Siamo giunti alla quinta e ultima parte dell’articolo sulle differenze tra D&D 3.5 e D&D 5. Verranno trattati per sommi capi alcuni punti che non hanno trovato spazio nelle parti precedenti, ma che sono comunque importanti (la morte, i riposi, l’ispirazione, gli allineamenti, gli oggetti magici e la griglia, oltre ad un consiglio sul ranger).
Quando un PG va a 0 o meno punti ferita non occorre più contare quanti pf negativi ha. Al contrario, ad ogni turno fa un “tiro salvezza contro la morte”, un tiro secco di d20 senza bonus. Con 1 segna due risultati negativi, da 2 a 9 un risultato negativo, da 10 a 19 un risultato positivo, con 20 si stabilizza e rinviene. Quando ottiene tre risultati positivi si stabilizza, anche se rimane privo di sensi. Se arriva a tre risultati negativi, invece, muore. Ogni attacco subito mentre è morente conta come risultato negativo, e se è critico conta come due risultati negativi. Essere attaccati con un attacco in mischia a 1,5 metri è automaticamente un critico se si è inconsci, e conta quindi come due risultati negativi.
In D&D 5 c’è una ripartizione tra i riposi lunghi e i riposi brevi. I riposi lunghi durano 8 ore, consentono di recuperare tutti i punti ferita, e metà dei propri “dadi vita”, che si utilizzano nei riposi brevi. I riposi brevi durano 1 ora in cui non bisogna fare nulla di impegnativo. Alcune delle capacità delle classi si rigenerano dopo i riposi brevi anziché quelli lunghi (il warlock e il guerriero sono come nuovi dopo un riposo breve, punti ferita permettendo). La caratteristica essenziale dei riposi brevi, comunque, è che si possono spendere i “dadi vita” detti sopra per recuperare punti ferita. Se ne hanno in quantità pari al proprio livello, e il tipo di dado è determinato dalla classe.
Questo consente peraltro più spazio di manovra ai party che volessero essere privi di un personaggio che si dedica interamente o per la maggior parte alle cure. Permette inoltre un ritmo più serrato, non dovendo per forza ricorrere al riposo di 8 ore quando si è a corto di incantesimi e punti ferita.
Questa a mio avviso è una potenziale buona idea (molto simile ad una delle meccaniche peculiari del GdR Fate) realizzata maluccio e troppo facilmente dimenticabile. Quando si gioca una bella scena in accordo a un Tratto, Ideale, Legame o Difetto del proprio PG, si ottiene un punto Ispirazione (se ne può avere massimo uno alla volta). Si può spendere l’Ispirazione per ottenere vantaggio ad un tiro, oppure per dare vantaggio ad un alleato. Ci sono alcune varianti amatoriali che migliorano il funzionamento di questa meccanica, ma continuano a scontrarsi col fatto che è un’aggiunta posticcia in un sistema in cui non ha molto posto, con un beneficio non così rilevante… e dunque cade nel dimenticatoio più spesso che no. Peccato.
I designer hanno avuto l’ottima idea di liberarsi finalmente degli allineamenti, anche se poi ci hanno ripensato e li hanno parzialmente reintrodotti. Comunque, non ci sono restrizioni di allineamento per nessuna classe, né incantesimi legati ad allineamenti. Individuazione e Protezione dal bene e dal male riguardano non morti, diavoli, demoni e fatati. I paladini hanno dei magnifici Giuramenti tra cui scegliere (di Devozione, degli Antichi, della Vendetta e della Corona), con codici di condotta da seguire rigorosamente e delle capacità derivanti dal giuramento. Ma non sono vincolati ad un preciso allineamento. Questo li rende molto più sfaccettati e interessanti da giocare, portando in campo anche dei conflitti morali non da poco, anziché essere delle macchiette.
I gradi sfida sono pensati per personaggi privi di oggetti magici. Non è obbligatorio diventare degli alberi di natale agghindati con mantelli di resistenza, anelli di protezione e quant’altro per stare al passo con le sfide. Gli oggetti magici in D&D 5 non si comprano al mercato. Sono artefatti unici, leggendari, rarissimi, con una propria storia e difficili da trovare. Inoltre bisogna essere “sintonizzati” sull’oggetto magico affinché si possa usufruire dei suoi effetti, ma si può essere sintonizzati ad un massimo di tre oggetti magici.
Anche la costruzione di un oggetto magico non è un processo automatico sbloccabile con un talento: occorre apprendere, nel gioco, il difficile e unico processo di creazione (inventato dal DM), il che è sostanzialmente una missione che può potenzialmente dar vita a tante altre missioni per trovare tutto ciò che serve e forgiare l’artefatto. Gli oggetti magici non hanno neppure un costo in denaro preciso, non avendo un mercato.
Leggendo il manuale, la pubblicità della Wizard e sentendo le affermazioni di molti giocatori, sembra che D&D 3.5 e 5 differiscano anche per l’uso della griglia, che sarebbe diventato solo opzionale e non più lo standard. In realtà, se per ogni edizione si può decidere con più o meno difficoltà di giocare con oppure senza griglia, a seconda dei gusti, queste due edizioni hanno a livello di regolamento effettivo lo stesso rapporto con la griglia. Incantesimi e capacità hanno aree di effetto di grandezze multiple di 1,5 metri (il “quadretto” della griglia). Ci sono anche trucchetti come raggio di gelo che diminuiscono la velocità del bersaglio di due quadretti disponibili fin dall’inizio del gioco. Le uniche differenze reali in merito sono due, e rendono leggermente più semplice gestire i combattimenti senza griglia. Una è che gli attacchi di opportunità si generano solo uscendo dalla zona minacciata, e non muovendosi all’interno. L’altra è che le grandezze delle aree di effetto e le distanze a cui funzionano gli incantesimi non crescono coi livelli ma rimangono uguali.
Fa schifo. Davvero, è pessimo, al punto che è stata pubblicata una versione revisionata ufficiale che lo rende una classe al pari delle altre. Se volete giocare un ranger, usate la versione revised.
Per concludere, cosa si può dire di questo D&D 5? Si dice spesso, per paragonarlo a D&D 3.5, che sia un gioco snello, incentrato sulla narrazione e non il combattimento, moderno, che ha ripreso la giusta rotta rispetto alla 4° edizione “che sembrava un videogioco” e al tempo stesso che sia più semplicistico e con meno possibilità di personalizzazione. Sono in disaccordo con buona parte di queste affermazioni.
Avendo giocato entrambe le edizioni (e provato la 4°, e in generale giocato ad oggi 32 giochi di ruolo), posso dire che certamente D&D 5 è un gioco più snello di D&D 3.5. Ha ridotto il book-keeping, vero, ma questo è comunque presente. Si tratta di un gioco mediamente poco snello, per quanto lo sia immensamente di più della 3.5 e di Pathfinder. Riguardo la discutibile dicotomia tra narrazione e combattimento (che però non posso affrontare qui senza rendere l’articolo mastodontico), D&D 5 è un gioco focalizzato nella quasi totalità al combattimento, esattamente come la 3.5, esattamente come la 4°.
C’è la piacevole aggiunta dei background, e quella marginale dell’ispirazione, ma le classi e le razze sono collezioni di capacità per superare conflitti violenti. Prendiamo il Warlock col patrono fatato: al primo livello ha la capacità di instillare la paura con la sua presenza. Sembra figo, sembra evocativo. Ma in concreto è un’azione che bersaglia ogni creatura entro un cubo di 2 quadretti di lato, che dura un turno. È chiaramente una capacità per il combattimento.
E D&D è (quasi) tutto così, a prescindere dalla sua incarnazione (non mi esprimo sulle edizioni prima della 3.0 non conoscendole). È un gioco di eroi fantasy che affrontano insieme avventure combattendo nemici. E la quinta edizione non fa eccezione. Ed è un gioco in cui ci sono capacità ad utilizzi che si consumano, e ruoli “videogiocosi” come il tank, il glass cannon, il support, il crowd controller etc. Non è scritto esplicitamente come nella quarta, ma è una dinamica presente esattamente come nella 3.5 e in Pathfinder. Mancano inoltre innovazioni che sarebbero state assai gradite in un gdr classico di combattimenti fantasy come l’escalation die, le icone e il fail forward (quest’ultimo ormai presente in quasi tutti i giochi di ruolo moderni) che in 13th Age sono presenti.
Riguardo la maggiore semplicità, e la minore possibilità di personalizzazione del PG: è vero che ci sono meno opzioni, ma sono tutte utilizzabili. Se prima si hanno di fronte 100 scelte ma 80 non sono davvero praticabili e poi se ne hanno 30 ma sono tutte praticabili, si può davvero dire che ci siano meno opzioni?
Chi vuole cambiare perché non è interessato ad un gioco in cui si combatte così tanto farebbe semplicemente meglio a cambiare gioco, senza farsi ingannare da chi sostiene tesi vaghe e discutibili come “è narrativo” (?). Chi invece apprezza lo stile di D&D ma vuole qualcosa di più fresco, bilanciato e snello, vuoi perché ritiene che le regole e i calcoletti e le tabelle siano troppe, vuoi perché non ne può più di fare il combattente surclassato dagli incantatori, vuoi perché preferisce il feeling più fantasy e meno super-eroistico, credo farebbe bene a dare quantomeno una chance a questa edizione.
This post was published on 22 Maggio 2017 11:02
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