Diario del dott. Flammini 20 Ottobre 1957
Gervaso, il medico della Rocca, o a meglio dire come lo chiamano qui “il frate curatore“, mi ha chiesto per tutto il tempo che mi ha medicato come abbia fatto a chiudermi la mano cosi violentemente nel cassetto della mia scrivania… tanto da rompermela.
Sono certo che non se la sia bevuta la storia che sono sonnambulo e che non mi sono affatto reso conto di quanto stavo facendo, se non troppo tardi, quando già ero preda dei dolori ed ho svegliato tutti con le urla.
Sinceramente? Non me ne frega niente di quello che può credere, ho altro a che pensare, io, e devo trovare un modo meno doloroso e rumoroso di svegliarmi la prossima volta, oppure… Oppure non so che altro fare.
Io comincio a sentirmi in prigione qui. Si, per carità, l’unguento che ha realizzato con quelle erbette ha fatto effetto, non sento più dolore, o meglio lo sento ma meno, e quindi è chiaro che mi vogliano in salute, solo che… Solo che quando gli ho chiesto degli anelgesici per aiutarmi a star sereno mi ha guardato come un uomo vede l’inferno negli occhi di un’altro e se ne è andato facendosi migliaia di volte il segno della croce.
Vecchio rimbambito, ho solo chiesto qualcosa per aiutarmi a riposare mica ho chiesto di ammazzare qualcuno.
Questo posto mi da i brividi, sono strambi, sembriamo non parlare la stessa lingua ed in effetti mi sembra di sentirli parlare qualcosa di simile all’italiano quando credono di non essere uditi.
Chi sono davvero queste persone che mi circondano? Perché mi tengono qui con la scusa che fuori non è sicuro?
Cosa c’è fuori da queste mura che non posso sapere?
Devo, voglio, scoprirlo.
<- Capitolo VIII – Capitolo X ->
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