Cos’è “Smonta il sistema”? Buona parte degli articoli che ho scritto riguardano il presentare e analizzare meccaniche dei giochi di ruolo. Dal successo con costo alla time pool, dalle innovazioni nel design degli ultimi vent’anni alle differenze tra le due edizioni di D&D più giocate, il fil rouge è stato certamente questo.
La prosecuzione naturale di tutto questo è “Smonta il sistema”, una rubrica dal nome discutibile, in cui ogni domenica vi proporrò meccaniche particolarmente interessanti dai giochi più disparati, modifiche ai sistemi, analisi, confronti, e perché no, anche mostri e personaggi che spingono al limite le regole di un dato gioco o ne utilizzano di originali.
In questo primo episodio vedremo alcune delle chicche di Torchbearer, un gioco di ruolo tanto promettente quanto sconosciuto, specie qui in Italia dove non è neppure pubblicato (me lo sono dovuto far spedire dagli States). Il GdR che più gli si avvicina tra quelli distribuiti nel nostro Paese è Mouse Guard: sono entrambi figli del sistema Burning Wheel. Le differenze, però, sono svariate.
Il modo più rapido per capire cosa è Torchbearer, almeno per chi mastica anche un po’ di videogiochi, è di presentarlo come il Darkest Dungeon dei giochi di ruolo. Le analogie sono numerose: in entrambi i casi abbiamo un gruppo di reietti e poveracci che cercano di sopravvivere facendo ciò che nessun altro desidera fare: avventurarsi in oscuri dungeon, male armati, per depredarne i tesori e sperare di riportare a casa la pellaccia – visto che sono abitati da creature letali e infide.
In entrambi i casi le torce sono fondamentali, e in generale un’oculata gestione delle risorse. In entrambi i casi, i personaggi si stressano e rischiano di impazzire. E in entrambi i casi, i personaggi tornano in città e hanno a disposizione alcune scelte per ristorarsi, potenziarsi ed equipaggiarsi, rendendo la fase della città un gioco nel gioco.
Ma non è questo il momento di dilungarci in una panoramica di Torchbearer. Ciò di cui parleremo oggi riguarda la gestione dell’inventario, e delle componenti materiali degli incantesimi.
Ricordo che quando iniziai i primi tentativi di giocare a D&D (era con la 3.5, una decina di anni fa), ero affascinato dall’idea dell’asprezza della vita da avventuriero, che doveva barcamenarsi tra giaciglio, acciarino, corda, triboli, torce, armi e quant’altro, scegliendo accuratamente in modo da non superare il carico massimo.
E cosa succedeva poi in gioco? Che tenere traccia del peso in kg di ogni singolo oggetto, e controllare che in ogni dato momento il totale non superasse un valore trovato su una tabella a partire dal punteggio di Forza del personaggio, era qualcosa che semplicemente non riuscivamo a fare. “Vabbe’, che importa, diciamo che puoi portarle e va bene così”. Ed ecco che ci si riempiva di dozzine di spade e trilioni di monete, evitando di visualizzare come potessero possibilmente venir trasportate.
E sapete cosa? Per un gioco in cui i protagonisti sono degli eroi che salvano il mondo, grossomodo va bene così. Non è interessante tenere la contabilità del peso dei triboli e dei metri di corda e vedere se si possono trasportare. Al massimo si può cercare di fare attenzione alle storture più evidenti (tipo: esattamente come te le porti tutte queste spade?). Per molti generi non è neanche interessante tenere traccia dell’inventario…!
Se però siete interessati agli aspetti di dungeon crawling, survival, di scarsità e gestione delle risorse, se volete un gioco che vi faccia sentire di sudarvi ogni piccola conquista quotidiana, può valere la pena dare un’occhiata a come Torchbearer gestisce la faccenda, per prendere qualche spunto.
Questa è la zona della scheda personaggio dedicata all’equipaggiamento. Il peso degli oggetti non è un fattore del gioco: come potete vedere, invece, ad essere importante è dove ogni oggetto viene posizionato. Ad esempio, la chainmail armor è torso/worn1, e quindi occupa uno slot del torso. La plate armor invece è torso/worn2, quindi andrà ad occuparne due. L’aglio è hand/carried1, oppure neck/worn1 oppure pack1 (possiamo portarlo in mano, al collo o in uno dei contenitori a disposizione. La corda è torso/worn1 se ce la arrotoliamo e leghiamo addosso o pack2 se la teniamo nello zaino. E così via).
Con questo meccanismo molto visivo non ci sono somme di cui tenere conto, è immediatamente evidente cosa possiamo portare e cosa no, e consente un’infinità di scelte.
Inoltre, dobbiamo scegliere tra avere un satchel (borsa a tracolla) o un più pesante backpack (zaino). Lo zaino sblocca ben tre slot pack, ma ne occupa due del torso anziché uno, e dà delle penalità in alcune prove per via della scomodità nei movimenti.
Infine, gli small sack e large sack, mostrati nella scheda, non sono slot disponibili di default. Potete dotarvi di sacchi (che occupano spazio nello zaino o nella borsa a tracolla), e all’occorrenza tenerli in mano (così da pack1 diventano hands/carried1 per i sacchi piccoli e hands/carried2 per i sacchi grandi) e inserirvi quello che desiderate (tipicamente il bottino). Fintanto che li tenete in mano, naturalmente, non potete impugnare armi, torce e quant’altro.
E cos’altro faceva impazzire il sottoscritto sfogliando i manuali di D&D 3.5, anni fa? Ho sempre avuto un debole per i maghi, e leggere che ogni magia aveva le proprie componenti materiali specifici, e che il libro degli incantesimi aveva cento pagine e ogni incantesimo richiedeva una pagina per livello, mi faceva sognare e immaginare di essere un vero incantatore, alle prese con formule magiche, ingredienti e sapere arcano.
… Questo mentre leggevo il manuale, appunto. Cosa succedeva poi in gioco? “Che ingrediente serviva per la palla di fuoco? Be’ fa niente tanto ce li hai tutti finché non costano”. Pathfinder e D&D 5 hanno tagliato direttamente la testa al toro coi vari focus arcani (bastoni, bacchette e quant’altro che fungono da sostituto universale degli ingredienti non preziosi, in modo da non perdersi via con questa parte non rilevante e pesante del gioco).
Torchbearer affronta la questione in modo diverso, intersecandosi tra l’altro con il meccanismo dell’inventario.
Ogni incantesimo ha un suo ingrediente associato. Questo però non lo rende necessario al lancio della magia. Un mago, volendo, può castare senza mai preoccuparsi degli ingredienti. Però, però, un mago vorrà invece preoccuparsene eccome: la funzione delle componenti degli incantesimi sta nel potenziarli – nello specifico, il consumo dell’ingrediente fornisce un dado in più al tiro dell’incantesimo, aumentandone le possibilità di successo.
Ogni ingrediente occupa uno slot nell’inventario, aumentando anche in questo modo la loro importanza ed evitando che diventino una parte del gioco inutile. Dovendo competere con gli altri oggetti trasportabili, gli ingredienti delle magie contano.
E riguardo il libro degli incantesimi? I libri di 100 pagine hanno un limite talmente in là nel tempo e scomodo da calcolare, che sistematicamente si ignora giocando. In Torchbearer il libro è pack2, quindi richiede ben due slot, e di pagine ne ha solamente cinque. La quantità di incantesimi trasportabili è quindi risicatissima (ma nella propria città natale il mago ha la sua libreria in cui li conserva tutti e può modificarsi il libro all’occorrenza), spingendo a scegliere attentamente le proprie magie.
In caso di necessità estrema, però, è possibile lanciare un incantesimo senza utilizzare uno degli slot disponibili, consumandolo invece dal libro, come fosse una pergamena (ma, così facendo, le pagine del libro diventano vuote, e bisognerà tornare alla propria libreria prima di poterle riempire nuovamente).
E con questo si chiude questo primo, piccolo tuffo in Torchbearer. Sicuramente ci torneremo in futuro, perché ha molte altre peculiarità degne di nota e che potrebbero darvi spunti di gioco. Nel frattempo, spero che la gestione dell’inventario possa aiutarvi per eventuali campagne in cui la scarsità di risorse è importante, e che il funzionamento della magia possa ispirare i vostri incantatori dei più disparati giochi.
Alla prossima!
This post was published on 5 Agosto 2018 14:29
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