È ormai un mese che non torno nella mia città natale. Non che sia stato per cause terribili (prima Modena Play, poi il Torino Comics), ma mi manca l’aria dei luoghi che mi hanno cresciuto: non sono mai stato tanto a lungo lontano da quella che prima era “casa“. Inoltre, quando torno nel Monferrato, è sempre bello riuscire a fare una visita ai miei nonni – ormai con qualche primavera sulle spalle, ma sempre arzilli e col sorriso sulle labbra – nel bel mezzo della campagna, in un paese che conta meno di seicento anime.
Ogni tanto mi chiedo: perché mi piace così tanto giocare da tavolo? Semplicemente perché nonostante adori la tecnologia (ci lavoro, ci passo il tempo, me ne informo e ne godo delle comodità) sento il bisogno di un momento puramente analogico, più spesso di quanto potessi pensare fino a pochi anni fa. E se il gioco scelto ti fa sentire steso su un prato verde, sotto l’ombra di un albero, durante i primi tepori della primavera, abbracciato da un connubio di canti di uccellini così diversi – alcuni addirittura cacofonici se presi singolarmente – ma che nell’impeto corale forniscono un’esperienza appagante e rinvigorente, beh… Penso di aver trovato il nirvana.
Wingspan, gioco di Elizabeth Hargrave da 1-5 giocatori, edito dalla Stonemaier Games e pubblicato in Italia da Ghenos Games, ci mette nei panni di ornitologi intenti a studiare varie specie di volatili autoctoni dell’America del nord. La copertina del libro però non deve dare sensazioni errate: nella sua anima, Wingspan è un gioco di “engine building” e ottimizzazione delle proprie risorse – non impegnativo come il suo simile Terraforming Mars, ma sicuramente di profondità non trascurabile – camuffato in un gioco dai toni spensierati.
Una volta intavolato, Wingspan mostra un impatto estetico affascinante: ci si sente di fronte a un almanacco ornitologico, di chissà quale epoca, con chissà quante informazioni.
Per una persona che vive nella frenesia della città, il tavolo imbastito con Wingspan non può che donare un momento di profondo respiro e scioglimento delle membra. Per una abituata alla campagna, invece, la sensazione è esattamente quella di essere a casa. Per una persona che si è mossa dalla campagna alla città (come me) la lieve danza di queste due emozioni – non contrapposte, ma assimilabili – crea lunghi istanti di pura e genuina felicità.
La qualità materica dei componenti è, come sempre ci ha abituati la Stonemaier Games, semplicemente eccellente. Nessuno può rimanere indifferente alla bellezza degli ovetti, ai colori delle plance, all’azzeccatissima presenza della mangiatoia tiradadi. Anche le scelte di design di carattere puramente ergonomico – come ad esempio il contenitore delle carte – hanno motivo di esistere nell’insieme dell’opera, rendendosi armoniose nell’interezza di quest’ultima.
Lo scopo è quello di generare un motore performante di volatili – ognuno diverso dagli altri – ciascuno con le proprie singolari capacità. In Wingspan esistono tre componenti imprescindibili per potere giocare le carte: il cibo, le uova e le carte stesse. Ad esclusione dei volatili il cui unico scopo è quello di generare punti vittoria, tutti gli altri ci aiutano nell’accumulare una di queste tipologie di risorse. Ciò comporta che un motore di gioco strettamente legato a solo una di queste sfaccettature non potrà mai essere performante come un motore perfettamente equilibrato.
Quello di Wingspan è quindi un valzer ben cadenzato, dove il ruolo di chi guida il ballo continua a scambiarsi tra le componenti in gioco, e il rischio di pestarsi i piedi con il proprio partner di danza è sempre dietro l’angolo.
A turno, ogni giocatore è tenuto a svolgere un’azione tra le quattro disponibili:
Il primo round è composto da otto azioni per giocatore, rappresentate da dei cubetti. Al termine del round, uno dei cubetti di ogni giocatore va posizionato sulla carta che decreta i punti bonus per una determinata condizione (ad esempio chi ha più uova in nidi di un determinato tipo, o chi ha più volatili in una determinata zona). Il secondo round quindi sarà composto da sette azioni per giocatore, e così via fino al quarto e ultimo round, dove saranno effettuate solo cinque azioni a testa (a scapito, tuttavia, di un proprio motore di gioco nettamente più performante rispetto a inizio partita).
L’attenzione al tavolo non sempre è mantenuta alta, ma lo diventa sicuramente nel momento in cui un giocatore posiziona sulla propria plancia un volatile con un effetto a sfondo rosa. Tali effetti, infatti, si attivano al massimo una volta per ogni periodo che intercorre tra il suo turno attuale e quello successivo, solo se gli avversari eseguono determinate azioni (ad esempio la raccolta di cibo dalla mangiatoia).
Un altro effetto classico è quello dei rapaci: essi “cacciano” il volatile in cima al mazzo e lo catturano se l’apertura alare di quest’ultimo è inferiore a un determinato valore. Ogni volatile cacciato (così come ogni uovo e ogni cibo rimasto sulle carte volatile a fine partita) vale un punto vittoria. Per non farsi mancare nulla, ogni giocatore inizia la partita con un obiettivo segreto, che può fornire non pochi punti vittoria al termine.
Inutile a dirlo, a fine partita vince chi ha più punti.
Wingspan è un gioco che sa stupire, in più sensi.
Sembra spensierato, ma in realtà è una dura lotta all’ottimizzazione. Un singolo turno poco performante significa una grossa perdita di punti a fine partita.
Sembra gentile, ma in realtà nasconde insidie non banali. Nonostante l’interazione sia indiretta, infatti, può essere parecchio cattiva.
Sembra serio, ma in realtà si apre alla possibilità di momenti esilaranti. In questo caso, la fanno da padrone i flavor text riportati su ogni carta volatile, di cui ne descrivono alcune peculiarità. Vi invito quindi ora a chiudere gli occhi e immaginare il vostro amico più divertente che, dopo essersi schiarito la gola, si erge a portavoce di Piero Angela (imitandone voce e ritmo) e decanta queste incredibili, soavi, leggiadre parole:
“Gli avvoltoi collorosso possono vomitare a getto per difendersi.”
Ecco, anche questo è Wingspan. Un gioco che non esiterei mai a intavolare e al quale non rifiuterei mai una partita. È una sfida con se stessi, con la propria capacità di ottenere un motore performante con le carte che il fato ci propina, ma anche con gli altri giocatori al tavolo, intenti a fare lo stesso e – perché no – anche a mettere qualche bastone tra le ruote.
Il fatto che tutte le carte siano in singola copia rende il gioco estremamente longevo, e la sua durata (parecchio contenuta) ne decreta la facilità di fruizione. L’arrivo già annunciato di espansioni (relative a volatili di altre zone del mondo) da inoltre ancora più forza al fattore longevità.
Ogni partita di Wingspan è per me una gioia che si protrae dolcemente ma profondamente. Nella sua calma non mi annoia, anzi, mi fa apprezzare il momento, mi fa assaporare l’istante, mi rende partecipe del “qui ed ora“.
Trovo tante similitudini tra Wingspan e una pipa ben carica con un buon tabacco da meditazione. Un’esperienza profonda, appagante, ma che va consumata senza ansia e senza premura, per poterne scoprire ogni sfaccettatura, anche delle più scaltre e nascoste. Nonché, l’esperienza più vicina allo stare steso su un prato verde, sotto l’ombra di un albero, durante i primi tepori della primavera, con una pipa in bocca e la brezza sulla pelle, nonostante io sia a chilometri di distanza dalla mia campagna.
This post was published on 15 Aprile 2019 8:35
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