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Giochi di ruolo

Come evitare che le campagne di gioco di ruolo finiscano

Moltissime, troppe campagne di giochi di ruolo si arenano miseramente dopo qualche sessione, ben prima di essere portate a termine. Le ragioni possono essere le più disparate: mancanza di tempo, difficoltà del master nella gestione del gioco, screzi tra giocatori… ma c’è un altro motivo, molto diffuso, che può portare a far perdere interesse nel tempo e a far chiudere una campagna di un gdr – oppure a farla proseguire per inerzia, con i giocatori annoiati che passano la sessione al cellulare.

È pieno di testimonianze nei resoconti delle giocate, anche le pagine su FB ne sono piene. Innumerevoli post della nota pagina “Il Giocatore di ruolo di merda” hanno come chiara radice questo problema: si sta parlando della divergenza di aspettative riguardo il gioco.

Ciascuno di questi giochi può piacere o non piacere sulla base del solo regolamento e il modo in cui si applica.

Con i giochi da tavolo raramente è così, la natura più rigida dei regolamenti e delle procedure fanno sì che giocare a Risiko con due gruppi di persone diverse sia un’esperienza più o meno sovrapponibile. Così, il giocatore da tavolo si può fare un’idea precisa e sa cosa vuole: sa che alcuni giochi gli piacciono e altri no, e se si siede al tavolo insieme ad altri con l’idea comune di giocare a Through the Ages, perché piace a tutti, è perché sanno cosa aspettarsi dall’esperienza di gioco.

Può capitare di trovare il giocatore particolarmente lento, o quello che gioca a caso perché quel giorno gli gira così… ed effettivamente sono problemi, ma di natura molto più limitata e non legata al gioco di per sé, su cui il giocatore che lo conosce ha aspettative condivise da tutti gli altri giocatori.

Nel caso dei giocatori di ruolo, anche dopo aver tolto di mezzo il fattore “giocatore lento o scazzato”, rimane l’enorme difformità in ciò che le persone si aspettano di fare al tavolo. A onor del vero esistono alcuni giochi di ruolo focalizzati, con procedure abbastanza fissate da far sì che tutti coloro che conoscono il gioco sappiano cosa aspettarsi da esso.

Ma la maggior parte dei giochi di ruolo diffusi e noti, ha le potenzialità per soddisfare aspettative fortemente diverse le une dalle altre, e non sempre compatibili. Facciamo qualche esempio, e non dovreste faticare a riconoscere voi stessi e alcuni dei vostri amici giocatori in queste frasi:

  • Gioco perché voglio costruirmi un personaggio fortissimo e voglio vedere come “gira”, affrontando sfide.
  • Gioco perché voglio gestire risorse e prendere scelte oculate in gioco per superare delle sfide.
  • Gioco perché voglio affrontare tanti combattimenti.
  • Gioco perché voglio sentirmi proprio come se fossi questo personaggio in questa ambientazione, vivendo le tipiche situazioni che succederebbero se fosse reale.
  • Gioco perché voglio vedere un mondo simulato in modo preciso e realistico e voglio agire in esso come se fosse vero.
  • Gioco perché voglio prendere scelte significative che mettano a nudo il mio personaggio e/o un certo tema e godere della storia che emerge dalle scelte di tutti.
  • Gioco perché voglio partecipare a una bella storia che il GM ha preparato/comprato, ed essere sorpreso dai colpi di scena, le atmosfere, etc.
  • Gioco perché voglio recitare in modo vivido e teatrale il personaggio, vorrei che la sessione appagasse il mio senso estetico.
  • Gioco perché mi piace stare in compagnia dei miei amici.
  • Gioco perché voglio ridere e far ridere facendo frequenti battute “fuori gioco”.
  • Gioco perché voglio distruggere e uccidere qualsiasi cosa mi si pari davanti.

Le ultime tre non sono propriamente aspettative riguardo il gioco, ma sono state inserite comunque in quanto molto diffuse e potenzialmente incompatibili con altri atteggiamenti.

Munchkin è una parodia dello stile di gioco “EUMATE” – Entra, Uccidi il Mostro, Arraffa il Tesoro, Esci. A molti piace giocare di ruolo così. A molti altri no. Quando giocano allo stesso tavolo, il disastro è assicurato.

Si tratta tutto sommato di questioni banali, una volta che vengono esplicitate. Il punto è proprio questo: l’unione di gioco dalle procedure variamente utilizzabili per esperienze molto diverse, e mancanza di comunicazione e chiarezza all’interno del gruppo, genera le situazioni che vediamo spesso – giocatori che si lamentano del “powerplayer del gruppo”, o di quello che uccide tutti, di quello che fa sempre battute e non è serio, di quello che “fa la prima donna e mette a rischio il gruppo facendo cose pericolose”, e via dicendo.

Basterebbe semplicemente parlarne prima, e decidere come e che cosa si vuole giocare, che cosa ci si aspetta. E se le divergenze sono troppo alte, be’, non si è costretti a giocare insieme per forza (tutti coi cellulari in mano): può essere triste, ma è meglio trovare un gruppo compatibile. Vedrete la qualità delle sessioni crescere vertiginosamente, se c’è sintonia creativa ed estetica tra tutti i giocatori.

Approfondimento per gli interessati alla teoria

Queste idee sono parte di una rielaborazione di alcuni modelli che si sono susseguiti nel dibattito sui giochi di ruolo – il Threefold Model del 1997 di John H. Kim; la teoria GNS del 1999 di Ron Edwards; la sua riformulazione nelle Creative Agendas del Big Model nel 2004 (le date sono indicative, essendo difficile ricostruire sia la nascita di un concetto su internet che la sua maturazione).

Il Big Model è un modello teorico descrittivo dell’attività del giocare di ruolo e del design dei giochi, elaborato collettivamente , a partire dal 1992 e principalmente fino al 2005. Alcune delle elaborazioni sono interessanti non solo per i designer ma anche per i giocatori. Ne parleremo in articoli successivi.

Con differenze più o meno marcate, questi modelli sostengono che le aspettative creative delle persone riguardo i giochi di ruolo si dividano, bene o male, in:

  • Gamista: il giocatore si aspetta di superare sfide / un gioco bilanciato.
  • Narrativista: il giocatore si aspetta una storia soddisfacente / l’esplorazione di un tema.
  • Simulazionista: il giocatore si aspetta un ambiente realistico che “è lì” e ci si può interagire / il giocatore vuole vivere i “tropi” di un genere o un setting.

Alcuni punti di questi modelli possono essere considerati discutibili (e secondo il sottoscritto, lo sono): la limitazione a tre sole aspettative creative e la scarsa attenzione a quelle “non creative”, l’idea che si escludano l’un l’altra necessariamente al 100%, alcune formulazioni non abbastanza inclusive (nel modello più recente il narrativismo riguarda storie emergenti; il modello tace su chi desidera vivere storie già preparate).

Ciononostante, l’elaborazione di questi modelli, così come quelli sul contratto sociale al tavolo, è stata molto utile per varie ragioni. Ha stimolato la riflessione sul perché si gioca di ruolo e l’analisi delle sessioni insoddisfacenti, rilevando che spesso sono dovute all’agenda clash (divergenza di intenti creativi e quindi di interventi al tavolo non compatibili), che possono condurre alla fine prematura di una campagna o alla sua prosecuzione per inerzia (zilchplay).

Inoltre, è un utile strumento per i designer dei giochi di ruolo, che possono riflettere sulle meccaniche della propria creatura chiedendosi che aspettative va a soddisfare, e progettare apposta meccaniche che vanno a soddisfare certe aspettative. Con questo si possono progettare giochi maturi, che siano chiari, espliciti e coerenti su cosa si gioca. Non necessariamente per puntare su una singola agenda creativa, a differenza di quanto sostengono questi modelli: prendiamo ad esempio Blades in the Dark, un recentissimo gdr che è un gioiellino di design.

In breve, in BitD si giocano furfanti che organizzano colpi. La gestione dell’inventario prevede che si scelga in anticipo se si possiedono 3, 5 o 6 oggetti. Il carico medio fa sì che le persone ti vedano come un brutto ceffo, il carico pesante è da allarme immediato se qualcuno ti vede. Ma non devi scegliere subito cosa ti porti effettivamente con te: quando durante il colpo vuoi avere un oggetto, lo scali dagli slot ancora disponibili, ed è come se ce l’avessi fin dall’inizio. O ancora, quando subisci conseguenze spiacevoli puoi decidere di negarle e subire stress, una risorsa limitata che oltre un certo punto provocherà traumi. Tutte queste regole (e altre) soddisfano l’appetito per le sfide e la gestione delle risorse, portando a pensare tatticamente e a compiere scelte interessanti da questo punto di vista.

Un po’ Dishonored e un po’ Payday, questo gdr gode di meccaniche molto ben pensate e coese, ma non si possono ricondurre all’incentivare una singola agenda creativa.

Ma poi abbiamo le regole sui flashback (per decretare di aver messo già a punto un piano particolare, ma decidendolo retroattivamente quando si presenta un’occasione d’oro), o quelle sui punti esperienza, che si ottengono giocando i propri tratti di background, i traumi o facendo le “figate” tipiche della propria “classe”. Queste regole soddisfano l’appetito per generare storie più interessanti, e stimolano a farlo.

Insomma non sempre le aspettative creative sono in contrapposizione le une con le altre. D’altro canto, spesso lo sono. Chi si aspetta sfide bilanciate può non apprezzare una simulazione realistica del mondo del Signore degli Anelli in cui Gandalf e un hobbit sono semplicemente incomparabili. Chi vuole una simulazione realistica, d’altro canto, non sopporterà che vengano prese scelte poco plausibili o succedano coincidenze grosse perché aumenta il drama. E se uno vuole esplorare i conflitti psicologici dei personaggi a tutto tondo, probabilmente si annoierà se buona parte del gioco consisterà di incontri casuali contro i coboldi.

Parlatene tutti insieme, apertamente, prima di iniziare a giocare: cos’è che volete davvero? C’è modo di venirsi incontro? Ottimo! C’è troppa divergenza? Amici come prima, ma meglio trovare un altro gruppo, o un altro gioco. La vita è troppo breve, gli amici troppo preziosi e l’offerta di giochi troppo ampia, per giocare a sessioni insipide e deludenti che rischiano di far saltare tutto. Meglio divertirsi, no?

This post was published on 14 Agosto 2017 18:37

Alex Grisafi

Classe '93, siciliano di origini, bresciano di nascita, a Milano per studi e lavoro. Ho iniziato con i giochi di ruolo in seconda media con D&D 3.5, arrivando a giocarne una settantina (a novembre 2019), dai più noti agli indie. Ho approfondito parecchio questioni di game design dei GDR e di come i sistemi permettono di raccontare alcune storie e non altre - e intersecando il tema con un altro che mi sta a cuore, ossia della rappresentazione e inclusività di categorie marginalizzate.

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