Ohi Andre, stasera possiamo fare un salto da te? Dovremmo essere in sette, si è aggiunta un po’ di gente! Tanto tu hai giochi da otto persone, vero?
Panico.
Grazie al cielo la casa è in ordine, le birre sono in frigo e la Yankee Candle (che fa atmosfera oltre a un ottimo profumo) è ancora ben lontana dal consumarsi completamente. Ma… Giochi da otto persone?
Sì, ne ho, ma sono quasi tutti party game. Questo gruppo invece è atipico: non gioca spessissimo, ma quando lo fa predilige titoli con una spiccato senso tattico. Non è facilissimo accontentarli, soprattutto quando si rischia di arrivare a un numero di partecipanti a doppia cifra.
Non sia mai che mi tiri indietro o mostri anche solo una stizza di debolezza, però! Questa volta, inoltre, la fortuna è dalla mia parte: questo gruppo ha divorato 7 Wonders, posso quindi andare sul sicuro proponendo un gioco che ne ricorda molti aspetti mentre ne innova altrettanti.
Per chi mi hai preso, per uno impreparato? Certo che ne ho! Anzi, vi faccio giocare al protagonista della mia prossima recensione.
E fu così che intavolai (con molto piacere, per l’ennesima volta) Amul, gioco da tavolo di Remo Conzadori e Stefano Negro da tre a otto giocatori, pubblicato in Italia da Playagame Edizioni.
Amul, città distrutta dai Mongoli nel 1220, era uno dei più importanti centri di commercio internazionale, nonché uno dei punti focali della Via della Seta. In questo gioco interpretiamo degli abili mercanti intenti a concludere ottimi affari nel bazar della città.
Dopo aver consegnato cinque carte in mano ad ogni giocatore e posizionato a faccia in su tutte le carte relative al Palazzo e al Bazar, il gioco si svolge in nove round identici nella loro semplice struttura:
Il flusso di gioco può subito risultare un minimo criptico da capire (soprattutto per chi è abituato a draft più “tipici”, come quello del già citato 7 Wonders), ma dopo il primo turno sarà indubbiamente chiaro a tutti.
Le carte del Mercato di Amul sono molto chiare (e splendidamente illustrate), ma richiedono un minimo di studio della simbologia del gioco.
Prima di tutto, in ognuna di esse è rappresentato dove può essere giocata. Solo quelle con il simbolo del tavolo possono essere giocate davanti a se, mentre a fine partita tutte le carte rimaste in mano con il simbolo – appunto – della mano potranno essere aggiunte a quelle davanti a noi.
Il resto della simbologia invece riguarda i punteggi che ogni carta Mercato fornisce. Alcune danno punti “secchi” (come l’oro, che ne dà quattro), altre riguardano invece dei gruppi di carte (ad esempio le spezie, che da sole valgono due punti, mentre una coppia ne vale sei), altre ancora richiedono la presenza di carte diverse per far più punti (come l’olio, che vale tre punti a meno che non si possegga anche una lampada, che ne aumenta il valore fino a cinque punti).
Si passa poi a carte che basano il loro punteggio anche sulle carte dei propri vicini di posto (ad esempio il cammelliere, che vale due punti per ogni cammello proprio o di un vicino) o sulla presenza di esse su tutto il tavolo (come la giada, che vale sempre meno quanto più è presente in gioco).
Alcune carte invece richiedono di contare il numero di determinati simboli (ad esempio Arabi o Mongoli, ma anche Militari, Oggetto o Risorsa) stampati su di esse.
Infine, ci sono carte che permettono di ottenerne altre (da posizionare direttamente di fronte a se) a fine round, sia dal Mercato che da una delle due altre zone: il Palazzo (dove ci sono perlopiù carte presenti anche nel mazzo di gioco) e il Bazar (dove risiedono i Mercanti, carte che valgono punti a patto di possedere un determinato set di merci).
Il benefit di poter scegliere per primi la carta dal Mercato passa in senso orario di giocatore in giocatore, finché non torna al primo che l’ha avuto. Da quel momento, il giocatore con la “prima scelta” sarà sempre quello con più simboli militari. Il pareggio è rotto dalle lettere sulle stesse carte militari: chi ha la più “bassa” (vicino alla A, insomma) ha la precedenza.
Questa meccanica introduce dinamiche interessanti all’interno della partita: ha senso tentare di vincere il confronto militare se il giocatore alla mia sinistra sta facendo altrettanto, altrimenti si rischia di dover scegliere sempre tra i rimasugli del mercato. Inoltre, è più importante farlo con un basso numero di giocatori al tavolo: i round sono sempre nove, quindi se stiamo giocando in otto ce ne sarà solo uno dove il potere militare farà la differenza.
A fine partita, ovvero dopo nove round e con il mazzo esaurito, oltre al punteggio delle carte, si guadagnano punti per la maggioranza al tavolo di simboli Arabi o Mongoli. Chi ha più punti è il vincitore.
Mi tocca scomodare per la terza volta 7 Wonders in quanto offre tantissimi spunti di riflessione su questo titolo.
Una delle caratteristiche salienti di Amul è la costante incertezza della vittoria. A fine partita (grazie alle carte che rimangono in mano, alcune magari mai uscite da quella iniziale di un giocatore) possono verificarsi dei veri e propri ribaltoni di classifica, momenti di disperazione o gioia, braccia alzate al cielo o piazzate con vigore sulla fronte.
Questa peculiarità può piacere o meno. In 7 Wonders tutto ciò non avviene: la situazione di un giocatore è sempre ben visibile, e le carte in mano girano tra tutti i partecipanti al tavolo. Si può riconoscere benissimo in ogni momento chi è in testa e probabilmente vincerà la partita.
Per chi ama veramente tanto l’incertezza, ecco che si aggiunge anche una variante di gioco: il tè. Essa aggiunge le carte tè al mazzo di gioco, che quindi non verrà completamente esaurito al termine della partita, ma lascerà al suo interno delle carte, mai giocabili.
Personalmente adoro le informazioni nascoste, e quindi la variante del tè è imprescindibile per me. Si sposa molto bene con le carte che perdono valore più ce ne sono in campo: le rendono notevolmente più appetibili del solito.
Ho giocato ad Amul con diversi amici, e la critica più frequente mossa nei suoi confronti è stata quella sul tema. Ma non perché non si senta, o perché risulti troppo “appiccicato” alle meccaniche e dinamiche del gioco, anzi! Posso assicurare che il movimento di carte in tavola, l’offrire al mercato per poi ottenere altre merci, il sentimento che aleggia sui giocatori, e ogni altro angolino di questo titolo ci fa veramente sentire come dei commercianti alla ricerca di merci di valore e solidi alleati.
Piuttosto, il tema di Amul difficilmente fa gola a una persona, mentre spesso lascia indifferenti o, addirittura, tende ad allontanare dall’acquisto. Quindi ve lo dico subito: se siete indecisi sull’acquisto perché le ambientazioni da Mille e Una Notte non fanno per voi, cercate di andare oltre all’apparenza.
Sgancio subito la bomba: per me Amul ha sostituito 7 Wonders. Cinque citazioni allo stesso gioco nella recensione di un altro, nuovo record! Ma ciò non vuol dire che lo reputo un gioco strettamente migliore.
Prima di tutto, se la meccanica di draft non vi piace o vi annoia, Amul non sarà in grado di farvi cambiare idea, nemmeno con le sue peculiarità. Ma, per quanto riguarda il sottoscritto, questo titolo tocca diversi miei punti deboli.
Adoro non sapere fino alla fine chi sarà il vincitore.
Mi piace un gioco dalla bassa interazione con gli altri partecipanti ma che avviene con ognuno di essi, non solo con i miei vicini di posto.
Trovo ottimo un titolo che si gioca in un range di giocatori molto ampio, ma che resta sempre sotto la durata di un’ora.
Infine, apprezzo che Amul mostri facce diverse in base al numero di partecipanti (in quanto alcuni tipi di carte fanno la loro comparsa solo con un certo numero di giocatori), rimanendo sempre piacevole ed equilibrato.
Insomma, se Amul fosse una sua carta, varrebbe almeno sette punti. Che non son pochi.
Grazie a Playagame per la copia di review.
This post was published on 3 Ottobre 2019 18:28
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