Il fenomeno è stato osservato più volte e a che fare con le stelle che ci cadono dentro, ma nessuno è ancora riuscito a spiegare il fenomeno.
Ah, i buchi neri! Tra i più grandi misteri dell’universo! In effetti ne sappiamo ben poco, anche perché sono non c’è modo di osservarne altro che l’orizzonte degli eventi. In sostanza, non c’è modo di sapere cosa accada all’interno di un buco nero, anche perché non è visibile, sebbene possiamo fotografarne l’ombra grazie ai radiotelescopi. Quando un corpo celeste viene attratto dal buco nero vi precipita inesorabilmente all’intero e non può più uscirne a causa dell’altissima densità dello stesso, che nn permette a nulla di fuoriuscire, luce compresa. Eppure, la scienza si interroga su un fenomeno a cui non sa ancora darsi una spiegazione precisa: alcuni buchi neri emettono luce!
Com’è possibile che un fenomeno tanto ossimorico avvenga effettivamente davanti agli occhi (o quantomeno ai telescopi) degli astronomi? Come detto, quando i buchi neri inglobano qualcosa, solitamente una stella, si rischiarano, ma questo è un paradosso. Le stelle, come spiega un articolo di Ars Technica che tenta di illustrare il fenomeno a chi non è del mestiere, bruciano ed emettono luce in virtù delle reazioni nucleari che avvengono al suo interno tramite fusione. Questo processo è l’esatto contrario della fissione nucleare, ovvero il procedimento di rottura dell’atomo che si usa comunemente per produrre energia nelle centrali nucleari, anche se ci sono esperimenti in corso per tentare di realizzare reattori nucleari a fusione, che sarebbero ancor più efficienti (ma è un percorso lungo che richiederà molti anni di studio e sperimentazione).
La fusione nucleare che avviene nelle stelle consiste invece nell’unione di nuclei di due o più atomi che si uniscono tra loro, sprigionando un immenso quantitativo di energia nell’atto trasformativo che va a vincere la repulsione elettromagnetica degli atomi stessi. Negli astri la reazione che avviene si dice esotermica, appunto perché emette energia, infatti il nucleo dell’atomo fuso è più piccolo di quelli degli atomi separati.
La stranezza risiede nel fatto che, una volta entrata nella sfera d’influenza del buco nero, la stella non solo inizia a caderci inesorabilmente dentro, ma si “sfilaccia” per così dire, o meglio è soggetta a spaghettificazione. Questo fenomeno viene chiamato distruzione mareale, e in teoria dovrebbe impedire che la stella, una volta incominciata la sua disgregazione, continui ad emettere luce: dopotutto, le reazioni di fusione nucleare dovrebbero interrompersi. Invece, per motivi ancora inspiegabili, ciò non sembra avvenire, le stelle continuano a brillare e la loro striatura circonda la superficie sferica del buco nero, con il risultato che noi siamo in grado di vederlo e fotografarlo.
Chiaramente si tratta di fenomeni in cui entrano in gioco le radiazioni, ma non sappiamo esattamente quante e quali, su quali lunghezze d’onda viaggino, con quanta intensità salgano e scendano e in definitiva da cosa siano causate esattamente. Siccome non c’è modo di andare abbastanza vicino ad un buco nero per studiare con calma il fenomeno – peraltro, le distruzioni mareali non avvengono particolarmente di frequente – l’unica soluzione lo sviluppo di software che possano realizzare delle simulazioni di questo tipo di eventi. Sono stati effettuati vari tentativi nel corso degli anni, non tropo soddisfacenti. Ora però è stato messo a punto un programma particolarmente promettente: RICH.
Alla Hebrew University, i ricercatori Elad Steinberg e Nicholas Stone stanno effettuando prove con RICH, specializzato nei calcoli di… idrodinamica. Vi state chiedendo cosa centri con stelle e buchi neri? Il fatto è che i movimenti della stella al collasso pre-inglobamento nel buco nero si comporta in modo simile alla meccanica dei fluidi: RICH è in grado di misurare le capacità di emissione e assorbimento di radiazioni nei fluidi, restituendoci in questo modo modelli accostabili alle perturbazioni provocate dalla distruzione mareale.
Monitorando il comportamento di una stella “spaghettizzata” e inserendone i dati in RICH, i ricercatori sono riusciti a capire che quando un filamento stellare passa due volta sopra al pericentro (il punto più vicino che la separi dal buco nero), questo loop provoca una turbolenza dovuta alle onde d’urto dei materiali stellari che costituiscono il volume gassoso del filamento stesso. In sostanza i gas perturbati in prossimità del pericentro emettono radiazioni, che noi possiamo osservare e fotografare tramite i radiotelescopi. Si crea così questo cerchio luminoso attorno all’orizzonte degli eventi, con una scia di filamento a mo’ di coda. Ars Technica descrive efficacemente questa splendida spettacolare immagine come una sorta di girio spaziale.
Malgrado le simulazioni effettuate tramite RICH abbiano dato risultati incoraggianti nel senso della comprensione generale del fenomeno, si tratta di un sistema troppo grezzo per poterne apprezzare tutti i dettagli. Ad esempio, RICH non è in grado di tenere propriamente conto degli effetti della meccanica quantistica che incorrono nel fenomeno, e che invece sarebbe fondamentale considerare per avere rappresentazioni più accurate e specifiche per singoli casi di distruzioni mareali. Che dire, la ricerca continua!
This post was published on 24 Gennaio 2024 18:30
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