Oggi possiamo trovare le microtransazioni in moltissimi giochi, e il loro peso può variare da acquisti puramente estetici fino ai veri e propri pack e bustine digitali. Questo fenomeno chiaramente è stato largamente criticato dagli utenti, che si sono visti presi in giro dal sempre crescente affidamento a questa pratica, soprattutto in ambito videoludico.
Ora, cosa pensereste se vi dicessi che negli Stati Uniti dei negozi stanno introducendo le microtransazioni in Dungeons & Dragons?
La notorietà di questa notizia è esplosa dopo che Scott Thorne ne ha parlato nella sua rubrica settimanale “Rolling for Initiative“. Un piccolo appunto, ma certamente l’inizio di qualcosa di molto ampio in America: molti negozi, infatti, hanno da tempo iniziato a organizzare delle serate fisse ogni settimana, in cui è possibile giocare a D&D.
Anche qui in Italia sono molti i negozi di fumetti o store geek che propongono questo tipo di serata; l’unica grande differenza è che in America le sessioni di gioco sono su prenotazione e a pagamento. Dovete sapere infatti che questa è una pratica molto comune, e che in ogni fiera del settore ci sono tavoli a pagamento con biglietti, liste d’attesa e quant’altro.
L’aspetto sconcertante è proprio l’introduzione di dispenser di palline contenenti piccoli bonus, da poter utilizzare durante le sessioni in negozio.
Un lato ancora più interessante: Thorne riferisce che alcune di queste macchinette fruttano dai 50$ ai 200$ al giorno. Non è neanche la prima volta che qualcosa del genere viene provata in D&D, infatti nel lontano 2011 erano state prodotte le D&D Fortune Cards™, un esperimento per movimentare ulteriormente il gioco durante l’uscita di vari moduli d’avventura.
Non nego che questa mossa sia veramente geniale per quanto anche molto vile, ma se trova un mercato allora delle ragioni ci devono assolutamente essere. La spiegazione più facile sta nella Cultura del Successo che da sempre ammanta i giochi di ruolo.
Parlo della costante necessità di avere successo in ogni azione in ogni scena. Per molto tempo numerosi giochi hanno introdotto meccaniche che permettono di aumentare le chance di successo fino a situazioni di quasi totale incapacità di fallimento.
La controtendenza di questa cultura è stata certamente il crescente interesse per ambientazioni Dark e “mortali“, che ancora oggi sono il pane quotidiano di master in erba.
Perché? Perché non accettiamo un fallimento.
“La posta in gioco è troppo alta”
“Il mio personaggio non vorrebbe di certo fallire”
A partire dalle correnti new wave si è iniziato a capire quanto sia nociva questa attitudine all’eterno successo: oggi si parla spesso infatti di Fail Forward, Play to Lose, Play to Push, Posizione, Conseguenze e Complicazioni.
Tutti elementi pensati per far comprendere l’importanza del fallimento in una buona storia.
Cito Nicola DeGobbis, proprietario della Need Games, dicendo che “È bello anche fallire”. Se in una storia non c’è rischio, non c’è fallimento, allora sarà piatta e monotona.
Se vogliamo contrastare sia il fenomeno della Cultura del Successo sia quello delle Microtransazioni, allora il primo passo dovrebbe proprio essere accettare i Fallimenti e, anzi, ricercarli allo stesso modo dei successi.
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This post was published on 25 Settembre 2019 20:08
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