituzione; in caso contrario mi scatterebbe il becero min-maxing con un PG che combatte con due saex. Magari un Rogue / Barbaro? Hmm. Dove avrò messo il Manuale del Giocatore?
In un prossimo articolo vi mostrerò il Personaggio che ho creato per quest’ambientazione, e vi narrerò qualche idea che mi è saltata addosso mentre sfogliavo Svilland. Fino ad allora, che il Padre-di-tutti vegli sui vostri personaggi.
>>Leggi anche: L’anteprima di Corpus Malicious, il manuale malvagio per D&D 5E<<
This post was published on 31 Gennaio 2020 19:02
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