Una scoperta straordinaria porta gli studiosi a rivalutare il modo in cui il nostro universo si è formato: grazie alla potenza del telescopio spaziale Webb, un gruppo di ricercatori che ha esaminato la cosiddetta Striscia di Groth estesa e ha scoperto un numero di buchi neri supermassicci in crescita, ma soprattutto che sono composti da una quantità di materiali molto minore rispetto a quanto previsto.
La ricerca del telescopio Webb
Il telescopio Webb è stato lanciato nello spazio nel dicembre 2021 e ha iniziato le operazioni scientifiche nel luglio 2022. Nel corso dell’ultimo anno, il telescopio ha fotografato tantissimi corpi celesti, dai pianeti del Sistema Solare alle galassie più antiche. Si trova in una regione dello spazio denominata L2, a circa un milione di chilometri dalla Terra, dove può osservare il cosmo in relativa tranquillità.
I potenti servizi del Webb sono utilizzati da vari programmi scientifici, tra i quali il Cosmic Evolution Early Release Science (CEERS), che studia la Striscia di Groth Estesa, situata nell’ansa dell’Orsa Maggiore. Questo progetto di osservazione spaziale studia alcune delle prime galassie e le loro strutture e le condizioni di crescita di stelle e buchi neri, e lo scorso anno, proprio di questo periodo, gli scienziati hanno pubblicato un’immagine a mosaico composta da 690 singoli fotogrammi che mostrava alcune galassie antiche, tra cui una delle più antiche mai fotografata, la Galassia di Maisie, che ha un’età di circa 13,4 miliardi di anni, con un redshift di z=11,4. All’inizio di questo mese, gli astronomi hanno confermato alcuni dei redshift delle galassie osservate nelle precedenti immagini del CEERS, e a quel punto è iniziata la ricerca.
La scoperta
Il team stava studiando i nuclei galattici attivi, o AGN, nuclei galattici che espellono elevate quantità di radiazioni, a volte sotto forma di getti di particelle.
Come affermato da Allison Kirkpatrick, astronoma dell’Università del Kansas e autrice principale dello studio, dalla ricerca si è scoperto che i buchi neri osservati stavano crescendo a un ritmo più lento di quanto pensato di precedenza.
In particolare la ricerca verte sui buchi neri supermassicci, con una massa da centinaia di migliaia a miliardi di volte quella del Sole, sono alcuni degli oggetti più grandi dell’universo. Essi si annidano nei nuclei delle galassie, dove si accrescono e occasionalmente eruttano materiale.
Gli studi su oggetti di questo tipo aprono scenari intriganti, in quanto le galassie esaminate assomigliano molto a come la nostra Via Lattea era nel passato, e questo fa sì che gli studi permettano di capire molto anche su di essa.
“I risultati dello studio suggeriscono che questi buchi neri non stanno crescendo rapidamente, assorbendo materiale limitato e forse non hanno un impatto significativo sulle galassie che li ospitano”, ha detto Kirkpatrick. “Questa scoperta apre una prospettiva completamente nuova sulla crescita dei buchi neri, dal momento che la nostra attuale comprensione si basa in gran parte sui buchi neri più massicci delle galassie più grandi, che hanno effetti significativi sulle galassie che li ospitano, mentre i buchi neri più piccoli di queste galassie probabilmente non hanno questa caratteristica”.
Le osservazioni sono state effettuate utilizzando le informazioni del Mid-Infrared Instrument del telescopio spaziale Webb, e i frutti della ricerca verranno presto pubblicati su The Astrophysical Journal.
Inoltre, grazie all’alta tecnologia di cui dispone, il telescopio Webb potrebbe rimanere in funzione per oltre un decennio (la durata standard della missione è di cinque anni), fatto che potrebbe far sperare nella vicinanza di nuove scoperte sull’evoluzione galattica e sui buchi neri, aiutati da programmi collaterali come l’Event Horizon Explorer.