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Giochi di ruolo

Metagame: quando può far bene ai giochi di ruolo

Fare metagame, nell’ambiente dei giocatori di ruolo, è considerato tra le peggiori nefandezze di cui ci si potrebbe macchiare – vi aleggia un’aura di disprezzo simile a quella intorno al powerplaying. Eppure ci possono essere circostanze in cui fare metagame può dare un contributo accettabile o addirittura virtuoso alla partita, anziché andare a rovinarla. E, ancor di più, andremo a vedere come i modi di “muovere” i nostri personaggi nei giochi di ruolo sono sostanzialmente quattro (le Stances, o Atteggiamenti) e che implicazioni ha tutto questo.

Prima di scoprirle, iniziamo chiarendo cosa si intende per metagame. Si ha metagame quando si fanno compiere scelte ai personaggi che non sono basate interamente sulle conoscenze e sulla personalità del personaggio – vengono utilizzate conoscenze del giocatore, o fatte forzature sul PG perché il giocatore sa qualcosa che il personaggio, invece, non sa.

Facciamo una manciata di esempi, basati su giochi vari:

  • So che il GM ama, per suo stile, far sì che i tesori più unici siano maledetti. Si inizia una nuova campagna, con nuovi personaggi, ma quando trovo l’Antica Spada Leggendaria, nonostante il mio PG non abbia alcun motivo di sospettare, avvolge la spada in un panno senza toccarla, per portarla da un saggio che possa prima analizzarla.
  • Ho letto il manuale dei mostri e so che i troll non muoiono se non ricevono un colpo finale di acido o fuoco. Il mio personaggio non lo sa, ma “casualmente” sceglierà di tenersi la fiaschetta del Fuoco dell’Alchimista fino alla fine, per poi uccidere il troll.

    A volte viene da chiedersi se non sarebbe il caso di usare fuoco e acido anche sui troll da tastiera…

  • So che quando un personaggio muore, le condizioni che aveva (ad esempio paralizzato, pietrificato, confuso) spariscono – insieme alla sua vita. D’altro canto, ho una capacità che mi permette di resuscitare qualcuno morto da non più di un turno. Decidiamo quindi di far morire uno del gruppo pieno di condizioni negative addosso, per resuscitarlo subito dopo “come nuovo”.
  • Il GM, durante la descrizione dell’ambiente, ha nominato espressamente un oggetto su cui normalmente si sorvolerebbe, quindi lo esaminerò accuratamente immaginando che abbia una certa importanza.
  • Un personaggio del gruppo e un PNG si stanno incontrando in un locale per discutere una questione su cui ho anche io interessi, e sono interessi contrapposti ai loro. Dato che come giocatore sto assistendo alla scena, decido che il mio PG “casualmente” ha proprio voglia di andare in quel locale, nonostante non sappia che siano lì.
  • O magari, è proprio il GM a mandare un PNG “casualmente” nel locale proprio in quel momento, nonostante non sappia che i personaggi stanno confabulando contro di lui lì.

Torneremo al termine dell’articolo su questi esempi per fare varie considerazioni, e vedremo che alcuni possono anche essere “riabilitati”. Ma veniamo alla “Stance Theory” di cui si accennava poco sopra. Riguarda il cercare di classificare i modi con cui i giocatori formulano le decisioni che poi i personaggi prenderanno. Questi modi o atteggiamenti, sono quattro:

  • Actor Stance (Atteggiamento Attore): è quello a cui si tende a pensare immediatamente quando si pensa a un gioco di ruolo. Il giocatore prende decisioni in base alle conoscenze e alla personalità del personaggio, lo muove come se lo stesse interpretando a mo’ di attore. Questo non c’entra nulla con il parlare in prima o in terza persona (e vale per ogni Stance).
  • Pawn Stance (Atteggiamento Pedina): per capirlo basti pensare a quasi ogni gioco da tavolo, in cui muoviamo i pezzi avendo in mente dei nostri obiettivi, e i pezzi sono funzionali semplicemente a questo. In un gioco di ruolo, si è in Pawn Stance quando il personaggio è un avatar dei desideri e obiettivi del giocatore, ed è irrilevante giustificare le sue scelte. Quando si gioca un dungeon mortale partendo già con l’idea che si rifaranno più e più schede perché i personaggi moriranno, e i personaggi successivi “riaffrontano” il dungeon evitando le trappole perché il giocatore ha imparato dove si trovano, si ha un esempio emblematico della Pawn Stance. Anche i combattimenti di molti giochi di ruolo, D&D compreso, incentivano la modalità Pedina: quando inizia il combattimento la personalità sparisce, si entra in un mini-gioco con economia delle azioni in cui se un personaggio va KO morente, o muore, non si giocano scene ricche di pathos, non ci si comporta in modo realistico: si valutano le opzioni tatticamente migliori round per round per tirar su i feriti, o si continua a combattere, etc.
    Il fatto che i combattimenti di D&D incentivino fortemente la modalità Pedina è ancora più evidente dalla presenza di griglia e miniature, ma vale anche quando si gioca senza. Immagine di http://www.between-worlds.com/

    Un altro esempio è nelle ambientazioni in cui la magia è vista malissimo, e c’è il classico PG che è incantatore in segreto. Tipicamente dopo un paio di combattimenti si troverà nella situazione di usare una magia, ma non è che gli altri del gruppo si comportano di conseguenza: il combattimento continua normalmente come se nulla fosse, e al massimo gli faranno le rimostranze quando si sarà usciti dal susseguirsi di round impostati che spingono verso la Pawn Stance.

  • Author Stance (Atteggiamento Autore): quando un giocatore fa prendere una decisione al personaggio che va oltre quello che ci si attende dalle sue conoscenze e dalla sua personalità, ma che 1) è comunque plausibile, non si tratta di cose impossibili e 2) l’obiettivo è quello di mettere in gioco una scena interessante, che si suppone migliorerà la storia complessiva, allora sta decidendo in Author Stance. Rimanere rintanato e terrorizzato perché sembra ci sia un fantasma di sopra forse è più “nel personaggio”, ma scendere per fuggire dal piano è più interessante nell’economia complessiva del gioco. Se due personaggi stanno avendo un incontro segreto e sarebbe proprio interessante se venissero scoperti, il fatto che il PG casualmente vada proprio lì può aggiungere parecchia carne al fuoco. E non dovrebbe essere difficile trovare un motivo per cui il personaggio va proprio in quel locale. Anzi, magari ne nasce un flashback interessante che ci fa scoprire qualcosa di lui…
  • Director Stance (Atteggiamento Regista): in modalità regista, il giocatore oltre a prendere decisioni per il suo personaggio, sta contestualmente anche decidendo dei fatti dell’ambiente circostante. Magari può dire che c’è un cespuglio in cui nascondersi, magari può decidere se e quante guardie ci sono. Magari può dire che l’autobus è in ritardo, e così la conversazione alla fermata dovrà continuare ancora un po’. La portata di questa Stance dipende da gioco a gioco, e nella maggior parte dei casi è riservata soltanto al GM – è anzi la modalità in cui i GM stanno la maggior parte del tempo. I giochi che assegnano questo potere a più di un giocatore, tipicamente hanno come obiettivo quello di dare gli strumenti per dar vita a una bella storia – non quello di avere competizione e sfide bilanciate, dal momento che a meno di formulazioni particolari, le due cose andrebbero in contrasto (sfide bilanciate e la possibilità di inventare dettagli dell’ambiente).

Adesso torniamo agli esempi di metagame di prima: nel primo caso, della spada maledetta, il giocatore vuole tenere il suo personaggio al sicuro, e lo fa agire contro la sua personalità e le sue conoscenze per evitarsi la maledizione. Difficilmente questo sta rendendo la storia più interessante, anzi. È un caso di Pawn Stance. È “riabilitabile”? In che casi? Probabilmente nei casi in cui si gioca per “vincere” una missione, sapendo che si faranno più e più schede etc. Il carattere dei personaggi è secondario perché tutto è funzionale al raggiungimento degli obiettivi dei giocatori. Al di fuori di questa modalità di gioco, difficilmente si può salvare questo tipo di metagame.

Quando Pipino non resiste e tocca lo scheletro nelle Miniere di Moria, facendolo cadere e attirando con il rumore migliaia di orchetti, non è la scelta “safe”, ma è più interessante per l’evolversi delle vicende – è una scelta centrata col suo carattere ma non ottimizzata per la sopravvivenza. In un GDR diremmo che è una decisione presa in Author Stance, se fosse fatta con l’obiettivo di mettere carne al fuoco. Se il giocatore invece pensava semplicemente a giocare il carattere di Pipino senza altre considerazioni, conta come Actor Stance. Se fosse fatto pensando “Mi piacerebbe che ci fosse una scena movimentata di combattimento… be’, visto che Pipino è curioso e ingenuo posso fare che fa cadere lo scheletro e attira tutti gli orchi”, allora è addirittura in Director Stance, in un gioco che dà al giocatore di Pipino questo diritto.

Il caso della conoscenza usata per sconfiggere il troll è molto simile. È una casistica che giocoforza avverrà spesso, dato che i mostri son quelli e nel tempo i giocatori possono imparare a conoscerli. Può essere riabilitabile nello stesso modo del caso precedente, ma forse ci si può mettere anche due tipi di pezze sopra: uno è, per il GM, di modificare certe debolezze, resistenze e qualità dei mostri in segreto, “rivisitandoli” e annullando così questo tipo di metagame sgradito. Un altro può essere quello di mettere i giocatori di fronte a scelte difficili. E così sanno che gli servirà tenere quell’unica fiaschetta del Fuoco dell’Alchimista per il troll? Sarebbe un peccato se si stesse combattendo in un ambiente altamente infiammabile… e reperire l’acido richiedesse una missione a sé stante. Insomma se sanno già come sconfiggere un mostro, la cosa interessante dovrà essere tutto il contorno.

Il terzo esempio, in cui si lascia morire un compagno senza batter ciglio, è un ennesimo caso di Pawn Stance, che sarebbe giustificabile solo nell’ottica sopra detta di un gioco in cui si vuole vincere e i personaggi sono “avatar” per conseguire questo scopo. Purtroppo, in questo caso sono proprio le meccaniche del gioco a spingere verso questo tipo di atteggiamento, e c’è poco da fare – è un design infelice, residuo del wargame padre di D&D. Incidentalmente, questo può portarci a parlare della francamente abusata Stormwind Fallacy: la fallacia starebbe nel ritenere mutualmente esclusive ottimizzazione e interpretazione. L’ho vista nominata in modo piuttosto libero (in gruppi di D&D e Pathfinder), per sostenere che la grossa quantità di regole e il fare scelte pensando alle regole non vada davvero contro l’interpretare il personaggio. Credo che la questione sia semplicemente mal posta: non conta la quantità di regole, ma il contenuto. Le regole di D&D, quando inizia un combattimento, ti mandano in Pawn Stance, e in un modo tale da fare di tutto per renderti difficile il mantenere la personalità del PG; mentre ti incentiva a ragionare in termini di ottimizzazione delle scelte in combattimento. Per coloro che vogliono vivere combattimenti realistici, ricchi di pathos, in cui c’è uno scontro di volontà e personalità, in cui puoi far emergere se e quanto tieni ai tuoi compagni e se e cosa sei disposto a fare per vincere, un combattimento come quello di D&D, con turni, distanze ed economia delle azioni, semplicemente non è adatto.

Il quarto esempio, in cui viene nominato un oggetto e quindi i giocatori sanno che è importante, è un po’ l’inverso dei precedenti. Se giochi per vincere e l’esplorazione è un elemento del gioco, purtroppo la natura parlata dei giochi di ruolo da tavolo è un ostacolo. Non sei davvero lì a vedere e manipolare l’ambiente, ti basi su parole che sono ciò che il GM ha filtrato della stanza immaginaria, e quindi indirizzano moltissimo le scelte. D’altro canto, se si sta giocando per vivere una storia, non è così importante che i giocatori si spremano le meningi per capire che oggetto importante c’è nella stanza, e il fatto che il GM ammicchi a ciò che è interessante può far focalizzare subito sulle cose su cui davvero vale la pena, evitando di sprecare quello che con questo approccio sarebbe tempo inutile.

Il quinto e il sesto esempio, in cui si va nel locale proprio nel momento giusto, sono dei casi da manuale di Author Stance. In un gioco in cui ci fosse competizione e fosse fatto per avere un vantaggio ingiusto, sarebbe disfunzionale. Se l’obiettivo è imbastire belle scene, ecco che diventano casi virtuosi di metagame. Anzi, si tratta di cose che accadono in continuazione in film, libri e serie TV. Coincidenze improbabili ma non impossibili che fanno escalare la storia. Personaggi che invece di fare la scelta sicura ma noiosa si mettono in gioco.

Immaginiamo Life is Strange come un gioco di ruolo, in cui Max, Nathan e Chloe sono dei PG. Il giocatore che interpreta Nathan sa che Max è andata in quel bagno, e così decide di andare proprio lì per il diverbio e l’escalation con Chloe, perché così vedremo anche cosa farà Max e potrà venirne fuori una scena – o, in questo caso, un’intera storia – migliore. Vedendola in questo modo, starebbe facendo metagame – o, più propriamente, sarebbe in Author Stance, e sarebbe un caso virtuoso.

Come si è visto, quindi, il metagame non è giudicabile negativamente in toto. A seconda delle circostanze, il prendere decisioni in Pawn Stance può essere giusto se si gioca “per vincere”, e il prendere decisioni in Author e Director può essere giusto se si gioca “per dar vita a scene interessanti”. Inoltre il discorso è utile anche analizzando il design dei giochi, chiedendoci nei vari momenti se incentivano determinate Stances piuttosto che altre, e che ricadute hanno sull’esperienza al tavolo.

This post was published on 31 Agosto 2017 15:49

Alex Grisafi

Classe '93, siciliano di origini, bresciano di nascita, a Milano per studi e lavoro. Ho iniziato con i giochi di ruolo in seconda media con D&D 3.5, arrivando a giocarne una settantina (a novembre 2019), dai più noti agli indie. Ho approfondito parecchio questioni di game design dei GDR e di come i sistemi permettono di raccontare alcune storie e non altre - e intersecando il tema con un altro che mi sta a cuore, ossia della rappresentazione e inclusività di categorie marginalizzate.

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