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Giochi di ruolo

Vampiri: la Masquerade. L’Umanità Toreador nel cuore nero dell’Africa

Il simbolo del Clan

Nel momento in cui ho finito di leggere il racconto posto in apertura de “Il Libro dei Clan: Toreador” dal titolo “Esodo e Abbraccio“, ho provato difficoltà ad individuare una emozione che ne rappresentasse perfettamente la chiave di lettura.

Inizialmente sono stato colto da un misto di Sorpresa e Meraviglia per come viene impostato il racconto e per quali sono i suoi protagonisti: mai mi sarei aspettato che questi fossero Vampiri Nigeriani, tanto meno Toreador.

Poi, ho voluto analizzarne la composizione principale del testo, i dialoghi, le sfumature, e fu l’idea della Paura ad emergere. Quei continui riferimenti al dover scappare, alla necessità di abbandonare i rifugi per la propria salvezza, al terrore dei giovani appena Abbracciati…

In ultimo, nel momento in cui ho iniziato a scrivere queste righe, la risposta è sorta spontanea nella mia mente: Malinconia.

E’ infatti questo sentimento a caratterizzare il racconto di Anthony, “Il Nigeriano” narratore della storia, che con la sua consapevolezza di aver perso qualcosa a cui teneva, la constatazione dell’inevitabilità di dover abbandonare la sicurezza del suo rifugio sicuro, il suo costante rivangare dei giorni felici passati con la famiglia, la continua volontà di abbandonare tutto e tutti perché nessuno luogo sarà mai come casa, sono l’ottimo vettore di quella sensazione cosi negativa eppur ispiratoria che noi tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita.

Vampiri: la Masquerade è anche questo: emozione. E forse è proprio questo il motivo per cui ho avuto cosi tanta difficoltà a trovarne una, di emozione, che fosse adeguata a simboleggiare “Esodo e Abbraccio“, perché quando ho finito di leggere, il tutto ha lasciato in me un sapore agrodolce con cui forse non volevo immedesimarsi ma che, alla fine, è esploso in tutto il suo fragore e che ora cercherò di farvi provare.

Analizziamo dunque la storia, cosi che possa essere più chiaro il perché del mio ragionamento. Questa si divide in due parti temporalmente distinte, una soluzione già vista in passato nel Clanbook Lasombra ma che qui viene sfruttata con una impostazione a balzo, saltando dall’una all’altra Time Line creando un climax crescente.

La prima parte è ambientata nel presente, durante una mostra dove “Il Nigeriano” discute amabilmente con quello che sembra essere un Fratello del suo Clan.
Sta presentando le caratteristiche del lavoro esposto, riassumibile in una mappa che riproduce sommariamente il luogo dove per molti anni ha vissuto con altri Toreador: una comune dove viveva a contatto con l’umana comunità locale. Una simbiosi perfetta, spezzata dal progredire delle ere e dal conseguente rimpicciolirsi del mondo all’aumentare della “globalizzazione“.

La seconda parte è una narrazione nel passato che racconta gli attimi prima la decisione della comunità vampirica locale di abbandonare il luogo che fino a pochi attimi prima era “il più sicuro del mondo“.

Le considerazioni de “L’Estraneo“, Fratello olandese appena giunto, mettono in allarme la comune Nigeriana Toreador. Alcune foto satellitari ritraggono il grande tempio immerso nella foresta dove vivono e, presto o tardi, archeologi, ricercatori e quant’altro verranno ad esplorare la zona.

Il pericolo è imminente ed è importante che la comunità prenda coscienza delle conseguenze del loro volersi ostinare a rimanere.

Comprendete ora perché la Malinconia?
Un nemico come lo scorrere del tempo non può essere sconfitto. Prima o poi il momento in cui si sarebbe stati costretti ad abbandonare quell’angolo di pace sarebbe arrivato. Tutti lo sapevano. “Il Nigeriano” lo sapeva e questi infatti è il primo ad andarsene, ad abbandonare la sua famiglia, nella speranza che ognuno di loro faccia la stessa cosa e si metta in salvo prima di…

Ma in salvo da chi? Ma dallo straniero che domande. Da colui che non comprendendo, semplicemente distruggerebbe.

Come sempre è stato e sempre sarà, lo straniero in Africa simboleggia il male che vien da lontano. Ma questo, forse, sono io a sostenerlo e non il racconto e semplicemente sto lasciando che la Malinconia mi trascini e mi riporti alla mente il testo di Ennio Flaiano “Tempo di Uccidere” che, se non lo avete già fatto, consiglio di procurarvi e di leggere.

Io, sinceramente, ho trovato molto toccante questo racconto, perché per la prima volta si analizza l’aspetto più umano ed intimo del vampirismo.

Ciò è palpabile nell’affetto che in qualche modo ognuno dei membri della comune prova per gli altri. Ne è un esempio il rapporto Sire/Infante mostrato, che va ben oltre quello tipico della società dei Fratelli e del Legame di Sangue e risulta essere molto più simile a quello Madre/Figlio. Lo si percepisce benissimo quando Kasuki stringe a se Kiboko con fare protettivo, come a volerlo proteggere dal pericolo che a grandi falcate sta per abbattersi su loro tutti.

E poi… Poi c’è la componente umana.
Molti credono che i Toreador siano solo delle Checche aggraziate, buone solo a dipingere, suonare, ballare e a fare tutte quelle cose frocieNo! Chi la pensa cosi non ha capito nulla di quello che a buon titolo può essere considerato il Clan più umano del Mondo di Tenebra.

Non mi credete?
Ve lo faccio raccontare dalle parole di Duma che, interrogato da “L’Estraneo” esterrefatto sul perché abbia fatto nutrire il nuovo Abbracciato da qualcuno emozionalmente vicino a lui, risponde:

Nutrirsi per la prima volta di qualcuno che si ama serve a imparare il rispetto per i mortali di cui ci si nutre. Proibire di nutrirsi da coloro che si amano serve solo a insegnare che i mortali che fungono da cibo non servono a nulla“.

Non vi ho convinto? Proviamo con un secondo insegnamento.
Sempre “l’Estraneo“, ora furibondo, chiede perché far assistere un mortale a un Abbraccio. Duma di nuovo dispensa saggezza sostenendo che:

Non gli è concesso ottenere l’Abbraccio senza un amico del cuore. Qualcuno che non sia in grado di legarsi ad un mortale in modo talmente forte non ha possibilità di conservare i propri legami coi mortali troppo a lungo.

Credo davvero di non dover aggiungere nulla sotto questo punto di vista. Con due semplici battute una comune di Toreador ai confini della civiltà, posti nel bel mezzo del nulla, all’ombra di un antico tempio Nigeriano, ci insegna il valore della vita, dell’amore, della comunione e del rispetto… Pisciando bellamente sulla società “civilizzata” della Camarilla, buona solo a creare una Masquerade per proteggersi.

Cos’altro dovrei aggiungere a questo?
Credo che sia impossibile farlo.

Mai parole cosi piene di significato mi hanno colpito in un gioco ed ora, mentre continuo a scrivere e voi a leggere, non si può che convenire tutti insieme che sia la Malinconia la chiave di lettura di tutto.

Il Nigeriano“, no che dico Anthony, perché questo protagonista rispetto a tutti gli altri che abbiamo analizzato sino ad oggi è migliore di loro in tutto e per tutto e quindi merita di essere chiamato per nome e non con un soprannome, ci ha appena mostrato cosa voglia dire combattere ogni giorno contro la bestia e vincere.

Ci ha detto chiaro e tondo che un personaggio con “Umanità alta” non è uno che prega sempre, pio e ligio. No, è uno che la sua umanità se la tiene ben stretta, perché sa che è l’unica cosa che lo distingue dalle bestie.

Lui è l’esempio della possibilità di redenzione, della possibilità di anima all’interno di un corpo morto: il simbolo di una società dei fratelli migliore. Che forse, dopotutto, esperimenti come Enoch, Cartagine, Costantinopoli, non erano solo utopie.
Che forse potrebbe benissimo esistere una società in cui umani e vampiri vivono insieme, in armonia, in modo civile. E non che le uniche alternative siano nascondersi, come fa la Camarilla, o sparare, come fa il Sabbat.

Il Sabbat e la Camarilla alla luce di tutto questo risultano quindi solo delle facili scorciatoie, perché non affrontano davvero il problema della razza cainita: la Bestia. Si limitano ad eluderlo, abbindolarlo, sostenendo l’una che il bestiame umano non valga un cazzo e l’altra che il bestiame umano vada temuto, non proponendo però alcuna soluzione al loro essere vampiri.

E se la soluzione fosse nel mezzo come Duma, Anthony e tutti gli altri hanno sempre pensato?
Se la soluzione fosse vivere con loro, con i mortali. Per loro, condividendo amori, gioie, pensieri, paure e quant’altro?
Che sia questo il grande segreto del Clan Toreador?
Oppure che sia questa la loro vera debolezza?
Che in realtà questi individui siano solo dei poveri illusi e null’altro?

Chissà, però loro almeno ci provano a essere qualcosa di più di bestie sbavanti assetate di sangue che sanno solo sparare e succhiare.

Sinceramente io, dopo aver letto questo spaccato di gioco, non sono più sicuro di vederli SOLO come dei Poser o degli Artisti, ma credo che siano qualcosa di più: degli esseri immortali incompresi, condannati per l’eternità a provare picchi di sentimenti che mai altra creatura sperimenterà, con l’odio immotivato di giocatori che non si sono nemmeno degnati di comprenderli.

Che creature misere!

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This post was published on 6 Agosto 2017 17:00

Andrea De Bellis

Appassionato da sempre di gioco di ruolo, intervallo per anni la mia vita tra questi, lo studio e il lavoro. Dopo un periodo da giornalista professionista decido di laurearmi in storia, mia altra grande passione. Da qui il passo alla scrittura è breve. Comprendendo come l'intrattenimento non possa essere in alcun modo scisso dal provare emozioni, mi propongo quale recensore emozionale per Player.it, ideando e curando nel frattempo le rubriche "Italy&Videogames", "Interviste Impossibili", "LARP: A Night With...", "Autori di Ruolo: D12 domande a..." e "Spade di Gomma", scrivendo il romanzo "Il diario del dott. Flammini" e ideando e lanciando le rubriche "Venerdì Oldies" e "Recensioni Emozionali", sostenendo sempre quanto sia più interessante parlare di "cosa suscita un titolo quando lo si gioca" piuttosto che l'evergreen "cosa è e come come funziona questo gioco". Il gioco è intrattenimento, l'intrattenimento è emozione, l'emozione è vita.

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