Diario del dott. Flammini 13 Novembre 1957 – Parte II
“Devo essermelo immaginato, perché ho come sentito picchiettare alla finestra, eppure non c’è nulla li fuori, nessuno.
Nemmeno voi che mi spiate!
Ma d’altronde, in un posto da incubo come questo, è normale avere allucinazioni uditive non credete? Già, immaginavo.
Forse solo la mia incrollabile Fede in Dio potrà salvare questi uomini perduti. Eh si, ve lo domandate ogni volta, vero? “E se avessero ragione?”
Magari solo Dio può salvarci da un sonno talmente profondo da esser fatto di morte, dolore e cieca ferocia. Si, Cieca Ferocia, come quella a cui mi accompagno: muta!
Che non sia altro che la prova finale imposta dall’altissimo conosciuta come Apocalisse? Il banco di prova finale atto a dividere bianche pecore cieche da peccaminose pecore nere?
Non aspettare sia troppo tardi… Ma cosa provo a parlare a fare con te che sei un parto della mia immaginazione. Mostro d’ingratitudine, l’uomo”
Rifletteri Flammini, rifletti su quanto hai appena trovato scritto perché Sant’Iddio questo deve avere un senso: questa non è la mia calligrafia.
<-Capitolo XXXII – Capitolo XXXIV->
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