Le armi chimiche sono molto probabilmente alcuni degli armamenti più letali e subdoli mai prodotti dall’uomo: queste sono in grado di arrecare gravi danni all’essere umano, ma anche all’ambiente circostante con effetti disastrosi sulla flora e la fauna delle zone in cui sono state utilizzate. Ebbene le armi chimiche sono tornate a far parlare di sé in Italia, soprattutto in quanto verrà aperto un nuovo stabilimento per poterle smaltire.
Un po’ di storia
L’uomo fin da quando ha imparato a fare la guerra ai propri simili, ha sempre cercato i mezzi migliori per eliminare i propri avversari: da macchine d’assedio, e non, sempre più complesse che sono cambiate radicalmente con l’introduzione della polvere da sparo tra il Quattrocento e il Cinquecento, fino ad arrivare ad aerei, carri armati e altre tipologie di veicoli che di fatto hanno soppianto gradualmente l’uso del cavallo (con particolare riferimento agli ultimi citati).
Anche le stesse armi chimiche hanno una lunga storia, che ha raggiunto il suo culmine, putroppo, con l’inizio del Novecento: i primi anni del XX secolo, conosciuti anche con il nome di Belle Époque, sono stati anche caratterizzati da un pesante processo di riarmo e potenziamento degli eserciti europei, soprattutto da parte dell’Impero Tedesco e quello Austro-Ungarico (anche se nel concreto quasi praticamente tutti gli stati europei decisero di perseguire la stessa strada).
Questa corsa alle armi portò, volenti o nolenti, all’elaborazione di nuove tipologie di armi, come appunto quelle chimiche: il principale fautore della loro creazione fu lo scienziato tedesco Fritz Haber che vinse il nobel per la chimica nel 1917 a seguito della scoperta del metodo con cui sintetizzare l’ammoniaca. Haber viene appunto considerato come il padre delle armi chimiche in quanto consigliò al comando tedesco di fare uso di diverse sostanze, come cloro, fosgene e iprite, con cui poter sbaragliare – almeno in linea teorica – le forze nemiche.
Alla fine il comando tedesco si convinse e decise di farne uso: la prima zona in cui le armi chimiche vennero usate fu la città di Ypres, in Belgio dove venne usata massicciamente l’iprite (che prende proprio il nome da questa cittadina). Da lì in poi verranno sempre più utilizzate durante tutta la Grande Guerra, ma anche dopo: persino noi italiani ne abbiamo fatto uso e molti se ne sono dimenticati volutamente o per ignoranza a livello storico. In particolare tali armi vennero usate in Etiopia tra il 1935 e il 1936 durante l’invasione che vide protagonista il comandante Rodolfo Graziani e che portò alla morte di più di 760 mila persone. Alla fine a seguito della promulgazione della Convenzione sulla armi chimiche promossa dall’ONU nel 1993, questi armamenti sono stati vietati: ciononostante alcuni stati continuano a farne uso, come per esempio Israele contro i civili palestinesi.
Verrà aperto un nuovo centro per lo smaltimento delle armi chimiche
Stando a quanto detto dal noto giornale nazionale “Il Messaggero”, in futuro verrà aperto un nuovo stabilimento per lo smaltimento delle armi chimiche in Italia: nello specifico dovrebbe trattarsi di un “termossidatore termolitico” e che dovrebbe costare 29 milioni di euro. Esso sarà operativo, in linea teorica, a partire dal 2025. Per quanto concerne la zona in cui questo verrà costruito, non si sa ancora nulla: infatti il Ministero della Difesa è stato interpellato sull’argomento e ha detto che al momento quest’informazione è protetta dalla riservatezza.
Allo stesso tempo il Ministero della Difesa ha anche affermato che porterà avanti il processo di demilitarizzazione della armi chimiche presenti nel CETIL (Centro tecnico logistico interforze di Civitavecchia): al suo interno ne sono presenti ben 2600 unità fosforo bianco – di produzione americana – e per questo processo sono stati stanziati 2,4 milioni di euro per il periodo compreso tra il 2024 e il 2026.