Diario del dott. Flammini 23 ottobre 1957 – Parte II
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O mio dio!
Oh mio Dio!
OH MIO DIO!
Ma dove sono, questa non è Ravenna, questa non è la mia Ravenna.
Stamane, dopo aver parlato a lungo con Giovanni sono uscito a prendere una boccata d’aria e ho trovato inquietante che si facesse segno della croce più e più volte ma mai mi sarei aspettato quella risposta.
Gli ho detto che uscivo, che andavo andavo a cercare un telefono, e lui mi ha continuato a pregare di non uscire, che era pericoloso oggi e che i telefoni erano proprietà del demonio, che mai per nulla al mondo avremmo più dovuto usarli.
Non ho ancora ben compreso che intendesse ma non è questo quello che mi ha reso cosi teso. Uscito dalla stamberga, perché è chiaro, un albergo non è che nemmeno il giornale al banco ha, ho alzato gli occhi al cielo ed ho visto qualcosa, una scena che mai avrei immaginato.
Alti e lontani, uno stormo di corvi volteggiava nell’aere, come se cercassero una carcassa da spolpare. Un brivido mi percorse la schiena, quella singolare scena era presagio di sventura, che c’era qualcosa di male in quel loro volteggiare.
Cominciai ad addentrarmi guardingo per i vicoli e le vie del paese, di città non si può affatto parlare e magari solo un sobborgo di Ravenna è questo, oh, insomma, ho cominciato a girare a vuoto e d’un tratto a girare e vengo attratto da un clamore, un capannello di gente poco distante si era riunito per di una piazza.
Un fumo al centro,ma la folla non permetteva di vedere cosa vi era al centro. Forse è una festa di paese in cui bruciano un pupazzo per esorcizzare i malefici, pensai, sta di fatto che arrivai e li: le urla.
Due urla di due persone distinte. L’una recitava cantilene in una lingua sconosciuta,che mi ricordò quella parlata nella Rocca. L’altra, più naturale, che strilla e strepida. E allora io mi faccio spazio, che voglio capire, e d’innanzi a me si staglia un incubo: maestosa ai miei occhi, vi è una pira alta due metri avvolta dalle fiamme. Al centro un palo e li legao un uomo nudo che arde vivo, dimenandosi quale un forsennato.
Alla sua destra, su un piccolo rialzo improvvisato, sta un frate vestito di bianco e porpora che stringe fra le mani un libro, mentre recita qualcosa. Quegli occhi erano gioiosi, ne sono certo, era felice di quello che stava vedendo, di quello stava ordinando di fare… e tutte le persone intorno a lui formavano un cerchio di curiosi che immobili e assuefatti osservavano quell’avvenimento per loro cosi naturale. Qualcuno in verità ricordo che scuoteva la testa in segno si assenso, altri stringevano forti un rosario mentre li sentivo cantilenare Iddio per salvare la loro anima, non di colui che bruciava. E , ovviamente, c’era anche chi distoglieva lo sguardo, forse esterrefatto quanto me.
Quella era una esecuzione ed io vi ero davanti, e non potevo fare nulla.
Mi allontanai velocemente per non esser visto e arrivai svelto in un vicolo e li nei pressi vomitai e poi fuggii ancora, fuggii via da quell’incubo a cielo aperto.
Prima di rifugiarmi nuovamente in questa baracca osservai ancora il cielo e vidi nuovamente quei corvi e li sentii chiaramente che sussurravano: ti cerchiamo…
<- Capitolo XI – Capitolo XIII ->
This post was published on 22 Settembre 2017 19:00
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