Quanto è corretto, e soprattutto quanto è sanzionabile da un giudice, un datore di lavoro che crei un profilo falso per spiare un dipendente e scoprire che non è un buon elemento da tenere?
Quando si è a lavoro si dovrebbe ovviamente ridurre al minimo se non evitare del tutto l’utilizzo dei social ma fuori dall’orario di lavoro ognuno è libero di fare ciò che vuole e anche di passare tempo sulle piattaforme social.
Ma cosa succede se su quei social c’è il tuo datore di lavoro, con un profilo del tutto falso? In alcune circostanze specifiche si tratta di un comportamento che non può essere sanzionato e che anzi può costituire una prova in una causa di licenziamento.
La situazione che è stata sottoposta alla Corte Suprema è una situazione che potrebbe in effetti verificarsi in molti luoghi di lavoro: un datore di lavoro e un dipendente che si trovano in una causa perché il primo a sottoposto a procedura di licenziamento il secondo. Ma il secondo cerca di far valere quelli che pensa siano i suoi diritti. La base della causa è che il superiore avrebbe scoperto comportamenti contrari all’etica della società per cui il dipendente lavorava con uno stratagemma: un profilo finto sui social.
Con questo profilo social, il datore di lavoro avrebbe avuto le prove, attraverso diverse conversazioni, che il dipendente non rispettava gli orari di lavoro e che lo faceva volutamente e che, sempre volutamente, non rispettava la normativa relativa alla sicurezza sul luogo di lavoro. Il dipendente è stato quindi messo davanti al suo comportamento scorretto e licenziato. Ritenendo che il licenziamento fosse avvenuto per motivi scorretti, il dipendente aveva quindi provato a rivolgersi ai giudici.
Quello che però è emerso dalle decisioni dei vari gradi di giudizio è che il comportamento scorretto, anche se scoperto usando mezzi non convenzionali, era comunque stato identificato e che il datore di lavoro non aveva nei fatti violato nessuna normativa dato che, come già evidenziato in altre sentenze del genere, c’erano a priori motivi per ritenere che il dipendente non si comportasse secondo le regole.
Come nel caso quindi di un datore di lavoro che sfrutta i servizi di un investigatore privato, l’utilizzo dei social e di un profilo falso per intrattenere conversazioni con il dipendente è consentito e il risultato delle interazioni utilizzato contro di lui.
Quello che deve verificarsi, come già sottolineato dalle altre sentenze che hanno ribadito i licenziamenti in alcuni casi, è che ci sia già un motivo per sospettare del dipendente e che, quindi, i comportamenti messi in atto dal datore di lavoro siano giustificati e abbiano lo scopo di raccogliere ulteriori prove.
This post was published on 12 Novembre 2024 14:55
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