I grandi della Terra si sono riuniti per il G7, hanno discusso della crisi climatica, ma come sempre non hanno raggiunto un accordo. Sembra quasi che facciano solo finta. Gli esperti ormai sono rassegnati.
I grandi della Terra si riuniscono spesso per parlare della crisi climatica, ma poi non raggiungono mai un accordo. Uno dei motivi principali per cui avviene ciò riguarda gli interessi nazionali contrastanti, infatti leader di diversi paesi cercano di tirare l’acqua al proprio mulino e per farlo devono chiudere gli occhi di fronte alla crisi climatica. Alcuni paesi dipendono ancora fortemente dai combustibili fossili per il loro sviluppo economico, il che può creare resistenza a misure che riducono l’uso di tali risorse. Questi interessi divergenti ostacolano gli sforzi per raggiungere un accordo globale significativo.
Inoltre, la crisi climatica è un problema complesso che richiede soluzioni a lungo termine e impegni significativi da parte di tutti i paesi. Tali soluzioni richiedono spesso cambiamenti sostanziali nelle politiche, nelle pratiche industriali e negli stili di vita. Coordinare e implementare tali cambiamenti su scala globale è una sfida notevole, poiché richiede il coinvolgimento di molteplici attori e il superamento di barriere politiche, economiche e sociali.
In un mondo caratterizzato da una forte competizione economica e geopolitica, alcuni paesi sono riluttanti a impegnarsi in azioni significative che potrebbero limitare la loro competitività o ridurre la loro influenza sullo scenario internazionale. La paura di sacrificare interessi economici o di essere superati da altri paesi influenza la volontà di raggiungere un accordo comune sulla crisi climatica.
In alcune occasioni, la mancanza di fiducia reciproca tra i leader mondiali può ostacolare i negoziati sulla crisi climatica. Sospetti sulla volontà degli altri paesi di rispettare gli impegni presi o di fornire finanziamenti per affrontare il problema possono portare a una mancanza di fiducia reciproca e a una mancanza di progressi nelle trattative.
La crisi climatica è un problema urgente che richiede azioni immediate e coraggiose. Nonostante la crescente consapevolezza dei pericoli associati all’uso di gas e carbone, molti paesi e attori chiave sembrano essere riluttanti a fare un passo indietro da queste fonti di energia inquinanti. Questa mancanza di volontà politica e impegno è un grave ostacolo nel cammino verso la transizione verde su cui tanti blaterano.
Uno dei principali motivi dietro questa riluttanza potrebbe essere l’interesse economico a breve termine. L’industria dei combustibili fossili rappresenta ancora una fetta significativa dell’economia globale, e molti paesi dipendono pesantemente da queste risorse per il loro sviluppo e la loro prosperità economica. Fare un passo indietro sui gas e il carbone potrebbe comportare la perdita di posti di lavoro e la riduzione degli introiti derivanti dall’estrazione e dalla vendita di tali risorse. Ciò crea una pressione politica per mantenere lo status quo, anche a discapito dell’ambiente e del futuro delle generazioni a venire.
Inoltre, la lobby dei combustibili fossili esercita una notevole influenza sui processi decisionali. Le grandi aziende energetiche e le loro associazioni di settore hanno enormi risorse finanziarie e politiche per influenzare le politiche e bloccare o ritardare le iniziative che minacciano il loro modello di business. Questo potere di lobby può scoraggiare i politici dal prendere misure decisive per ridurre l’uso di gas e carbone.
Le soluzioni esistono. Le energie rinnovabili come l’energia solare ed eolica stanno diventando sempre più economiche e competitive. Investire in queste tecnologie rappresenta un’opportunità per creare nuovi posti di lavoro, ridurre le emissioni di carbonio e garantire una crescita economica sostenibile.
Gli esperti climatici hanno rivolto critiche al gruppo delle principali economie avanzate del G7 per non aver adottato misure più rigorose nei confronti dei combustibili fossili, in particolare dopo che la Germania e il Giappone hanno ottenuto un sostegno per il mantenimento dell’uso del gas e del carbone.
Nel comunicato finale, i leader del G7, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Italia e Canada, hanno affermato di essere impegnati a raggiungere un settore energetico “completamente o in gran parte” decarbonizzato entro il 2035 e ad “accelerare” la graduale eliminazione dell’energia da carbone che non è ancora stata esaurita, tuttavia non hanno stabilito una scadenza per quest’ultimo obiettivo.
Inoltre, considerando il contesto dell’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente crisi energetica, il G7 ha evidenziato il “ruolo importante che un aumento delle forniture di gas naturale liquefatto può svolgere”. Ha anche affermato che “gli investimenti nel settore del gas, con il sostegno pubblico, possono rappresentare una risposta temporanea” alla crisi.
Alden Meyer, senior associate di E3G, ha sottolineato che “l’insistenza della Germania su maggiori investimenti pubblici nel gas” e la “resistenza del Giappone a una graduale eliminazione della produzione di energia elettrica dal carbone” compromettono la leadership del G7 in un momento in cui è estremamente necessaria.
Secondo E3G, l’assenza di una data per l’eliminazione del carbone e l’uso della parola “in gran parte” mettono il Giappone in ritardo rispetto agli altri paesi, i quali stanno tutti compiendo passi concreti verso l’eliminazione del carbone. Un gruppo di Paesi guidati da Cile, Paesi Bassi e Nuova Zelanda ha chiesto al G7 di guidare gli sforzi globali per eliminare gradualmente i combustibili fossili e accelerare la diffusione delle energie rinnovabili.
Insomma, la strada è ancora lunga e tortuosa per mettere tutti d’accordo.
This post was published on 28 Maggio 2023 12:00
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