Continua il mio peregrinare in mezzo alle avventure investigative, siano esse digitali, letterarie o fisiche. Dopo essermi nel complesso divertita con In Giallo, al netto di qualche imperfezione, sono passata a un altro investigatore per eccellenza: Sherlock Holmes.
Da Agatha Christie a Conan Doyle, insomma, pur apprezzando di più la prima, non perdo l’occasione per far lavorare i neuroni che, fosse per loro, passerebbero il tempo a girare a vuoto su una ruota come tanti piccoli criceti.
Dalla collana Decktective edita da DV Games, il cui solo nome ispira simpatia, è stata pubblicato da poco il sesto titolo: Arrestate Sherlock Holmes! Un’impresa che viene messa sulle spalle dei giocatori nelle vesti di reclute di Scotland Yard, come andremo a vedere tra poco.
Della durata di un’ora circa, che come al solito è soggetta alle elucubrazioni del caso, è perfetta se si vuole trascorrere una serata un po’ diversa dal solito senza tuttavia il timore di dilungarsi troppo o, peggio, doversi interrompere. Proprio come In Giallo, la collana Decktective posa su premesse e una struttura generale intriganti ma, almeno per quanto riguarda questo nuovo capitolo, c’è qualche imperfezione che ne mina la qualità soprattutto a livello di fluidità narrativa, che a sua volta va a intaccare altri piccoli aspetti.
Ciò non vuol dire che il gioco sia sconsigliato, anzi, solo che pochi accorgimenti in più non avrebbero guastato.
Prima di addentrarci nella recensione vera e propria, mi prendo dello spazio per una veloce panoramica della serie Decktective: come suggerisce il nome, si tratta di un gioco investigativo con le carte. Il nostro obiettivo è risolvere il crimine che fa da sfondo agli eventi narrati usando solo queste e del buon vecchio dialogo tra giocatori, essendo un’esperienza cooperativa. Come moltissimi giochi simili, alla fine dell’indagine saremo chiamati a rispondere ad alcune domande per guadagnare punti, sommati i quali sarà possibile determinare se e in quale misura avremo risolto il caso.
Questa, a carattere generale, è la presentazione della collana Decktective per sé. Ora andiamo più nel dettaglio sfruttando Arrestate Sherlock Holmes! per spiegare meglio le varie meccaniche, nonché dove il gioco riesce bene e dove invece c’è stato qualche piccolo intoppo narrativo e/o di gameplay.
Le premesse per il caso da risolvere sono molto semplici e, apparentemente, chiare: dal Palazzo Reale è stato trafugato un diario contenente informazioni vitali per la nazione e il colpevole, dichiarato, è nientemeno che Sherlock Holmes.
Il noto investigatore si è persino firmato, rendendo inequivocabile il suo coinvolgimento. L’ispettore di Scotland Yard manda dunque delle reclute, ovvero i giocatori, al 221B di Baker Street per arrestare il detective… che tuttavia non si trova da nessuna parte. Non solo, il suo studio è stato messo a soqquadro, quasi ci sia stata una colluttazione. Quello che sembra “soltanto” un furto rischia di trasformarsi in un’indagine ancor più complessa: che fine ha fatto Sherlock Holmes? Soprattutto, se è davvero lui il colpevole, quale motivo aveva per rubare informazioni così importanti?
Partendo da qui, comincia l’indagine.
Tutto si svolge attraverso l’uso delle carte: le regole stesse del gioco sono scritte sulle carte, così come le istruzioni per montare lo scenario 3D nel quale i giocatori indagheranno (in questo caso, lo studio di Holmes). Dal punto di vista del contenuto, Arrestate Sherlock Holmes! è incredibilmente essenziale: solo un mazzo da cinquantasei carte e delle clip con cui affermare le nostre risposte nelle fasi finali del gioco. La scatola stessa è parte del gioco, poiché sarà la base su cui costruire il suddetto scenario. Le regole sono poche e semplici, anche se a mio avviso non avrebbe guastato essere più specifici su alcuni punti, che adesso andremo ad analizzare.
Anzitutto, il numero di carte iniziali che i giocatori pescano dipende dai partecipanti: nel mio caso abbiamo giocato in tre, dunque tre carte (la proporzione non è così diretta, se ne pescano molte di più se si gioca da soli e sempre meno se il gruppo diventa numeroso). A ogni turno, in senso orario, ogni giocatore può compiere un’azione soltanto tra giocare una carta oppure archiviarla: è assolutamente vietato discutere delle carte in proprio possesso, né si possono prendere appunti in merito, finché non vengono eventualmente giocate. L’unica concessione è quella di leggere i titoli delle carte così che gli altri giocatori possano quantomeno avere una vaga idea e decidere una potenziale strategia.
Questo è uno dei primi punti un po’ stridenti del regolamento, perché non è chiaro fino a che punto non si possa discutere del contenuto: che non si possa dire cosa c’è scritto, o raffigurato, è chiaro ma quanto invece possiamo girare attorno alla questione e, ad esempio, condividere con i nostri compagni la nostra opinione sull’utilità di una carta? O ancora, in virtù del fatto che una carta può essere giocata solo se il suo valore è pari o inferiore alle carte nell’Archivio, è possibile comunicarlo agli altri facendo così capire che serve del gioco di squadra per giocare quella che potrebbe essere una carta essenziale? Durante la partita nessuno ha mai violato direttamente la regola, tuttavia abbiamo sempre cercato modi alternativi per comunicare l’importanza o meno di una determinata carta, senza la certezza di poterlo fare davvero: una maggiore chiarezza in tal senso, forse, non avrebbe guastato e avrebbe valorizzato un po’ di più il rischio/ricompensa. Non si tratta in ogni caso di un aspetto invalidante.
Come accennato poco sopra, ciascuna carta ha un valore da uno a dieci che determina la possibilità di giocarla in relazione con le carte presenti nell’Archivio (una sorta di pila degli scarti). Tenendo a mente che il valore di una carta non corrisponde alla sua effettiva utilità, occorre in ogni caso bilanciare le scelte in modo da non ritrovarsi impossibilitati a giocare, poiché il valore delle carte tende a crescere con il progredire della partita. Dopo aver finito il turno, si pesca una carta per tornare allo status quo. Nel mazzo possono trovarsi delle carte chiamate Colpo di Scena, che devono essere lette e giocate nel momento stesso in cui vengono esposte (sono le sole girate a faccia in su per questo motivo): si tratta di eventi che portano la trama un passo avanti e possono o influenzare l’ambiente 3D oppure presentare in scena un nuovo personaggio. Sono un tocco molto apprezzabile per movimentare il tutto e dare ai giocatori nuove informazioni su cui riflettere, nonché portarli a compiere scelte che possono avere ripercussioni sulla risoluzione del caso. Anche qui, però, ho trovato un piccolo intoppo.
Più o meno a metà del gioco siamo messi di fronte a una decisione che potrebbe portarci o meno a trovare Sherlock Holmes: se sbagliamo, il gioco prosegue come se nulla fosse successo e, alla fine, ci troveremo in difficoltà nel rispondere a una delle cinque domande finali – che chiede, appunto, dove si trovi l’investigatore. Se invece riusciamo, corromperemo in modo irreversibile la scena del crimine e… basta. Scovare Holmes non ha alcuna ripercussione in gioco e cozza persino un po’ con la narrazione poiché la sua posizione rimane, visivamente parlando, esposta: non c’è alcuna ricompensa per averlo individuato, al di fuori del poter rispondere correttamente alla domanda finale, né qualcosa in termini di meccaniche che lo renda parte integrante del gioco.
Poiché lo stiamo cercando proprio in quanto colpevole del furto, come peraltro dichiarato da lui stesso, lascia perplessi che una volta trovato non ci siano sensibili cambiamenti in gioco; non riceviamo neppure un minimo aiuto da parte sua, che si limita a dire di avere tutte le risposte del caso senza per questo volerle condividere. Il gioco quindi, pur avendo questa diramazione in termini narrativi, non la considera e tratta i giocatori come se nulla fosse successo: da questo punto di vista l’ho trovato abbastanza deludente e, anzi, avrebbe avuto più senso che Holmes fosse il punto di arrivo dell’indagine, quello in cui non possiamo più indagare e siamo costretti a dare le risposte del caso. Oppure, come ho già scritto, la sua presenza avrebbe potuto aprire a meccaniche che in caso contrario non sarebbero state disponibili. Invece ci si limita a una metaforica pacca sulla spalla e via, di nuovo a cercare di mettere insieme gli indizi.
Un peccato, se si pensa che l’investigazione viene portata avanti sia attraverso testimonianze da analizzare con estrema attenzione, sia tramite piccoli ma piacevoli rompicapi che vivacizzano il gioco. Le stesse immagini possono rivelare più di quanto si creda e sebbene avrei preferito che anche questa fosse un’indicazione più chiara nel regolamento, è un po’ un aspetto dato per scontato in esperienze di questo tipo.
Tra un colpo di scena e l’altro si arriva infine alla conclusione dell’indagine, che contrariamente a quanto ci si può aspettare non avviene alla fine del mazzo ma poco prima. Anche questo l’ho trovato un punto a favore dell’esperienza perché la rende imprevedibile, dando ai giocatori la sensazione di avere più tempo salvo invece obbligarli a riflettere su ciò che hanno: raggiunta la carta che decreta la fine delle indagini, si devono esaurire tutte quelle in mano prima di proseguire e svelare, una per una, le domande cui rispondere. In qualsiasi momento siamo liberi di ridiscutere le nostre risposte e cambiarle ma una volta stabilito che, per noi, sono corrette non si può più tornare indietro. Come nel caso di In Giallo, anche qui si poteva essere un po’ più precisi non tanto nella richiesta in sé quanto nelle risposte possibili tra cui scegliere: alcune sono difficili da interpretare, proprio perché questi giochi tendono ad avere un livello di accuratezza certosino e non si è sicuri che, invece, una risposta più generica possa essere corretta – salvo poi rivelarsi tale.
Deludenti invece gli esiti: da 0 a 10 abbiamo cinque possibili conclusioni in base al punteggio raggiunto, due negativi, uno neutro e due positivi. Mi sarei aspettata del contesto per ciascuno di questi, cosa che In Giallo ha trattato bene mostrando in poche righe le conseguenze delle indagini, ma in questo caso ci si limita a dire che il caso è stato risolto con grande abilità, risolto, chiuso, archiviato o addirittura insabbiato, senza espandere oltre la questione al di là di eventuali complimenti o, nell’esito più negativo possibile, una citazione dello stesso Conan Doyle.
Decktective: Arrestate Sherlock Holmes è un’esperienza che, al netto delle imperfezioni riportate, mi sento di consigliare: dura il giusto e sfida i giocatori a mettere alla prova le proprie capacità deduttive, nonché di osservazione quando si tratta di cogliere dettagli nascosti con una certa perizia all’interno delle carte stesse. Ci si immerge abbastanza facilmente nell’atmosfera tipica delle indagini di uno dei più famosi investigatori letterari al mondo, grazie a un’efficace combinazione di testi e immagini, ai quali poi si unisce il diorama 3D che può essere modificato con il prosieguo dell’indagine. L’unico vero peccato resta l’ininfluenza del personaggio di Holmes qualora dovesse essere trovato: l’introduzione di nuove, eventuali meccaniche legate alla sua presenza tangibile in gioco avrebbe potuto renderlo ancora più avvincente. Così resta l’amaro in bocca di un successo senza alcuna lode o ricompensa.
This post was published on 21 Novembre 2023 17:30
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