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Giochi di ruolo

Play Ethic – I giochi di ruolo come strumento educativo e sociale

Play Ethic – Giochi di Ruolo per il Sociale è un workshop con l’obiettivo di esplorare le potenzialità dello strumento gioco di ruolo a fini educativi, per sensibilizzare su tematiche sociali. L’associazione dietro il progetto è Altera Cultura Torino, grazie all’idea e il lavoro di Marco Viola, che ringraziamo infinitamente – e dal momento che il primo evento, lo scorso 25 febbraio, ha sbancato, ne sentirete parlare ancora. Si sta già organizzando per ripetere l’iniziativa: la prossima data è l’8 Aprile, sempre a Torino – ma in seguito ci saranno giornate in altre città.

Anche l’organizzazione di beneficienza All You Can Play For Charity, creata con la collaborazione della D&D Adventurers League di Milano e la Lega Italiana Lotta ai Tumori di Milano, di cui parliamo qui, ha partecipato all’iniziativa.

Noi di Player.it eravamo lì, parte dei 25 iscritti partecipanti (Admin R e Admin T di Sesso Droga e D&D) ma anche dei 5 Game Master che hanno tenuto una sessione dimostrativa (il sottoscritto).

L’evento è strutturato in tre fasi: una prima fase con delle brevi conferenze sul tema, per capire se e come il gioco di ruolo possa essere un mezzo utile a fini educativi. Una seconda parte di gioco ai tavoli, con giochi e/o avventure pensate appositamente per far emergere determinati temi. Infine, una terza fase di raccoglimento e riflessione, discutendo insieme di ciò che si è fatto e traendo qualche conclusione.

Il sentore che i GdR oltre che semplici giochi possano essere anche qualcosa di più credo sia comune a moltissimi giocatori di ruolo. Potersi calare in personaggi e vivere situazioni fittizie insieme ad altre persone è chiaramente qualcosa dalle potenzialità esplosive. Un altro conto è però incanalare questo vago sentore in riflessioni più sistematiche, per cercare di capire i modi più virtuosi, efficaci, con cui i GdR possano essere utilizzati a questi scopi.

La teoria – le conferenze

Questo è ciò che hanno tentato di delineare i due relatori, Ivan Mosca (esperto di game studies attivo a livello internazionale, dottorato in Filosofia) e Matteo Ripamonti (dottorato in Pedagogia, ha fatto ricerca sui GdR come strumento pedagogico e li ha utilizzati come educatore).

Dalle due conferenze sono emerse alcune considerazioni significative. In breve (sacrificando necessariamente qualcosa):

Dovendo pensare a esperienze di gioco finalizzate ad essere educative, occorre pensare al design del gioco. Ma una prima grossa differenza nel modo a cui ci si approccia a questa attività, è di incentivare o scoraggiare determinati comportamenti tramite le regole o tramite le regolarità.

Pallamano e Football americano realizzano in modo completamente diverso l’obiettivo di evitare che i giocatori usino i piedi.

Un conto è inserire una regola che vieta di usare i piedi per controllare la palla; un altro conto è avere una “palla” dalla forma che, di per sé stessa, rende pressoché impossibile controllarla coi piedi, spingendo dunque i giocatori ad utilizzare le mani. Allo stesso modo, nel design dei GdR, nel momento in cui sono finalizzati a ottenere determinate riflessioni e esperienze (ma non solo in questi casi), occorre fare attenzione a che la struttura del gioco, l’interazione dei suoi vari elementi con i giocatori, incentivi spontaneamente ciò a cui il designer sta mirando. Un esempio banale può venire da Monsterhearts, in cui c’è una tipologia di personaggio che esplora il tema della codipendenza, e che ottiene un punto esperienza quando ignora o perdona il proprio amato che lo sta trattando chiaramente male; o ancora, i personaggi possano ottenere leverage sugli altri solamente eccitandoli o svergognando qualcuno, spegnendolo dicendo qualcosa di pesante, sputtanandolo… essendo questi gli unici modi, questo spinge i giocatori che desiderano leverage sugli altri a far comportare così i propri personaggi, rinforzando e facendo emergere il tema portante del gioco, ossia l’adolescenza con i suoi rapporti disfunzionali.

Altro elemento emerso è la differenza tra immedesimazione e identificazione, che ricalca i videogiochi di ruolo di stampo occidentale e orientale. Nei primi si può creare un personaggio in base ai propri desideri, immedesimandosi in lui/lei (evasione catartico-proiettiva). Nei secondi, invece, ci viene dato un personaggio con un suo aspetto e una sua storia, e siamo invitati a identificarci in lui – ma anche in altri del cast dei personaggi presenti (critica mimetico-introiettiva). Il consiglio del relatore per esperienze di gioco che tocchino certi temi e li facciano “sentire” ai giocatori, è di fare immedesimare i giocatori in ruoli scomodi, lasciando però la possibilità di identificarsi in chi si preferisce.

I due relatori Ivan Mosca (sulla destra) e Matteo Ripamonti (sulla sinistra), durante le conferenze. Foto di Altera Cultura Torino

Dall’esperienza di utilizzo dei GdR in contesti educativi, è emerso che l’utilizzo in queste casistiche apparentemente appetibili è in realtà poco funzionale:

  • Didattico (utilizzato per le supposte qualità immersive, per insegnare storia, geografia, letteratura ecc., ambientando avventure ricche di questi contenuti)
  • Formativo (per le supposte qualità simulative, addestrando alla vendita, conduzione di riunioni, lavoro in team ecc.)
  • Terapeutico (per le supposte qualità espressive, per rendere visibili tratti di personalità nascosti)
  • Morali (per le supposte qualità immedesimative, al fine di insegnare comportamenti “giusti” e di distinguere il “bene” dal “male”)

L’errore di fondo di tutti questi approcci, secondo Matteo Ripamonti, è che l’educatore ritiene di avere una verità da far passare attraverso l’esperienza di gioco. Il gioco di ruolo, però, non consente alcuna trasmissione lineare di sapere. La riflessione sui livelli a cui si riesce ad agire con un GdR è interessante, ma rischierebbe di allungare troppo il discorso. La conclusione a cui giunge è che il GdR possa essere efficacemente utilizzato a scopo educativo in due modi:

  • Gruppo dei pari (modificare le dinamiche relazionali di un gruppo il cui arco di vita è più ampio di quello dell’esperienza ludica)
  • Oggetti culturali (modificare le singole percezioni di determinati oggetti culturali, quali simboli, credenze, valori e pratiche)

Cinque consigli vengono in aiuto di chi volesse utilizzare i GdR in questo modo. Ciascuno meriterebbe una trattazione più ampia – d’altronde la conferenza serviva proprio a questo. Se siete interessati, non avete che da partecipare ai prossimi Play Ethic! Qui ci si limiterà ad un riassunto, per dare un’idea:

  • Intransitività (non si eroga sapere ma si induce scoperta, nominazione e rispecchiamento. Non ci può essere una storia già scritta, la scelta dei giocatori è fondamentale)
  • Oggettivazione (l’educatore non deve fornire giudizi su ciò che è giusto o sbagliato del mondo di gioco, ma garantire un mondo a-morale)
  • Referenzialità (occorrono regole chiare, per garantire trasparenza e imparzialità nello svolgimento del gioco, base su cui può innestarsi la fiducia e la pari dignità tra l’utenza e l’operatore sociale)
  • Impudicizia (nulla può essere censurato da parte di nessuno)
  • Avalutatività (qualunque scelta un giocatore compia, non deve essere sottoposta a giudizio di valore da nessuno dei partecipanti. Qualunque giudizio che passi dal valore del giocatore al valore della persona è intollerabile)

A proposito dell’impossibilità di censurare alcunché, si è sollevata una discussione, originata dal disagio di alcuni giocatori (in particolare di sesso femminile) con la rappresentazione dello stupro nel contesto di un gioco di ruolo. Uno strumento che può essere utile, e di cui si è parlato durante l’evento, è quello delle Linee e dei Veli.

Prima di iniziare una partita di un gioco di ruolo, si può chiedere ai giocatori se ci sono temi che si preferisce non vengano descritti nei particolari (Veli, come se vi si mettesse sopra un velo a coprirli, appunto), e altri che non si vuole proprio siano presenti (Linea, un confine invalicabile). Durante il gioco, se in qualsiasi momento dovesse comparire un elemento che un giocatore trova disturbante, nonostante non l’avesse dichiarato all’inizio – perché non sapeva l’avrebbe trovato disturbante, magari – può chiamare comunque “Velo!” o “Linea!”.

Gli aspetti interessanti di questo strumento sono due:

  • Punta alla comunicazione tra tutti i giocatori e a cercare di essere sintonizzati su ciò che ci sarà nell’esperienza di gioco.
  • La presenza di due livelli anziché uno solo, dove il Velo è quello intermedio e la Linea è quello estremo, è un incentivo a evitare di vedere la questione in bianco e nero. Senza questa consapevolezza, magari qualcuno non vorrebbe del tutto la casistica della violenza sessuale nel gioco. La possibilità del Velo serve come livello intermedio che fa pensare: sono in grado di tollerare questo elemento nel gioco, a patto che non sia descritto e rappresentato nei minimi particolari? Se sì, tanto meglio: l’elemento nel gioco è salvo. Se invece è proprio qualcosa che va oltre, e che non riesco ad accettare neanche se non viene descritto, e voglio che si “riavvolga” la situazione e che questo elemento non ci sia, allora chiamo la Linea. E gli altri giocatori sapranno che se è stata chiamata la Linea e non il Velo, che è proprio l’extrema ratio, significa che l’elemento mette a disagio il giocatore ad un livello tale che non è il caso di mettersi a sindacare, ed esigere che l’elemento sia comunque presente nel gioco. Il gioco è un’attività collettiva e volontaria, che deve risultare piacevole a tutti i partecipanti. Piacevole in senso lato, certo: ci sono esperienze di gioco disturbanti e segnanti, che toccano corde e sensazioni “difficili” – ma sta ai giocatori sapere fin dove hanno volontà di spingersi, e oltre quale limite semplicemente non sono disposti a partecipare a questa attività collettiva.

Se si ritiene che in un dato contesto alcuni giocatori potrebbero essere troppo intimoriti per chiamare a voce “Linea!” o “Velo!”, un modo che riduce questo problema è di usare la X-Card, una carta con scritto X davanti a ogni giocatore, che va semplicemente indicata col dito nel caso in cui qualcuno voglia chiamare una Linea o un Velo.

La pratica – i giochi al tavolo

Nella fase successiva, ai giocatori sono stati rivelati i giochi a cui avrebbero giocato, e a quali tavoli erano stati assegnati, a mo’ di Cappello Parlante, grazie a dei questionari che avevano svolto precedentemente.

I temi attorno a cui a noi Game Master era stato chiesto di prepararci erano Corpo e tecnologia; Relazioni violente e non violente; Intersezionalità delle discriminazioni; Sostenibilità ambientale ed economica.

Il mio tavolo di Monsterhearts all’evento. Foto di Altera Cultura Torino

Nello specifico, io ho scelto di utilizzare il sopracitato Monsterhearts concentrandomi sul tema dell’intersezionalità delle discriminazioni. Gli altri tavoli hanno giocato avventure di Dreamwalkers, Degenesis, Sine Requie e Vampiri.

La discussione – le considerazioni emerse

La conversazione finale, per trarre qualche punto fermo dalle esperienze della giornata, ha in effetti fatto emergere alcune intuizioni degne di nota: dalla potenza del poter sperimentare una condizione normalmente estranea, all’importanza del sorriso e della comicità per stemperare la durezza di questa attività. Dall’importanza di personaggi multidimensionali, di modo che possano cambiare e crescere, all’irriducibilità del giocatore che metterà sempre qualcosa di suo nel personaggio.

Vari dei giocatori al mio tavolo erano educatori e operatori, e hanno concordato che Monsterhearts non è per nulla adatto per essere giocato con adolescenti, ma che può essere un potente strumento per gli educatori stessi – che possono calarsi in dinamiche con cui devono avere a che fare tutti i giorni, cogliendone così più sfumature e da più punti di vista diversi.

Altro elemento di rilievo viene a mio avviso dal resoconto dell’avventura di Sine Requie: una delle giocatrici ha riportato che l’obiettivo dichiarato dell’intersezionalità delle discriminazioni, è passato in secondo piano poiché i personaggi avevano un obiettivo comune, la sopravvivenza in una situazione ostile e di scarsità di risorse. Questo ha portato i giocatori, e dunque i personaggi, a collaborare, mettendo in secondo piano le divergenze e le conflittualità tra i personaggi. Questo conferma la mia personalissima (magari discutibile) opinione per cui nel momento in cui c’è un obiettivo comune e definito, i giocatori tendono a prendere il sopravvento sui personaggi, attenuandone le specificità. È qualcosa di cui credo si debba tenere conto in sede di utilizzo dei GdR come strumento educativo (e non solo).

Infine, un’ottima idea è stata quella per cui i giochi di ruolo potrebbero essere un potentissimo strumento per il mantenimento delle capacità cognitive e relazionali degli anziani, magari anche in sostituzione della più passiva televisione in case di riposo.

L’iniziativa è stata un successone e, come detto, è già in programma una nuova giornata l’8 Aprile, sempre a Torino. A breve saranno aperte le iscrizioni, e noi di Player.it non mancheremo di segnalarvi tutte le future date di questa splendida iniziativa, che può gettare le fondamenta di quello che può essere l’impegno del GdR in futuro in Italia. Grazie Marco Viola, grazie Altera Cultura Torino. Play Ethic!

This post was published on 8 Marzo 2018 14:11

Alex Grisafi

Classe '93, siciliano di origini, bresciano di nascita, a Milano per studi e lavoro. Ho iniziato con i giochi di ruolo in seconda media con D&D 3.5, arrivando a giocarne una settantina (a novembre 2019), dai più noti agli indie. Ho approfondito parecchio questioni di game design dei GDR e di come i sistemi permettono di raccontare alcune storie e non altre - e intersecando il tema con un altro che mi sta a cuore, ossia della rappresentazione e inclusività di categorie marginalizzate.

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