Tutto merito di un fenomeno che gli scienziati hanno chiamato risonanza orbitale.
Nello spazio nessuno può sentirti gridare, recita una celebre tagline. Il riferimento era alle grida di paura, ma in questo caso si può applicare invece ai giubili di meraviglia. Parlo di quello stupore che ci fa spalancare gli occhi e salire una stretta in gola alla vista delle meravigliose fotografie di galassie lontanissime immortalate dai telescopi spaziali, o il brivido che ci percorre ogniqualvolta giunga una conferma sul fatto che ci sia acqua sul Pianeta Rosso, rendendo sempre più verosimile l’ipotesi della presenza di vita extraterrestre.
Quando dalla NASA, dall’ESA o da altri centri di ricerca aerospaziale giungono annunci di nuove scoperte, la nostra immaginazione si scatena e ci sentiamo al contempo infinitamente piccoli eppure enormi, parte di un tutto sterminato di cui noi rappresentiamo miseri atomi ma che al contempo sentiamo esplodere dentro noi stessi. Lo spazio scatena da sempre l’immaginazione, la curiosità e anche il timore del genere umano, che da millenni si è messo in testa di poterlo studiare e comprendere, sebbene in minima parte. I passi avanti sulla ricerca spaziale negli ultimi due secoli sono stati enormi, ma la quantità di cose che ancora non sappiamo supera di gran lunga il bagaglio di scoperte accumulate finora. E così ogni volta che punta il telescopio per osservare il cielo si può scoprire qualcosa di nuovo, potenzialmente in grado di confermare le nsotre convinzioni sull’universo o di sconquassarle dal profondo obbligandoci a rivedere le nsotre convinzioni.
Altre volte poi si incappa in “semplici” stranezze, bizzarrie di forme e di colori, o configurazioni ipnotiche per loro bellezza ed uniformità, che ci fanno stupire per l’eleganza e la struttura, lasciandoci sgomenti e dubbiosi rispetto alla possibilità che tanta meraviglia sia il solo frutto di processi casuali e non invece un ordine imposto da qualche misteriosa causa primaria, magari di natura non totalmente immanente.
Una recente scoperta appartiene proprio a quest’ultima tipologia di osservazione: si tratta di un sistema stellare estremamente peculiare, dalla configurazione talmente perfetta da sembrare quasi disposta con un disegno intelligente. Vediamo di cosa si tratta e quale sia il fenomeno che ha reso possibile questo spettacolo, cui gli scienziati attribuiscono un nome specifico: risonanaza orbitale.
A 100 anni luce da noi si trova il sistema stellare HD110067. Si tratta di un sistema composto da 6 pianeti che orbitano attorno a un astro secondo un pattern complesso che dà origine ad una geometria astronomica di rara bellezza e perfezione. È stato localizzato grazie all’incrocio di dati provenienti tanto dal Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA quanto dal CHaracterising ExOPlanet Satellite (CHEOPS) dell’ESA, che hanno reso possibile ricostruirne l’affascinante geometria.
Si tratta di una complicata coreografia che fa assomigliare il movimento dei pianeti ad un complicato balletto attorno alla stella. Ognuno infatti percorre la sua orbita ad una diversa velocità, ma il loro incedere sembra in relazione con gli altri in una sorta di perfezione da partitura musicale. Così, abbiamo un pianeta che effettua 3 giri orbitali completi nello stesso intervallo temporale in cui un altro ne compie solo 2; poi un terzo corpo celeste che effettua 4 orbite complete nel tempo in cui quello dopo lui ne effettua 3, e così via. Ogni pianeta insomma gira in rapporto alle velocità di quello che lo segue e lo precede, secondo un rapporto matematico perfetto. Così, il pianeta più vicino alla stella compie 6 giri orbitali nello stesso tempo in cui il più lontano, ovvero il sesto, ne compite uno solo! È proprio questo misterioso fenomeno di interconnessione che prende il nome di risonanza orbitale.
A parere degli scienziati molti pianeti nascono in rapporto di risonanza orbitale con quelli vicini, dovuta complesse interazioni di forze gravitazionali al momento della loro nascita. Tuttavia sono pochi i sistemi stellari in cui tale sinergia è mantenuta: spesso infatti intervengono fattori esterni a perturbare queta silenziosa sincronia di movimenti, ad esempio tempeste elettromagnetiche, passaggi di corpi celesti come comete, cadute di meteoriti o altro ancora. Tutto ciò fa sì che incappare in sistemi stellari i cui pianeti si trovino ancora in stato di risonanza orbitale non è un fatto comune e suscita sempre meraviglia osservare la grazia dei loro pattern orbitali, esplicati nella ricostruzione tridimensionali del video sovrastante, elaborato dal dottor Hugh Osborn dell’università di Berna.
Lo stesso professore spiega infatti che l’eccezionalità dell’osservazione non è dovuta tanto alla risonanza in sé – fenomeno del quale siamo ben consapevoli – ma alla permanenza della stessa in un sistema di ben 6 esopianeti concatenati tra loro, fatto mai osservato prima. Un vero colpo di fortuna se consideriamo poi il fatto che i pianeti di questo sistema per il resto non presentano caratteristiche di spicco: si tratta di 6 pianeti di piccolissima stazza, tanto che vengono classificati come sub-Nettuniani, ovvero dal dimetro inferiore a Nettuno, l’ottavo e più remoto dei pianeti del nostro Sistema Solare (vi ricordo infatti che il povero Plutone è stato “declassato” a pianeta nano o plutoide).
In ogni caso il fatto stesso di aver mantenuto intatta la risonanza orbitale rende questo sistema interessante da studiare, perché il permanere di tale relazione tra i pianeti potrebbe aver dato adito ad altre caratteristiche uniche che nel nostro sistema sono andate perdute. Dunque studiare un sistema come questo permette di scoprire qualcosa in più anche sui tempi più remoti del nostro, e in generale sulle fasi primigenie di tutti i sistemi stellari, di cui si calcola che solamente l’1% permanga ancora oggi in stato di risonanza orbitale. Osservare questo sistema equivale a guardare indietro nel tempo, permettendoci di fare un po’ più di luce sull’origine dei pianeti e le fasi più ancestrali di sviluppo dell’universo tutto.
This post was published on 5 Dicembre 2023 9:30
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