Fare metagame, nell’ambiente dei giocatori di ruolo, è considerato tra le peggiori nefandezze di cui ci si potrebbe macchiare – vi aleggia un’aura di disprezzo simile a quella intorno al powerplaying. Eppure ci possono essere circostanze in cui fare metagame può dare un contributo accettabile o addirittura virtuoso alla partita, anziché andare a rovinarla. E, ancor di più, andremo a vedere come i modi di “muovere” i nostri personaggi nei giochi di ruolo sono sostanzialmente quattro (le Stances, o Atteggiamenti) e che implicazioni ha tutto questo.
Prima di scoprirle, iniziamo chiarendo cosa si intende per metagame. Si ha metagame quando si fanno compiere scelte ai personaggi che non sono basate interamente sulle conoscenze e sulla personalità del personaggio – vengono utilizzate conoscenze del giocatore, o fatte forzature sul PG perché il giocatore sa qualcosa che il personaggio, invece, non sa.
Facciamo una manciata di esempi, basati su giochi vari:
Torneremo al termine dell’articolo su questi esempi per fare varie considerazioni, e vedremo che alcuni possono anche essere “riabilitati”. Ma veniamo alla “Stance Theory” di cui si accennava poco sopra. Riguarda il cercare di classificare i modi con cui i giocatori formulano le decisioni che poi i personaggi prenderanno. Questi modi o atteggiamenti, sono quattro:
Un altro esempio è nelle ambientazioni in cui la magia è vista malissimo, e c’è il classico PG che è incantatore in segreto. Tipicamente dopo un paio di combattimenti si troverà nella situazione di usare una magia, ma non è che gli altri del gruppo si comportano di conseguenza: il combattimento continua normalmente come se nulla fosse, e al massimo gli faranno le rimostranze quando si sarà usciti dal susseguirsi di round impostati che spingono verso la Pawn Stance.
Adesso torniamo agli esempi di metagame di prima: nel primo caso, della spada maledetta, il giocatore vuole tenere il suo personaggio al sicuro, e lo fa agire contro la sua personalità e le sue conoscenze per evitarsi la maledizione. Difficilmente questo sta rendendo la storia più interessante, anzi. È un caso di Pawn Stance. È “riabilitabile”? In che casi? Probabilmente nei casi in cui si gioca per “vincere” una missione, sapendo che si faranno più e più schede etc. Il carattere dei personaggi è secondario perché tutto è funzionale al raggiungimento degli obiettivi dei giocatori. Al di fuori di questa modalità di gioco, difficilmente si può salvare questo tipo di metagame.
Il caso della conoscenza usata per sconfiggere il troll è molto simile. È una casistica che giocoforza avverrà spesso, dato che i mostri son quelli e nel tempo i giocatori possono imparare a conoscerli. Può essere riabilitabile nello stesso modo del caso precedente, ma forse ci si può mettere anche due tipi di pezze sopra: uno è, per il GM, di modificare certe debolezze, resistenze e qualità dei mostri in segreto, “rivisitandoli” e annullando così questo tipo di metagame sgradito. Un altro può essere quello di mettere i giocatori di fronte a scelte difficili. E così sanno che gli servirà tenere quell’unica fiaschetta del Fuoco dell’Alchimista per il troll? Sarebbe un peccato se si stesse combattendo in un ambiente altamente infiammabile… e reperire l’acido richiedesse una missione a sé stante. Insomma se sanno già come sconfiggere un mostro, la cosa interessante dovrà essere tutto il contorno.
Il terzo esempio, in cui si lascia morire un compagno senza batter ciglio, è un ennesimo caso di Pawn Stance, che sarebbe giustificabile solo nell’ottica sopra detta di un gioco in cui si vuole vincere e i personaggi sono “avatar” per conseguire questo scopo. Purtroppo, in questo caso sono proprio le meccaniche del gioco a spingere verso questo tipo di atteggiamento, e c’è poco da fare – è un design infelice, residuo del wargame padre di D&D. Incidentalmente, questo può portarci a parlare della francamente abusata Stormwind Fallacy: la fallacia starebbe nel ritenere mutualmente esclusive ottimizzazione e interpretazione. L’ho vista nominata in modo piuttosto libero (in gruppi di D&D e Pathfinder), per sostenere che la grossa quantità di regole e il fare scelte pensando alle regole non vada davvero contro l’interpretare il personaggio. Credo che la questione sia semplicemente mal posta: non conta la quantità di regole, ma il contenuto. Le regole di D&D, quando inizia un combattimento, ti mandano in Pawn Stance, e in un modo tale da fare di tutto per renderti difficile il mantenere la personalità del PG; mentre ti incentiva a ragionare in termini di ottimizzazione delle scelte in combattimento. Per coloro che vogliono vivere combattimenti realistici, ricchi di pathos, in cui c’è uno scontro di volontà e personalità, in cui puoi far emergere se e quanto tieni ai tuoi compagni e se e cosa sei disposto a fare per vincere, un combattimento come quello di D&D, con turni, distanze ed economia delle azioni, semplicemente non è adatto.
Il quarto esempio, in cui viene nominato un oggetto e quindi i giocatori sanno che è importante, è un po’ l’inverso dei precedenti. Se giochi per vincere e l’esplorazione è un elemento del gioco, purtroppo la natura parlata dei giochi di ruolo da tavolo è un ostacolo. Non sei davvero lì a vedere e manipolare l’ambiente, ti basi su parole che sono ciò che il GM ha filtrato della stanza immaginaria, e quindi indirizzano moltissimo le scelte. D’altro canto, se si sta giocando per vivere una storia, non è così importante che i giocatori si spremano le meningi per capire che oggetto importante c’è nella stanza, e il fatto che il GM ammicchi a ciò che è interessante può far focalizzare subito sulle cose su cui davvero vale la pena, evitando di sprecare quello che con questo approccio sarebbe tempo inutile.
Il quinto e il sesto esempio, in cui si va nel locale proprio nel momento giusto, sono dei casi da manuale di Author Stance. In un gioco in cui ci fosse competizione e fosse fatto per avere un vantaggio ingiusto, sarebbe disfunzionale. Se l’obiettivo è imbastire belle scene, ecco che diventano casi virtuosi di metagame. Anzi, si tratta di cose che accadono in continuazione in film, libri e serie TV. Coincidenze improbabili ma non impossibili che fanno escalare la storia. Personaggi che invece di fare la scelta sicura ma noiosa si mettono in gioco.
Come si è visto, quindi, il metagame non è giudicabile negativamente in toto. A seconda delle circostanze, il prendere decisioni in Pawn Stance può essere giusto se si gioca “per vincere”, e il prendere decisioni in Author e Director può essere giusto se si gioca “per dar vita a scene interessanti”. Inoltre il discorso è utile anche analizzando il design dei giochi, chiedendoci nei vari momenti se incentivano determinate Stances piuttosto che altre, e che ricadute hanno sull’esperienza al tavolo.
This post was published on 31 Agosto 2017 15:49
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