Diario del dott. Flammini 14 Novembre 1957
Caro diario, è chiaro che mi stai nascondendo un segreto. Un segreto che non comprendo. Oggi, rileggendo gli ultimi avvenimenti, ho trovato una tua pagina scritta da me ma di cui non ho memoria.
Questo il suo contenuto:
“Diario del dott. Flammini 13 Novembre 1957
Deve essere successo qualcosa questa notte. L’intera Rocca è in subbuglio ma ignoro il motivo: proverò a chiedere.
[…]
Niente da fare: il Templare posto di guardia alla porta ha intimato cordialmente di rientrare nella mia cella. Continua a chiamarmi con il mio falso nome… com’è che mi chiamavo? Diamine, dovrò tornare indietro ancora una volta e controllare.
[…]
Raimondo, ecco. Mio Dio, perdo la memoria sempre più in fretta.
Il Templare qui fuori è stato molto gentile e mi ha spiegato cosa è successo. Dalla mia finestra sul cortile non capivo gran che e sembrava come se un uomo – quale idiozia – un anziano fosse stato ucciso. Un signore che viveva in una segreta cantina della città: l’erborista giù all’angolo.
Una croce insanguinata è stata trovata sua porta d’ingresso e la ragazza all’interno – quella che viveva al piano superiore e mi domando perché conosca questa cosa? – trovata sventrata: aperta in due, quasi chirurgicamente.
Non so il perché ma quando me l’ha descritta ho avuto come l’impressione di conoscerla, ma la cosa più strana è stata quella di aver trovato una botola all’interno dell’edificio.
Ora che ci penso, io li ci sono stato. Si, certo, una botola che conduceva nei cunicoli segreti di Torino. Lunghe scie di sangue in lunghi i corridoi che portavano ad una porta di legno dove vi era recato un simbolo sopra: uno come quello che ho io.
Esattamente come mi ha indicato il Templare qui fuori ma che tra poco cancellerà col sangue.
[…]
Dentro il nascondiglio vi è un essere completamente nudo, femminile: una donna con inciso sulla tempia un numero in lettere romane: XCIII.
[…]
L’uomo, fatto a pezzi, smembrato, è stato trovato ancora fremente – cosa normale qui in questo mondo – ed intorno a lui una miriade di giocattoli fatti a pezzi. Ancorato al divano, due costole lo tenean immobile quali fossero chiodi. Come fossero chiodi negli occhi, si!
[…]
Mi domando: chi ha massacrato quell’essere abominevole?
Chi ha fatto a pezzi quei giocattoli?
Dicono che se ne occuperà il Gran Maestro in persona. Che ora è in città e nulla bisogna temere. Io sinceramente ho da temere, e molto da lu… Cosa è stato? Sembrava provenire da fuori dalla finestra. Sarà meglio controllare.”
Mentre rileggo queste poche righe mi torna alla mente il sapore del sangue come se ora impastasse la mia bocca; non so spiegarmene il motivo. Ancor più mi spaventa l’incessante martellio nella mia mente che invoca pietà recitando “Pietà! Pietà orrida creatura: se non per me, abbila almeno per i miei burattini. Pietà!”
Voglio, devo, andarmene da qui!
<-Capitolo XXXIV – Capitolo XXXVI->
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