Ieri il mondo italiano dei giochi di ruolo è stato scosso da una notizia inaspettata: Lovecraftesque è il Gioco di Ruolo dell’Anno 2018 secondo la giuria del Lucca Comics & Games. L’annuncio è stato dato come di consueto in occasione della conferenza stampa di presentazione della kermesse, dove il presidente della giuria Paolo Cupola ha annunciato la vittoria del gioco.
La sorpresa è stata tale perché arriva dopo un periodo di accese polemiche. I candidati erano Dungeons & Dragons Quinta Edizione (il solo Manuale del Giocatore, dettaglio molto importante), The Sprawl (di cui trovare la nostra recensione), Be-Movie e Cabal. L’annuncio dei candidati ha generato delle discussioni, perché in molti hanno sottolineato due elementi principali: il Manuale del Giocatore di D&D5 non è un gioco completo a differenza degli altri; c’è troppa disparità in termini di valori produttivi e risonanza mediatica tra il gioco Wizards of the Coast e gli altri.
Un premio il cui risultato era secondo i più già scritto: tra chi si aspettava una vittoria schiacciante del prodotto Asmodee Italia, e chi invece malediceva la giuria tra velate accuse e tormentoni più o meno ironici che ammiccavano a “Davide contro Golia”. Per tutti questi motivi, la vittoria di Lovecraftesque è risultata un vero e proprio fulmine a ciel sereno, che ha innescato la prevedibile gioia degli aficionados della scena indipendente nell’aver trovato qualcuno in grado di scalzare il Re dal suo trono.
Le motivazioni della giuria ve le avevamo raccontate qualche ora dopo l’annuncio, e si riassumono sostanzialmente nella freschezza del sistema di gioco che, citando testualmente le parole del comunicato ufficiale della giuria, “alleggerisce, distribuendole, le responsabilità della conduzione della storia, saranno i giocatori a creare la loro storia d’autore in stile lovecraftiano […]”.
La notizia nella notizia, infatti, è che Lovecraftesque è un qualcosa che molti non definirebbero neanche “Gioco di Ruolo”. La stessa descrizione dell’articolo sul sito di Narrattiva (che ne cura l’edizione italiana) lo definisce come “Gioco di Narrazione”. Da qui le reazioni di giocatori e addetti del settore di fronte ad un premio che farà oggettivamente discutere prima, durante e dopo la cinque giorni di Lucca. Il premio dato al lavoro di Joshua Foxx e Becy Hannison è infatti importante perché lascia la porta aperta a molte considerazioni su cosa, oggi, potrebbe essere definibile come gioco di ruolo, e su come il dibattito al riguardo potrebbe (e dovrebbe) modificare il premio Gioco di Ruolo dell’Anno in sé.
Ad ognuno il suo
Gioco di ruolo e gioco di narrazione, dicevamo. Definizioni in sé importanti, ben significative, ma che difficilmente potranno essere adottate in via istituzionale. Giocare di ruolo significa infatti tirare i dadi? Eppure anche una sessione molto narrativa di Dungeons & Dragons, in cui non si tira neanche un dado, è giocare di ruolo. Di base, è l’elemento del Game Master a rappresentare la differenza fondamentale. Il gioco di ruolo è dove il Game Master ha il suo solito ruolo, magari più o meno gravoso come in un PbTA come The Sprawl, mentre il gioco di narrazione non prevede la figura di un GM, almeno nella sua accezione classica.
Come si fa, quindi, a dare giustizia ad entrambi i mondi? Un’idea per il futuro potrebbe essere adottare le classificazioni che si usano nelle manifestazioni videoludiche ad esempio, dove vengono dati i premi ai giochi indipendenti ed ai tripla A, le produzioni maggiori. Così il “Miglior videogioco indipendente” rende subito l’idea di quali prodotti sono in quella categoria, cosa significa quel premio e come dovrebbe essere considerato. Mentre il “Miglior videogioco dell’anno” è un premio più totale, che generalmente viene vinto da chi ha saputo mettere in campo valori produttivi notevoli, ma anche idee di game design in grado di lasciare il segno, in generale un titolo meritevole (che potrebbe anche essere indipendente, perché no).
A questo proposito, più volte la giuria ha risposto che non sono previste delle sottocategorie per mancanza di eccessive candidature, che renderebbe le eventuali premiazioni troppo scarne. Il che stona un po’ con le dichiarazioni di chiunque nel settore sulla prolificità dell’ultimo anno e sui tanti giochi di ruolo usciti. In questo modo, però, si rischia di creare un premio che non riesca ad esprimere il suo valore come dovrebbe.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di replicare ciò che viene fatto con il Gran Guinigi, dedicato al fumetto. Ampliare le candidature (o addirittura non restringerle affatto) e poi assegnare vari premi come Miglior Game Design, Miglior Manuale (valori produttivi, rapporto contenuti/giocabilità, prezzo, ecc.), Miglior Ambientazione, ma anche qualcosa come Miglior Supplemento, Miglior Gioco Indipendente, Miglior gioco dell’Anno, e così via. In questo modo il premio Gioco dell’Anno assumerebbe tutto un altro spessore, in grado di essere un vero specchio di cosa succede in Italia e nel resto del mondo, ma soprattutto renderebbe davvero giustizia al lavoro fatto nel corso dell’anno dagli addetti ai lavori. Perché non considerare in futuro di premiare Dragon Heist di D&D5? E dov’è finito Starfinder per esempio?
Tra patriottismo e game design
Una delle motivazioni più in voga dei detrattori, e non, riguardo il Gioco di Ruolo dell’Anno 2018 è che Dungeons & Dragons ha già avuto il suo enorme successo e non ha bisogno di altri premi. Il che è vero per definizione, ma anche falso. È come dire che Cristiano Ronaldo non ha bisogno del Pallone d’Oro perché i gol segnati nella stagione parlano per lui: un premio dovrebbe andare proprio a celebrare il lavoro fatto nel proprio settore.
È vero che D&D5 ha venduto molto rispetto alle passate edizioni, ma non è che i manuali si sono catapultati nelle tasche dei giocatori. Sebbene una parte del merito si possa imputare all’aura positiva che l’edizione si porta dal 2015 (anno di uscita negli USA) ad oggi, anche Asmodee Italia ha fatto molto per sdoganare il brand, e quindi anche tutta la cultura ad esso collegata. Premiare Dungeons & Dragons avrebbe significato celebrare il gioco di ruolo, la splendida annata che sta avendo e la rinnovata cassa di risonanza a livello nazionale. Perché magari le vendite di D&D non trainano quelle delle produzioni indipendenti, ma di sicuro avvicinano nuovi potenziali clienti al settore.
Un premio dovrebbe anche celebrare l’inventiva, l’assoluta superiorità rispetto alla concorrenza, e spesso può rappresentare una netta presa di posizione, un messaggio da mandare a tutto il settore. L’impressione è che con l’edizione 2018 del Gioco di Ruolo dell’Anno si sia fatto esattamente questo. Premiare Lovecraftesque significa consegnare una presa di coscienza riguardo il fatto che i giochi di ruolo possono essere solidi e divertenti, anche senza un Master. Ma Lovecraftesque è, non ce ne vogliano gli estimatori, effettivamente forse il gioco più debole con cui mandare un messaggio tra quelli presenti nella selezione. Escludendo D&D, di cui abbiamo abbondantemente già parlato, rimangono The Sprawl che, pur essendo un ottimo gioco, è comunque un qualcosa di derivativo per buona parte, poi Be-Movie e Cabal. Tra i due, senza nulla togliere al brillante titolo dedicato al traballante cinema di serie B, sarebbe stato più sensato premiare Cabal.
Prima di tutto è un gioco di ruolo dall’ambientazione originale, mentre Lovecraftesque è l’ennesima produzione dedicata ad H.P. Lovecraft ed i Miti di Cthulhu, ma soprattutto il lavoro di GG Studio è completamente italiano. Quello stesso concetto di Made in Italy che, durante la conferenza stampa, è stato il leitmotiv principale di tutta la presentazione, fino a sfiorare lo stucchevole alle volte. Perché non premiarlo, a questo punto? Non solo l’esistenza giochi alternativi che sono divertenti quanto i giganti del settore, ma la giuria di Lucca avrebbe espresso a chiare lettere che gli italiani sanno fare giochi di ruolo, in un periodo in cui il livello di patriottismo verso la produzione del proprio paese è ai minimi storici in ogni settore.
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