Diario del dott. Flammini 18 ottobre 1957

Diario del dott. Flammini - 5 ottobre 1957iario-dott-flammini-18-ottobre-1957

Diario del dott. Flammini 18 Ottobre 1957

Oggi Raimondo ha finalmente acconsentito a portarmi fuori, o per essere più precisi, è venuto a prendermi nella mia cella e ha detto che dovevamo andare in un posto. Sarò sincero, avevo pensato mi portasse in città per utilizzare un telefono ma cosi non è stato.

Siamo scesi giù in cortile e, dopo aver preso due cavalli, siamo partiti. Ho notato una cosa strana: la sua sella ha attaccata un grande fodero. Non avrà paura a girare armato cosi? E se ci fermassero i carabinieri? Sarebbe un bel problema spiegargli che andiamo in giro con uno spadone da Templare… Ahah da Templare… Chissà perché mi è venuto in mente un Templare… Credo di esser stato suggestionato dalla vista della rocca all’alba, quando siamo usciti, e dalle nostre due figure a cavallo che saranno sembrate a chiunque ci guardava un cavaliere e il suo fido scudiero che si avventurano per il mondo.

Raimondo è sembrato molto più lento e pesante nei movimenti del solito e non riesco a spiegarmi il motivo. E quel costante tintinnio come rumore di ferraglia? Non credo di aver visto ancora delle officine nella rocca, eppure quel fumo nero e denso che vedo dalla mia stanza dovrà pur esser cacciato da un comignolo: che sia il forno? Dopotutto qui sembrano gestirsi in completa autonomia ed ho capito che qui si fanno tutto da soli.

Raimondo mi ha poi portato nel luogo dove dice di avermi trovato. Lungo la strada mi ha continuamente chiesto come fossi finito li e gli ho spiegato che non ne avevo idea, che avevo preso un aereo di linea da Roma per andare a Vienna per lavoro e che d’improvviso l’aereo è precipitato.

Mi guardò stupito e perplesso chiedendomi se per caso fossi un pilota: ovviamente spiegai di no e non volli continuare quella conversazione. Era chiaro, credeva che lo prendessi in giro e non avevo voglia di stare a quel gioco cosi stupido; comunque nel giro di un oretta arrivammo alla cascina dove mi ero risvegliato, o meglio dove Raimondo diceva di avermi trovato. Ricordo ancora poco l’impatto…

Smontammo da cavallo e ci avvicinammo ad un albero. Raimondo tirò fuori dalla sua sacca una vecchia pistola e la mise tra le mie mani intimando di non fare domande. Sconcertato, presi quel vecchio ferro arrugginito e non domandai più. Lo osservai, prese la sua spada, si era una spada quella nel fodero o forse è meglio dire un enorme blocco di metallo, e si avventurò all’interno dell’edificio.

Passarono dei minuti che sembrarono eternità e solo in quel momento mi accorsi della totale assenza di tralicci del telefono do dell’elettricità lungo il tragitto percorso. Nessun cenno di asfalto, nessun rumore, nessun trattore. Niente. Solo la magnifica quiete e il cinguettio di alcuni uccelli. Un suono che venne interrotto uno stridere come di ferro e catene. Raimondo riusci fuori dalla casa, era sporco, credo forse grasso di motore, una roba nerastra e puzzava da fare schifo.

Mi intimò di seguirlo. Lo feci ed entrammo nell’abitazione che da dentro pareva come sventrata da una esplosione. Mi ricordò la guerra, ne vidi molte durante la guerra. Chissà, magari non era stata rimessa riparata perché il padrone era morto o chissà che altro oppure sto semplicemente divagando per ritardare il momento in scriverò di come ho trovato all’interno un corpo fatto a pezzi. Ne avevo visti molti al fronte, sono un uomo temprato dalla guerra, ma quel corpo riverso a terra pareva diverso dalla tonnellata di cadaveri che vidi ammassata nelle fosse in Russia.

Raimondo disse che era stato lui a fare quello scempio. Lo disse con una tale leggerezza che non comprendevo. Mi limitai ad osservarlo. Lui sottolineò come stupito che era già li immobile, che non si muoveva, quale fosse un fenomeno raro che un cadavere stesse fermo. Mi chinai sul corpo e vidi qualcosa, come se mi fosse familiare. Poi capii, era l’uomo accanto a me sull’aereo. Lo ricordo perché gli avevo rovesciato il bicchiere di gin sulla quando ci avevano portato da bere sull’aereo e a prova vi era ancora un alone sulla camicia oltre a… Sangue, ecco cosa era quella robaccia nerastra sul mantello di Raimondo: sangue, ma perché era cosi?

Inutilmente spiegai al mio compagno che quello che avevamo davanti era un passeggero del mio stesso volo. Raimondo sembrò non ascoltarmi nemmeno ed anzi, mi alzò da terra con una forza che non immaginavo possedesse e mi sbatté con violenza contro la parete chiedendomi insistentemente come fossi riuscito a far saltare in aria la Villa delle Rose.

Villa delle Rose? E’ questo il nome di quel posto? Esplodere? Ma quante volte dovrò ripeterlo che io sono precipitato?

E sopratutto dove sono stati portati i resti dell’aereo?

<- Capitolo VICapitolo VIII ->

________________________________________________________________________