Diario del dott. Flammini 10 Novembre 1957
La situazione è sempre meno gestibile, anche se sono giorni che sono qui e nessuno sembra essersi reso conto che sono un impostore. Continuo a chiedermi chi abbia scritto sul mio diari; quella è la mia calligrafia, tutto ciò non ha alcun senso…
Comunque, stamane Diego mi è venuto a prendermi per portarmi in centro. Sono uscito tranquillamente, dopotutto chi fermerebbe mai un Templare?
In questi giorni, da racconti sparsi qui e li, ho capito che la cittadinanza torinese sembra essere molto grata ai templari da quando questi li hanno liberati dai Morti. Sono visti come degli angeli scesi dal cielo per aiutare i bisognosi…
Percorsi dei vicoli umidi e stretti, siamo giunti presso una bottega: una erboristeria. Diego mi ha imposto di entrare, di fare non domande e che se avessi davvero tenuto alla vita del Maestro quello era questo il posto giusto dove andare.
All’interno, come ad attenderci, vi era una giovane ragazza sorridente dai lineamenti mediterranei e capelli corvini; ci ha sorriso e in uno stentato italiano ha chiesto come potesse aiutarci. Diego si è limitato a farfugliare un sommesso “mi manda Laffi” – tutt’ora ignoro chi sia costui, non ho mai sentito parlarne – e la ragazza, smesso di fare qualunque cosa fosse intenta a completare, ha sollevato il pesante bancone di legno e ci ha frettolosamente condotto nel retro, indicando una serie di scale che volgevano verso il basso, invitandoci a fare presto.
Scese le scale si è presentato davanti a noi un lungo corridoio tappezzato di lanterne ad olio, di quelle che puzzano e appestano. Con molta probabilità deve trattarsi di vecchie cantine tutte collegate tra i di loro che salvarono la vita a molti uomini durante la guerra. Non pensavo ne esistessero ancora a Torino, credevo fossero solo una peculiarità di piccoli paesi di montagna. Comunque, il nostro viaggio si è interrotto davanti una porta in legno recante un simbolo: una stella a 5 punte inscritta in un cerchio. E subito ho pensato a quanto ho impresso sulla mano. Ho il medesimo simbolo io, con una sola differenza: questo è capovolto rispetto al mio.
All’interno una stanza scura invasa da aria pesante ci attendeva; odore dolciastro – sandalo, no, vaniglia – nelle mie narici utile a confondermi la mente. Da una poltrona posta nella stanza, un uomo leggeva svogliatamente un libro, sembrava quasi attenderci. Rivelatosi per un vecchio questi ha abbassato lentamente i suoi occhiali da vista, rivelando penetranti occhi color nocciola intendi prima ad indagare me e poi Diego.
Il libro, ormai chiuso e posato di lato rivelava il suo titolo: “Colui che sussurrava nelle Tenebre”; non mi giunge nuovo ma non ricordo dove l’ho già sentito.
Il nostro nuovo interlocutore si rivolse a Diego chiedendo chi io fossi. La sua risposta fu lapidaria: io sono Raimondo, un Templare e un bravo medico, in cerca di medicinali affidabili per assicurare la salvezza della vita del Maestro.
Il vecchietto, osservatomi con sguardo indagatore, sembrò riflettere, poi si alzò di scatto – mai avrei immaginato una agilità simile a quell’età – e andò verso la sua scrivania a muro dove trovavano alloggio numerosi burattini. Ve ne erano di molti tipi: un carabinere e un Pinocchio, un burbero uomo in giacca e cravatta, una dolce ed indifesa bambina e, in disparte, uno completamente ammantato da un mantello intento a reggere una falce stranamente dalle fattezze non umane. Da sotto il cappuccio, infatti, era possibile scorgere un muso appuntito e due grandi dentoni e dietro una sottile coda scheletrica che sbucava dal vestiario. Mi venne istintivamente da pensare alla morte ma trovai la cosa buffa: uno scheletro di topo vestito da morte? Ma certo, quale fervida immaginazione: la MORTE dei Topi.
Dopo aver spostato accuratamente alcuni di questi burattini il nostro interlocutore rivelò un comparto segreto nella scrivania. L’uomo disse di avvicinarsi e chiese a Diego di prendere tutto quello che poteva essere era necessario per la salvezza del Maestro.
Osservai quanto vi era e vidi che in realtà non era poi molto: qualche siringa, alcuni attrezzi utili per la sterilizzazione, antibiotici generici e cose simili. Indicai quanto potesse tornare utile, consapevole che avrei comunque potuto fare ben poco ma non delusi Diego quando mi chiese se saremmo riusciti, ora che avevamo quanto ci serviva: “farò il possibile!”
Salutammo frettolosamente l’uomo che ci strinse la mano all’altezza dell’avambraccio – forse un segnale in codice – mentre sussurrava “il sacrifico di Laffi non sarà vano“.
Uscimmo subito da li, nemmeno un saluto alla donna. Niente!
Quali topi sgattaiolammo nei vicoli in silenzio. Quanto serviva ora era nella sacca e potevamo tornare Rocca.
Diego ora è via, mi ha lasciato il tutto speranzoso che io possa fare qualcosa. Non sono un gran che come chimico, sono più un medico generico; posso provare ad improvvisare ma di sicuro qualcuno come un erborista saprebbe fare meglio di me ma ormai non posso deluderli. Chissà se riuscirò a salvarlo e assicurarmi cosi un favore: un biglietto per Roma. La mia Roma.
Dio, aiutami tu!
<-Capitolo XXX – Capitolo XXXII->
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This post was published on 29 Novembre 2017 19:00
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