Confesso di non aver mai preso parte ad un “Chamber Larp”, o Larp da Camera; in verità sino a qualche tempo fa nemmeno sapevo esistesse un mondo cosi strutturato intorno a questo. Fortunatamente questa intervista a Maria Guarneri di Laiv.it (si / laɪv / come si pronuncia) ha infilato la giusta pulce nel mio orecchio, stuzzicando la mia curiosità e facendomi scoprire un mondo e un metodo che – confesso ancora – ignoravo.
Mi sono dunque domandato se, come me, anche altri giocatori ignorassero l’esistenza di questa peculiare forma di LARP. La logica conseguenza è stata quella di invitare Maria a dare il suo contributo coinvolgendola in questa mia iniziativa “conoscitiva” e cosi dare voce anche al “piccolo” mondo cui appartiene.
Personalmente trovo molto affascinante la filosofia dietro il Larp da Camera: il lasciare da parte tutte quelle sovrastrutture che riteniamo necessarie e a cui siamo abituati (e che diamo per scontate come location e vestiario, per dirne due su tutte), permette di concentrarsi maggiormente sull’aspetto ruolistico e introspettivo della “situazione” che ci si appresta a giocare.
La foto a lato che ritrae la Italian Chamber Orchestra rende bene questo aspetto, osservatela: tutti recitano una parte, vedete? Nello specifico quella di un musicista. Eppure nessuno imbraccia realmente uno strumento. Questo perché il Larp da Camera non lo ritiene necessario, perché ciò che conta è altro. Ciò che conta è creare storie, insieme. Il resto è superfluo.
Un approccio al LARP, dunque, di tipo minimalista, fatto di – cito dal sito di Laiv.it – “singoli autori e piccoli gruppi di giocatori [che] possono riunirsi ovunque, anche a casa, e sintonizzarsi con facilità su un immaginario condiviso, senza bisogno di altro.” Un qualcosa che si colloca a metà tra Gioco di Ruolo da Tavolo e Gioco di Ruolo dal Vivo in cui a farla da padrone sono le “Poche regole, pochi materiali, pochi giocatori, per valorizzare al massimo ciascuno di questi elementi, spremendoli fino in fondo senza bisogno di una lunga preparazione.”
Non sono però la persona più adatta per parlarvi di questo, me ne rendo conto: queste poche righe volevano solo darvi un’infarinatura di massima e direi di lasciare la parola a Maria, ben più adatta di me. Buona lettura.
LA PERSONA
- Parliamo un po’ di te, presentati: chi sei?
Piacere, Maria. Il gioco di ruolo è una delle mie tante passioni. Mi piace anche perché è una forma ibrida, un calderone dove si possono gettare tanti ingredienti. Quello a cui sono più affezionata è il teatro: ho studiato scenografia all’Accademia di Brera e all’Accademia del Teatro alla Scala. Anche se ho avuto il piacere di lavorare come scenografa e costumista insieme a compagnie teatrali e associazioni di gioco, come autrice mi sono sempre dedicata al cosiddetto “larp da camera”, minimalista e simbolico, insieme a mio marito Oscar Biffi e alla comunità di Laiv.it. Quella che chiamiamo Italian Chamber Orchestra.
- Qual è il tuo più bel ricordo legato al LARP?
Cominciamo subito con le domande difficili? Ce ne sarebbero tanti. In questo momento mi viene in mente un debriefing di Pantheon Club, uno dei giochi che ho contribuito a scrivere. È uno scenario particolare, che richiede ai giocatori di condividere un segreto personale, qualcosa per cui davvero temono di essere giudicati, fidandosi della meccanica di gioco per quanto riguarda il loro anonimato e la delicatezza nel gestire qualcosa che può essere doloroso. Confrontarsi alla fine tutti insieme è stato molto toccante: come giocatrice, perché è un gioco a cui non si può assistere senza prenderne parte, e come autrice, perché ho avuto la sensazione che la nostra idea contasse per chi l’aveva provata. Non uscivamo più dalla stanza, gli altri partecipanti alla convention sono dovuti venire a stanarci.
- Qual è l’evento di cui vai più fiero? E quale quello di cui vai meno fiero?
Come accennavo, noi organizziamo convention, eventi contenitori per i nostri giochi e per chiunque voglia lanciarsi come autore. Un porto sicuro dove passano tanti giochi e dove tutti sanno di poter rischiare: quando l’intento è fare del playtest, sbagliare fa parte del gioco. Per questo non ho ricordi che mi facciano sentire poco fiera, ho commesso errori come e più di tutti, ma sempre in un contesto dove ho potuto imparare e anche riderci su. Di recente vado fiera della nostra iniziativa LarpJam, un laboratorio di scrittura di giochi, dove creiamo gruppi di appassionati (noi le chiamiamo band) con esperienze molto diverse, li mettiamo a confronto con la nostra impostazione e con spunti portati da tutti, quindi vediamo cosa succede. Pantheon Club, che ho citato poco fa, viene da lì.
- Quale è la peggiore crisi che hai dovuto affrontare? Come l’hai risolta e superata?
Siamo stati fortunati, mi vengono in mente solo piccole cose e non mi va di trasformare un guaio di qualcuno in un aneddoto. Gli eventi sono fatti di persone, gli imprevisti e gli incidenti sono all’ordine del giorno. Penso che la cosa importante sia non drammatizzare e valorizzare i singoli, non solo dando loro attenzione, ma rendendoli partecipi delle esigenze collettive in modo da responsabilizzarli. Per fare un esempio, le nostre convention sono basate su fasce orarie cucite su misura sul numero dei partecipanti: se qualcuno all’improvviso non se la sente di partecipare a un gioco, è sempre un problema da risolvere. A volte ci pensiamo noi, a volte il giocatore stesso, perché sappiamo di essere tutti nella stessa barca.
- Che contributo credi di aver dato al LARP Italiano in questi anni?
Credo che, se adesso il larp da camera è noto a molti appassionati e se ne occupano anche associazioni molto numerose, sia anche grazie a chi ha sempre creduto in questo formato. Come Laiv.it ci occupiamo solo di questo dal 2012, ma ricordo con piacere le partecipazioni a eventi “senza dadi”, dove si giocava anche al tavolo purché con “poche regole”, e le presenze da infiltrati alle convention dei cosiddetti “giochi di ruolo indie”, dove la gran parte dei presenti erano lì per provare le nuove uscite da tavolo di autori americani e poi c’eravamo noi, in due o tre autori, a scambiarci gli ultimi giochi scritti, coinvolgendo gli amici disposti ad alzarsi dal tavolo. Adesso abbiamo idee più chiare e orizzonti più ampi, ma quando penso a Oscar che ha sempre scritto almeno un gioco all’anno, che la prospettiva fosse di farlo provare a tre o a cento persone, credo che il nostro contribuito possa essere proprio la perseveranza che ha dato continuità al larp da camera in Italia.
IL PALCOSCENICO
- Come è cambiato il LARP da quando hai iniziato?
Potrei rispondere che noi ci siamo sempre dedicati a una nicchia e cavarmela così, ma la mia percezione è che all’inizio fossero davvero tutte nicchie. Che fossero larp fantasy, larp di vampiri, larp da camera (che chiamavamo live e basta), da cento o da cinque persone, l’impostazione secondo me restava in sostanza quella del gruppo di gioco al tavolo. Amici che si vedono tra loro e non hanno tutto questo grande interesse a sapere cosa si fa nella casa accanto. Con il tempo sono cresciuti i mezzi di comunicazione, ma soprattutto le ambizioni tra grandi eventi e opere di divulgazione.
- Secondo te che direzione sta prendendo il LARP italiano?
Difficile a dirsi: le prospettive saranno anche più nazionali o persino internazionali, ma le idee sono tante, i timonieri pure, e la visione che ho non è quella di una scena unica, compatta. Non lo vedo come un limite, anzi, per come la vedo io la diversità resta una ricchezza cruciale per quello che facciamo. Mi auguro che si vada sempre più nella direzione della condivisione e dell’ibridazione tra esperienze diverse, perché tanti hanno molto da dare, questo sì.
- Qual è la ricetta per preparare un buon LARP?
Secondo me l’ingrediente segreto è l’onestà. Metterci il cuore, senza calcoli. E non lo dico perché aspiro a diventare Miss Italia. Bisogna lasciare da parte i calcoli e concentrarsi sull’esperienza di gioco che si vuole creare, senza compromessi e senza addolcire la pillola per convincere i giocatori a partecipare. Solo un design coerente e ben comunicato garantisce di remare tutti nella stessa direzione: non c’è capacità autoriale che tenga se i giocatori non sono dalla tua parte.
- Cosa non va mai fatto per – e durante – un LARP?
Non bisogna prevaricare i giocatori, sottovalutandoli e pretendendo di prendere in mano le redini della storia. Per noi, come Laiv.it, è stato naturale concretizzare questo pensiero nella nostra pubblicazione: Crescendo Giocoso, una raccolta di larp da camera che chiunque può acquistare e giocare a casa propria. Come se fosse Monopoly, senza organizzatori o master o facilitatori. Tutti alla pari, responsabili e responsabilizzati. Questa volontà di non intervenire mai dopo la fase di design ha concentrato tutta la nostra attenzione sulla scrittura dei regolamenti e dei materiali. È una sfida che ci ha reso migliori.
- Cosa rende un evento scadente? Cosa lo rende invece prestigioso?
Punterei il dito contro la confusione. Se si vuole accontentare tutti, si finisce per non accontentare mai nessuno. Un altro problema per me è l’omologazione, la tentazione di puntare sempre sulle stesse idee perché hanno già dimostrato di funzionare. Quando scelgo a cosa giocare, non penso mai troppo all’ambientazione o agli effetti speciali, quello che voglio vedere da subito sono le idee forti, meglio ancora se nuove.
- Cosa caratterizza la tua realtà rispetto alle altre?
Sperimentiamo sempre. Abbiamo il privilegio di dedicarci a giochi che non hanno bisogno di un grande riscontro di pubblico per poter essere organizzati, quindi siamo facilitati nel fare esattamente quello che vogliamo. Nella nostra comunità è molto facile passare da giocatori ad autori, proprio perché si respira questa sensazione di non avere nulla da perdere. Ogni tentativo è il benvenuto.
IL CONTESTO
- Negli ultimi anni il LARP italiano è molto cambiato e continua a cambiare, costantemente. Quali sono secondo te i punti chiave di questa realtà Italiana?
Sono convinta che la cultura di un paese influenzi inevitabilmente tutte le sue forme di creatività. Tuttavia non saprei identificare un filo rosso valido per tutte le realtà italiane che conosco e che sono senz’altro poche rispetto a una scena molto variegata. Mi sento solo di dire che abbiamo una tradizione creativa vastissima da cui attingere, mi piacerebbe che riuscissimo a farne buon uso, senza appiattirci sull’imitazione dei paesi che hanno sviluppato il gioco a modo loro prima di noi. - Ti rifai ad un movimento nazionale, internazionale, o segui una via da te tracciata?
Abbiamo sottoscritto il manifesto Southern Way – New Italian Larp scritto dagli amici di Chaos League. Condividiamo alcuni principi ed è divertente giocare a trovare i punti di contatto tra realtà che si dedicano a formati diversi, su scala diversa. La verità è che ci è sempre piaciuto considerarci manovali del gioco, per questo ci chiamiamo Laiv come si dice sul campo e non come si scrive. Abbiamo sempre praticato poco la teoria, quindi siamo felici di leggere e dare il nostro supporto alle parole che ci colpiscono di più.
- Riesci ad individuare altre tre realtà italiane con cui senti affinità per ideologie, temi, politiche e strategie adottate?
Oltre alla già citata Chaos League, alcuni tra i nostri giocatori storici prendono le mosse dal Flying Circus, un movimento che noi abbiamo incontrato agli inizi, con i famosi giochi “senza dadi”. Se abbiamo messo la testa fuori dal guscio, lo dobbiamo anche agli amici che l’hanno portato avanti per tanto tempo. Sul nostro sito citiamo anche Mammut RPG, designer di giochi di ruolo al tavolo: ci piace il loro rigore e insieme vogliamo continuare a mettere la pulce nell’orecchio a chi gioca da tavolo e non penserebbe mai di farlo dal vivo o viceversa. Lasciami citare anche Dreamlord Press e Stratagemma, Gdr Unplugged e Gdr al Buio, cari amici che s’impegnano a fondo nel campo dell’editoria e della divulgazione.
- Le piccole realtà, spina dorsale per decenni del LARP, stanno scomparendo: qual è la tua opinione in merito?
Non credo che le piccole realtà stiano svanendo. E non solo perché noi in primis siamo una piccola realtà. Per come la vedo io, il larp sarà sempre composto anche da gruppi di amici che si ritrovano in un bosco o in una casa scout e non ci vedo nulla di male in questo. Come mi hai già dato modo di sottolineare, sono emerse realtà grandi e ambiziose, ma anche noi nel nostro piccolo siamo ambiziosi. Abbiamo semplicemente ambizioni diverse. Tuttavia l’ambizione non è tutto: trovo confortante l’idea che questa forma creativa resti sempre molto accessibile e, anche puntando solo e soltanto a svagarsi, chiunque possa provare a organizzare un evento.
- Riesci ad individuare dei momenti storici precisi che permettano di dire “è successo qualcosa e da allora nulla è stato più come prima”?
Non penso di poter fare la Grande Storia del Larp in poche righe. Nemmeno in tante, lascio la parola a chi ne sa di più. Per Laiv.it niente è stato più come prima dopo la pubblicazione di Crescendo Giocoso, in italiano e in inglese, grazie a una campagna Kickstarter. Perché ha codificato un nostro modo di fare larp da camera e ci ha reso molto più facile coinvolgere altre persone, con gli eventi in Italia e con le collaborazioni all’estero. La chiarezza delle idee alla fine fa sempre la differenza, secondo me.
- Si parla tanto di “Nordic LARP”: qual è la tua opinione in merito?
Tutto il nostro percorso avviene gomito a gomito con il Nordic LARP, dalle prime esperienze con i giochi Jeepform all’essere invitati come ospiti alla Grenselandet (NdR: un chamber larp festival) di Oslo. Sono state, però, strade parallele: in tutta onestà, non posso dire che etichetterei i miei giochi preferiti come “Nordic LARP”, una definizione che resta comunque estremamente ampia. È d’ispirazione vedere un ambiente riporre tanta fiducia e dedizione in una forma creativa, ma noi siamo noi, le differenze culturali sono molto percepibili per me e sono contenta che sia così. Di sicuro non c’è rivalità e mi auguro che in futuro possa esserci sempre più scambio, senza dimenticare l’American Freeform e le tante scuole interessanti che prendono forma in giro per il mondo.
- Il LARP si sta evolvendo verso forme sperimentali: talune intimiste, altre cinematografiche, alcune di denuncia sociale? Qual è la tua opinione in merito? Esistono argomenti Tabù?
Questi filoni hanno sempre fatto parte del gioco di ruolo e si mescolano in quantità differenti tra evento ed evento. Dal mio punto di vista, a volte si mette troppa enfasi sugli argomenti, perché è facile parlarne a priori, e poco sul modo in cui sono trattati, perché prevederebbe di partecipare a un evento per poter giudicare. Non basta scegliere un tema di attualità per fare denuncia sociale, né parlare d’intimità per ricreare un’emozione, né ispirarsi a un film per restituire soluzioni visive d’impatto. Per me il problema dei tabù non esiste, finché gli autori e gli organizzatori sono onesti nel presentare i propri intenti. Se ho facoltà di scelta, posso prendere in considerazione tutto.
I PROTAGONISTI
- Chi è il vero protagonista di un evento: la storia, il personaggio o il giocatore? Ti ascoltiamo…
Banale dire tutte le componenti, ma è così. Non m’interessa vivere una bella storia da spettatore, non mi basta immedesimarmi a fondo in un personaggio che non fa la differenza, non è sufficiente nemmeno trovarsi in un ambiente stimolante come giocatrice. In tutti questi campi devono essere prese delle scelte coerenti, in modo che il giocatore attraverso lo strumento del personaggio possa vivere la storia. Se uno degli ingranaggi salta, tutto il macchinario va allo sfascio.
- Come dovrebbe essere per te l’evento perfetto?
Deve trovare uno strano equilibrio: coinvolgermi mettendomi in chiaro i suoi intenti e poi sorprendermi andando oltre alle aspettative. Per questo dico che c’è bisogno del contributo di tutti i partecipanti, anche l’autore ha bisogno di essere sorpreso se sceglie una forma di creatività condivisa.
- Cosa rende uno staff, un buono Staff?
Dipende dall’evento. Avendo avuto esperienze diverse, posso dire che per me l’ideale è un gruppo compatto, dove tutti contribuiscono a trovare un’idea forte di partenza. Dopodiché i vari compiti e responsabilità possono essere distribuiti, ma trovo sia importante una fase iniziale che permetta a tutti di sentirsi veramente partecipi e sfruttare a fondo la ricchezza di pensiero di ciascuno.
- Cosa rende una comunità, una buona comunità?
Mi piacciono le comunità attive, dove tutti sentono di dover dare un contributo e non potersi permettere di stare ad aspettare. Lo stereotipo agli albori del gioco di ruolo prevede il master che racconta la sua storia e gli altri che reagiscono. Ecco, non fa per me. Nonostante l’avanzare dell’età, organizziamo sempre in case autogestite perché ci aiutano a trasmettere questo messaggio: perché un evento funzioni ci vuole il contributo di tutti.
- Cosa rende un evento, un buon evento?
Un insieme di tutti i fattori citati. Idee, onestà, collaborazione.
- Il gioco di ruolo è aperto a tutti ma non è per tutti: concordi? Perché?
Mi verrebbe da rispondere che vale per tutte le attività del mondo. Penso al motto di Gusteau in Ratatouille e alla spiegazione per cui un grande chef possa nascondersi in chiunque. Comunque il gioco di ruolo ha un suo equilibrio particolare tra coinvolgimento e accessibilità: da un lato a un giocatore di Monopoly basta non barare per non danneggiare il tavolo di gioco, mentre a un giocatore di ruolo è sempre richiesto di metterci del proprio; dall’altro non serve alcun addestramento per giocare di ruolo, la soglia d’ingresso è davvero alla portata di tutti.
Con quest’ultima considerazione ringrazio Maria e ringrazio voi amici lettori che siete arrivati sino a qui. Se vi è piaciuta quest’intervista e volete leggerne altre cliccate su LARP: A Night With…