Il mito delle cure personalizzate miracolose si è incrinato dopo il caso Gleevec, una vicenda tanto straordinaria quanto inquietante che deve far riflettere su costi e opportunità della ricerca scientifica privata.
La medicina ha compiuto passati avanti notevoli negli ultimi anni grazie all’avvento di un nuovo paradigma che cambia l’approccio alla malattia: dalla medicina tradizionale, che si concentra sullo studio della malattia e l’applicazione della terapia in senso assoluto su ogni paziente, si è passati ad una medicina di precisione o personalizzata, che ambisce cioè a sviluppare percorsi terapeutici specifici a partire dalla singolarità individuale di ogni paziente.
Gli umani infatti non sono tutti uguali ed una cura necessita sempre di essere ricalibrata sui parametri genomici individuali, pur rimanendo valida nei suoi principi generali. Per il momento i maggiori successi di questi approccio innovativo si sono avuti nei campi delle malattie rare e dei pazienti oncologici, ma nel prossimo futuro è lecito aspettarsi che riguarderà quasi tutte le forme di trattamento terapeutico. Questo sistema, oltre a far risparmiare tempo prezioso al paziente e a premunirlo da tentativi di cure a casaccio, rappresenta un enorme risparmio anche in termini puramente economici, il che per i paesi occidentali con una popolazione in costante invecchiamento può rappresentare una soluzione alla sostenibilità di sistemi sanitari sempre più onerosi.
Una dei risultati più rappresentativi di questo nuovo corso della medicina è il Gleevec, farmaco approvato nel 2001 come terapia per il trattamento della leucemia mieloide cronica. L’aspettativa di vita per i pazienti americani prima del suo avvento era di massimo 5 anni.
La leucemia mieloide cronica è causata da un errore di comunicazione tra i cromosomi 9 e 22 che si scambiano erroneamente segmenti durante la divisione cellulare. L’enzima risultante da questo errore porta ad una proliferazione incontrollata di cellule nel midollo osseo. La rivoluzioen si ebbe negli anni Novanta, quando Brian Druker, oncologo presso la Oregon Health & Science University, si rese conto che l’azienda farmaceutica Novartis possedeva il composto chimico STI-571, in grado di bloccare questo enzima interrompendo il processo riproduttivo delle cellule cancerose. La sperimentazione umana, iniziata nel 1998, ebbe da subito ottimi risultati, e i pazienti trattati con il composto dettero tutti segnali di miglioramento. Novartis ha così perfezionato e messo a punto il farmaco Gleevec, che è stato ufficialmente approvato e messo in commercio nel 2001, suscitando entusiasmi nella stampa e ovviamente nei pazienti, e fornendo spunti tematici che ad alcune puntate delle serie tv Law & Order e The West Wing.
Col senno di poi il Gleevec ha segnato lo spartiacque tra la medicina tradizionale e quella di precisione. Molti dei primi pazienti ad essere stati trattati con esso sono ancora oggi vivi e vegeti. Tuttavia, la rivoluzione apportata da questo cambio di paradigma non è stata solamente positiva, anzi: i risolviti inquietanti non mancano.
Gleevec ha sempre rappresentato un farmaco “per ricchi”: un trattamento di un mese costava già dalla sua prima commercializzazione circa 2.000 dollari. Del resto la casa farmaceutica si è sempre difesa sostenendo la scarsa diffusione della malattia di riferimento e gli ingenti fondi spesi nella ricerca e perfezionamento della medicina. In ogni caso il prezzo del trattamento, che fino al 2006 si attestava tra i 25.000 e i 30.000 dollari, ha improvvisamente iniziato a salire sempre di più. Nonostante l’ampliamento del bacino di pazienti e l’ingresso nel mercato di altri farmaci simili, tutte condizioni che in una normale economia di mercato porterebbero ad un abbassamento dei prezzi, hanno portato all’esatto opposto, con il prezzo del Gleevec che è triplicato rispetto a quello di un tempo, permettendo a Novartis di incassare 4 miliardi di dollari annui dalla sola vendita di questo farmaco.
Le associazioni dei pazienti ma anche molto medici, tra cui lo stesso Druker, hanno indetto diverse proteste e petizioni online per richiede l’intervento dell’autorità sul controllo dei prezzi dei farmaci oncologici, accusando Novartis ed altre case farmaceutiche di spremere in modo crudele ed ingiustificato i pazienti disperati per i quali questi farmaci sono di importanza assolutamente vitale. Nel frattempo Novartis ha cercato in tutti i modi di ritardare la scadenza del proprio brevetto e di ricorrere a stratagemmi con la complicità di medici conniventi, che ad esempio prescrivevano ai pazienti un altro farmaco sostitutivo, Tasigna, sempre di proprietà di Novartis, sul quale l’azienda continua a possedere il brevetto. Morale della favola: il prezzo di Gleevec si è stabilizzato solo attorno al 2015-2016, anni in cui sono entrati in commercio le versioni generiche dello stesso farmaco. Normalizzato non significa economico comunque.
Il danno del caso Gleevec non è stato solo economico ma anche culturale, perché ha instillato nelle case farmaceutiche l’abitudine a mantenere altissimi i prezzi dei farmaci oncologici, che hanno spesso prezzi proibitivi. Negli Stati Uniti il costo per una terapia annuale con questo tipo di farmaci può raggiungere i 150.000 dollari! Uno studio sempre made in USA ha concluso che il 40% dei pazienti che seguono tali terapie dilapidano i risparmi accumulati in tutta la propria vita nello spazio di soli due anni. Insomma, forse dal calvario sanitario riescono ad uscire sani, ma senza dubbio ne escono sul lastrico. E i farmaci oncologici sono nulla rispetto a quelli relativi alle malattie rare, ad esempio Zolgensma, che contrasta la degenerazione delle cellule nervose nei bambini affetti da atrofia muscolare spinale… al prezzo di oltre due milioni di dollari a dose!
Che la ricerca scientifica sia lunga e dispendiosa è un fatto. Che occasionalmente come in questo caso dia risultati straordinari in grado di salvare la vita delle persone è un altro fatto. Tuttavia, quale che sia il paradigma che guida la ricerca medica, il problema a monte è sempre la natura privata della ricerca scientifica che porta a questi risultati: se la cura miracolosa è appannaggio di una sola industria farmaceutica privata, ciò porterà sempre i pazienti a dipendere da una realtà che per sua natura non può mettere la loro salute al primo posto, bensì la ricerca del profitto, come qualsiasi azienda privata.
Una riflessione della società civile e delle istituzioni riguardo questo argomento è estremamente importante, per definire che tipo di società vogliamo costruire e come conciliare le giuste esigenze di profitto degli enti privati con il sacrosanto diritto alla salute dei cittadini.
This post was published on 13 Settembre 2023 5:30
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