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Giochi di ruolo

Game of Thrones: cosa possono imparare i Master dalla serie HBO?

Dopo 73 episodi, dal 17 aprile 2011 al 19 maggio 2019, Il Trono di Spade, A Game of Thrones come universalmente riconosciuto, è concluso. L’ultima stagione l’abbiamo vissuta assegnando i punti esperienza ai personaggi come fossero delle sessioni di un ipotetico Dungeons & Dragons, per fare un esempio, ma a voler ben vedere sono tante le similitudini tra Game of Thrones e la campagna tipica di un gioco di ruolo.

La serialità – televisiva in particolare – è una buona fonte di studio ed approfondimento per chi vuole aprire la propria mente in termini di conduzione di una campagna, scrittura di archi narrativi, e tutto quello che riguarda un racconto, nel nostro caso condiviso. A questo proposito, ricordate il nostro precedente articolo riguardo alcuni trucchi televisivi e cinematografici da usare nel gioco di ruolo?

La forza di Game of Thrones sta nei dialoghi, nei personaggi che sfuggono all’etichetta di “buono” o “cattivo”, negli intrighi politici, nei colpi di scena e nella discussione riguardo molti temi che solitamente non si toccano nel fantasy classico, o se si fa ci si addentra nella discussione arrivando spesso a definire cosa sia “giusto” o “sbagliato”. Quando Varys parla del fatto che “il potere risiede dove la gente vuole che risieda” a Tyrion nelle prime stagioni, c’è una dichiarazione molto interessante su cosa significa realmente il potere, e su come i potenti stessi giochino con questa percezione.

Game of Thrones è una serie che – nel bene e nel male non è questa la sede per recensirlo – offre moltissimi spunti per chi scrive storie, per diletto o passione. Quindi, abbiamo voluto tirare una riga su tutto quello che lo show di HBO firmato da David Benioff e D.B. Weiss, ispirato ai romanzi Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di G.R.R. Martin, ci può insegnare come Master. Ma anche giocatori, in alcuni casi.

 

Masterizzare per la storia o per i personaggi

Togliamoci subito il dente più doloroso di tutti: la storia.

Nella settimana in cui è andata in onda la quinta puntata dell’ottava stagione, è girata nel web l’analisi di tale Daniel Silvermint (filosofo e scrittore) su Twitter, che raccontava perché alcuni spettatori hanno percepito la sensazione (reale) che Game of Thrones sia “cambiato” da un certo punto in poi. L’analisi è preziosa, ben scritta e profonda ma 1) è in inglese e 2) contiene alcuni termini tecnici relativi a scrittura e sceneggiatura. Quindi, qui trovate il post completo, mentre noi ve la riassumiamo in particolare per i dettagli che ci servono.

In buona sostanza si prendono in analisi due tipi di scrittura, quella incentrata sui personaggi e quella incentrata sulla storia. Gli scrittori che seguono il primo metodo vengono definiti nel gergo pantsers (gioco di parole intraducibile in italiano che viene dai “pantaloni”, ovvero pants) mentre i secondi sono plotters (plot = trama). Sono approcci egualmente giusti, sono semplicemente diversi ed hanno vantaggi e svantaggi.

Chi scrive mettendo i personaggi al centro dipanerà solitamente la storia in divenire, non avrà deciso tutti i dettagli dal primo all’ultimo momento, perché andrà ad esplorare la sua stessa storia attraverso le azioni dei personaggi che descriverà mano a mano. In questo modo i personaggi descritti saranno molto più realistici e sfaccettati, perché lo scrittore andrà a creare la trama chiedendosi ogni volta cosa farebbe quel personaggio in quella determinata situazione. Questo fa sì che si vengano a creare personaggi incredibilmente profondi, ma che lo scrittore debba fare fatica a far quadrare tutti i dettagli di una storia per portare tutto ad una conclusione fluida e coerente. Questo è il caso di George R.R. Martin, dei suoi libri e della prima metà di Game of Thrones (orientativamente fino alla quarta stagione e parte della quinta), dove i personaggi hanno molti dialoghi, rivelano tantissimo della loro psicologia, e per questo crescono in maniera notevole. I buoni ed i cattivi sono difficili da identificare perché vivono e prendono scelte secondo motivazioni molto coerenti.

Catelyn Stark può sembrare odiosa ed ottusa, probabilmente lo è, ma è difficile darle torto nella sua crociata contro i Lannister perché dal suo punto di vista la sua vita è stata rovinata dalla casa del leone. Tywin Lannister è un personaggio inquietante ed ambiguo, ma pronto a fare cose indicibili nell’idea di mantenere il buon nome della sua famiglia. I lettori ricorderanno anche i pesanti capitoli di Daenerys in cui nella storia non succede niente, ma assistiamo semplicemente all’esposizione dei suoi dubbi e paure, della vita intorno a lei durante il suo percorso di riconquista. Personaggi che crescono in maniera molto coerente e fluida, ma che a volte devono far rallentare la storia nel buon nome dell’approfondimento.

Chi scrive mettendo la storia al centro di tutto ha la possibilità di dettare un ritmo molto serrato, ed è questo il caso di buona parte della televisione degli ultimi vent’anni. Dai cliffhanger alla fine di ogni puntata di Lost, agli intrecci e colpi di scena decisi per arrivare esattamente in una determinata puntata, questo è lo stile adottato da Game of Thrones nella sua seconda parte, dalla quinta stagione circa, quando il materiale dei libri era stato totalmente superato o quasi. In questo modo si scrivono storie affascinanti ed appaganti, dove il fruitore è attaccato alla sedia dall’inizio alla fine, si esalta ad orologeria, e le parti finali delle storie arrivano a conclusione in maniera dirompente.

Avrete intuito che lo svantaggio della scrittura dei plotters è che, a volte, i personaggi possono rischiare di risultare solamente dei cosiddetti plot device, dei meri strumenti per far avanzare la trama. È il caso di Game of Thrones quando elimina personaggi solo perché non hanno più niente da dire o sono difficili da piazzare all’interno della trama, oppure quando deve succedere qualcosa per forza e quindi i personaggi sono costretti a prendere scelte che sono (o possono sembrare) incomprensibili o affrettate. L’esempio più fresco è la “pazzia” di Daenerys Targaryen che ha senso in base al racconto, ma sembra fin troppo frettolosa per arrivare in un preciso momento (di una stagione per altro già più breve delle altre).

Come si coniuga tutto ciò con una campagna di gioco di ruolo? Beh, nei panni del Master dovrete scegliere quali di questi due approcci seguire, o almeno su quale puntare di più. Il trucco è capire cosa vogliono i giocatori. Se amano una storia serrata ed è quella a cui sono interessati, sono gli intrecci narrativi quelli che vogliono scoprire, dovrete sacrificare (forse, non è automatico) un po’ dei momenti dedicati ai singoli PG per portarli dove volete voi, o almeno metterli al centro della storia in ogni momento. Al contrario, se i giocatori amano l’introspezione e vogliono dei momenti per emergere con le loro interpretazioni magari, dovrete accentrare parte del tempo intorno a loro, a volte anche intere sessioni. In quest’ultimo caso avrete una storia che rallenterà in queste occasioni, e probabilmente passerà in secondo piano rispetto alle vicende dei personaggi al tavolo, la loro crescita caratteriale e, in generale, tutto quello che riguarda loro.

Anche in questo caso non c’è un approccio giusto o sbagliato, se non in relazione a ciò che vuole il gruppo di gioco. Siate chiari fin da subito, esponete queste due filosofie di gioco direttamente magari, e scegliete se essere pantser o plotter in base a ciò che piace a tutti il gruppo.

I colpi di scena e le cose da lasciare indietro

Game of Thrones vive di colpi di scena, in certi casi anche troppo, principalmente per quanto riguarda le morti dei personaggi, che a loro volta spesso vengono a seguito di clamorosi voltagabbana o altri colpi di scena. Nella sua prima metà, la serie non ha bisogno dei colpi di scena per esistere, ma gli stessi sono costruiti talmente bene che, quando arrivano, sono talmente coesi nella narrazione da non risultare fuori posto. Al contrario, la seconda parte di Game of Thrones – quell’ideale metà composta dalla fine della quinta stagione in poi – accelera moltissimo sui colpi di scena per due motivi: gli spettatori ormai sono abituati e necessitano questi strumenti narrativi; bisogna accelerare tagliando linee narrative, personaggi, e snellire il più possibile in vista del finale.

Un insegnamento in questo senso per noi Master è fondamentale: non esagerare coi colpi di scena. Il colpo di scena provoca assuefazione e, come tante altre cose, abusarne diventa pericoloso. Usare tanti plot twist alza l’asticella della vostra narrazione, i giocatori si aspetteranno sempre di più e sarà difficile riuscire a mantenere il ritmo. Con il risultato che, nella maggior parte dei casi, il colpo di scena perderà inevitabilmente efficacia. Quindi, prendiamo spunto dalla prima parte di Game of Thrones, quando il colpo di scena è parte dell’ingranaggio narrativo e muove la storia in avanti.

Altro dettaglio che inseriamo in questo paragrafo è la necessità di lasciare qualcosa indietro. Game of Thrones l’ha fatto con le tante profezie, le cose messe lì ed abbandonate, sempre per i motivi di snellimento di cui sopra. La stessa cosa è utile per una campagna di gioco di ruolo. Nel caso vi accorgiate che un elemento della storia è inutile, i giocatori non se la ricordano e/o non hanno interesse nel seguirla, non abbiate paura di abbandonarlo. In fondo, se non viene mai fuori da una richiesta dei PG o dalla vostra voglia di inserirla all’interno della sessione in corso, significa che non era niente di importante. A questo proposito, un buon modo per tenere traccia del termometro di interesse dei dettagli della vostra trama è chiedere di tanto in tanto ai vostri giocatori cosa vorrebbero vedere in futuro nella campagna. Magari tra questi suggerimenti c’è proprio un elemento che stavate per abbandonare.

 

Gli intrighi politici “dietro le quinte” e non

Un altro elemento portate di Game of Thrones sono gli intrighi politici. Dicevamo della dimostrazione di un nuovo tipo di fantasy, una cosa che passa proprio per i rapporti tra personaggi, entità, regni e società di vario tipo. Ora, essendo GoT una serie TV si può far vedere al pubblico ciò che si vuole, andando a costruire una narrazione ben precisa mettendo in mostra tutte le parti in causa. Questo, nel gioco di ruolo, non si può fare. O meglio, si può anche fare, ma passare mezza sessione a raccontare in terza persona – o peggio ancora interpretare – un gruppo di personaggi che complotta alle spalle dei PG è a dir poco stucchevole.

Gli intrighi politici, nel caso al gruppo di gioco piaccia, sono uno strumento fenomenale. Riuscire ad imbastire qualcosa come i rapporti tra Frey e Lannister prima delle Nozze Rosse è molto appagante nel gioco di ruolo, oppure il tremendo piano di Cersei Lannister per far saltare il Tempio di Baelor e tutti i suoi nemici all’interno. In questo caso il Master può giocare di indizi, rivelare mano a mano le cose che stanno succedendo, usare sporadicamente (e lo sottolineiamo, sporadicamente) un racconto in terza persona in cui mostrare ai PG cosa succede altrove, e tante altre cose che però devono essere centellinate.

Un’altra cosa fondamentale è che gli intrighi funzionano quando sono sensati. Tutti gli sconvolgimenti politici e sociali di Game of Thrones funzionano perché sono coerenti. In questo senso dovrete essere il più possibile fiscali con voi stessi anche da Master. La necessità di accelerare o velocizzare alcuni processi è normale, perché il gioco di ruolo non è un romanzo, ma tutto deve comunque avvenire con un senso perché sia appreso dai giocatori con il giusto effetto. Una piccola società segreta composta da persone ininfluenti non potrà mai assassinare un Re e dare la colpa ai PG, mentre un oscuro e pericolosissimo gruppo dalla storia secolare, o l’alleanza tra due potentissimi nobili per esempio, potrebbe tranquillamente muovere una macchina del fango contro i PG e manipolare la percezione pubblica nei loro confronti. A prescindere da tutto, gli intrighi politici vanno scritti e preparati quasi come fosse un romanzo, se sono inoppugnabili da parte vostra, lo saranno sicuramente anche per i vostri giocatori.

 

Nomi, termini ed usanze simil-fantasy e medievali

Game of Thrones, oltre che essere un grande esempio di scrittura, è anche una grandissima fonte di ispirazione in termini di world building.

George Martin si è ispirato moltissimo alla realtà storica per buona parte di ciò che scrive su Westeros e dintorni. In primis il conflitto tra Lannister e Stark, che lo scrittore di Santa Fe ha sempre dichiarato essere ispirata alla Guerra delle Due Rose tra York e Lancaster (l’assonanza dei nomi non è casuale). In generale ci sono tante cose da cui prendere ispirazione, o copiare barbaramente, per impreziosire il mondo di gioco nel caso non usiate qualcosa di ufficiale o scritto da terze parti. L’idea dei casati, che sono importantissimi in ambientazioni come Eberron, che in Game of Thrones hanno emblema e motto caratteristico; i tanti modi di dire ed usanze, come offrire pane e sale agli ospiti per garantire e dimostrare loro fiducia, il “primo del suo nome” nel caso di primogeniti o primi figli di una dinastia, i tanti modi di dire come “pagare il prezzo del ferro” o l’iconico “al gioco del trono o vinci o muori”. Tutto questo ha contribuito a definire l’identità della serie e del franchise, ed allo stesso modo dovreste sperimentare anche voi con questi strumenti per dare una solida spina dorsale alla vostra campagna.

Anche dare un nome a dei titoli è importante, come il Maestro del Conio, il Primo Cavaliere (o Mano del Re, se vi piace osare con la traduzione letterale dall’originale) per costruire uno spessore al mondo di gioco. Gruppi, società segrete ed organizzazioni sono altresì molto caratterizzate in Game of Thrones, e donare un elemento di vestiario tipico come il nero dei Guardiani della Notte o l’oro delle Cappe Dorate, così come una serie di frasi tipiche o usanze rituali ad un’organizzazione è un modo semplicissimo ed efficace di costruire qualcosa di credibile senza scervellarsi.

La musica è molto più che è un sottofondo

Ramin Djawadi, compositore del tema principale di Game of Thrones e della stragrande maggioranza della colonna sonora della serie, è un altro dei motivi del successo dello show. La colonna sonora in una produzione audiovisiva, dal cinema al videogioco, fa gran parte del lavoro. Spesso non ci si accorge neanche della sua importanza, ma senza un buon accompagnamento sonoro si perde tanta potenza di fuoco narrativa.

È probabile che molti di voi giochino già con della musica di sottofondo, e va benissimo, ma provate ad usare di tanto in tanto un vero accompagnamento sonoro. Pensate all’inizio del finale della sesta stagione, la lunga sequenza ininterrotta (la più lunga fino a quel momento per lo show, senza che si passi ad altri punti di vista narrativi) in cui assistiamo al compimento del piano di Cersei Lannister per far esplodere il Tempio di Baelor. In sottofondo c’è “Light of the Seven”, proprio di Djawadi, che sostiene la narrazione in modo importante, senza svelare subito il momento tragico che arriverà di lì a poco ma costruendo una tensione grazie al crescendo musicale. Come Master è impossibile il più delle volte narrare andando a tempo con la musica, perché gli interventi dei giocatori rovinano inevitabilmente il tempismo. Ma, per alcuni momenti salienti o descrizioni dove sapete che non ci saranno interruzioni, provate ad allenarvi per andare a tempo con una canzone, un po’ come si fa per preparare le discussioni delle tesi di laurea stando sotto i soliti dieci minuti.

 

Costruire un buon antagonista

I personaggi di Game of Thrones funzionano perché sono scritti secondo delle scale di grigi. Non ci sono buoni o cattivi, eroi o antagonisti, ma solo degli antagonisti rispetto alla posizione di altri. Eddard Stark è l’unico personaggio veramente positivo a cui non si può rimproverare niente, e la sua morte non a caso è il motore di tutta la vicenda (dicevamo sopra dell’importanza dei colpi di scena) che ci ha tenuto incollati per tanti anni davanti allo show. Gli altri, chiunque altro, hanno almeno una piccola macchietta nera nella propria tela bianca di bontà.

Perché funzionano, quindi? Sebbene ci siano personaggi psicopatici e totalmente fuori controllo, come Ramsay Snow ed Euron Greyjoy (sebbene la caratterizzazione di quest’ultimo lasci veramente a desiderare), la stragrande maggioranza dei personaggi di Game of Thrones vivono, ragionano, parlano e si comportano per soddisfare dei desideri e con delle motivazioni. Famiglia, potere, onore, dovere, soldi, amore, destino o cinismo, questi sono alcuni dei valori per cui gli abitanti di Westeros (e non solo) fanno quello che fanno. Valori che troviamo nella vita di tutti i giorni, che spesso anche noi abbracciamo. Partire dai valori per cui un antagonista (ma in generale un PNG) fa quello che fa è il modo migliore per renderlo interessante, amabile o detestabile, a seconda di quale sia il vostro scopo.

Il finale della campagna

Il finale di Game of Thrones ha fatto discutere e continuerà a farlo per anni, come sempre accade con un fenomeno di costume così importante. A prescindere dal fatto che vi sia piaciuto oppure no, ci sono importanti lezioni che si possono imparare.

In primis, un finale anti-climatico è bello quanto pericoloso. Funziona se è asciutto e perfettamente contestualizzato, come per la splendida conclusione di The Last of Us, ma non è sempre indicato, come la famigerata trottola di Inception, che più che essere un anti-climax è un modo per lasciare un finale aperto e gli spettatori con anni ed anni di discussioni su un finale che, di fatto, non c’è. Può piacere o non piacere, ma è senz’altro delicatissimo. Oltretutto, in generale chi gioca a Dungeons & Dragons o simili si aspetta un finale epico, in cui gli eroi se ne vanno lontani verso il tramonto dopo aver compiuto l’impresa. Discorso diverso se giocate una storia diversa dai canoni usuali, che sia un thriller, un noir, o in generale una storia dove, per motivi di ambientazione o sistema di gioco che sia, il fallimento è contemplato ed è parte del divertimento. In ogni caso, il consiglio della coerenza è sempre valido.

Portate il finale dove è più sensato che possa andare, non osate in qualcosa di estremo solo per vostro piacere personale perché in fondo, fino a quel momento, siete stati dei fan dei personaggi (per citare un famoso dogma del gioco di ruolo secondo i PbtA) ed ha poco senso rovinare tutto solo perché vi elettrizza l’idea di scrivere un finale anti-climatico, magari. Scrivete qualcosa che soddisfi voi e che siete abbastanza sicuri possa soddisfare il vostro gruppo, e in ogni caso non fate l’errore di non essere fieri del risultato.

Potrà sembrare un ragionamento estremo, ma alla fine della fiera è il vostro finale e, a meno che non abbiate davvero fatto qualcosa di disastroso e completamente contrario alla narrazione finora, siate fieri del risultato. Ci sta che i giocatori possano non apprezzare il finale, ma è difficile che considerino l’intera campagna in maniera negativa (non sarebbero arrivato fino alla fine, altrimenti!). Proprio come il finale di Game of Thrones non debilita in alcun caso l’importanza dell’intero show.

This post was published on 28 Maggio 2019 11:22

Valentino Cinefra

Valentino Cinefra scrive di videogiochi per varie testate italiane, tra cui SpazioGames, BadTaste e VideoGamer Italia. Su queste pagine si occupa di giochi di ruolo, tra report delle fiere più importanti, analisi dei prodotti del momento, ed approfondimenti più o meno eclettici che mischiano vari argomenti di cultura pop nella speranza di tirare fuori qualcosa di sensato. E pensare che, quando da piccolo gli venne chiesto di provare Dungeons & Dragons, lui rifiutò vigorosamente perché inorridito dall'idea di passare pomeriggi interi a tirare dadi e "raccontare buffonate". Non solo il gioco di ruolo è diventata sua croce e delizia, ma farebbe di turno per tornare in quell'epoca fatta di pomeriggi incredibili, tra avventure senza senso, zero rispetto per il regolamento, e tanta improvvisazione e delirio.

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