Le paure sociali che si sviluppano nel corso della vita, possono essere tante. C’è chi teme ad esempio di dover rifare l’esame di maturità o chi ha paura di essere richiamato ad affrontare il servizio di leva obbligatoria. Quasi mai però, queste paure diventano fatti concreti ma, quando accade, le reazioni potrebbero non essere delle migliori. È il caso che riguarda, in questi giorni, l’INPS.
Chiunque sia ormai abbastanza dentro al mondo del lavoro, conoscerà molto bene questa sigla, trovandosi spesso a dovercisi rapportare e non sempre in maniera allegra. Per chiunque non sapesse di cosa stiamo parlando, vediamo cos’è l’INPS e a cosa serve.
INPS è un acronimo che sta per Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. Si tratta di un ente previdenziale del sistema pensionistico pubblico italiano, al quale devono essere iscritti tutti i lavoratori dipendenti, che si tratti di impiego pubblico o privato. Anche alcune categorie di lavoratori autonomi, a meno che non abbiano una propria cassa previdenziale autonoma.
In soldoni, l’INPS si occupa di erogare le pensioni, verso chiunque presenti i requisiti adatti a riceverla. Le pensioni e tutte le altre attività previdenziali, vengono pagate tramite le imposte, che si compongono per una larga fetta (circa il 70%) dei contributi delle assicurazioni obbligatorie. Il restante 30% arriva da trasferimenti da parte dello Stato dalla cosiddetta fiscalità generale.
Il denaro erogato, viene calcolato volta per volta, in base all’ammontare dei contributi versati dal singolo lavoratore e agli anni di servizio, cioè il periodo di tempo in cui ha esercitato una professione che gli permettesse di versare quei contributi nelle casse dell’INPS. Certo è però, che il sistema non è perfetto e capita di ritrovarsi coinvolti in grossolani errori che possono inficiare la tranquillità di ogni singolo individuo coinvolto.
Parlando di paure sociali infatti, una delle più fondate, specialmente in periodo di crisi economica, è quella di dover essere sottoposti ad un pagamento forzoso, di una cifra così alta da mettere in grossi guai finanziari.
E per quanto questo sia uno scenario decisamente implausibile e di difficile sviluppo, le cose potrebbero andare proprio in quella direzione. E a pagarne le conseguenze, sarebbero le famiglie e i lavoratori.
Vediamo più nel dettaglio perché l’INPS rivuole indietro i soldi da parte dei lavoratori.
Per quanto difficile, può succedere che l’INPS, l’ente previdenziale per eccellenza in Italia, rivoglia indietro soldi che ha erogato.
Non è certo qualcosa che capita facilmente ma le motivazioni dietro a tale richiesta, possono essere diverse e possono essere esplorate.
Situazioni del genere, ricadono su pensionati e famiglie, diventando parecchio complesse da districare. Può capitare ad esempio, che la richiesta di restituzione arrivi anni dopo l’effettiva erogazione della somma, mettendo il pensionato o la famiglia nell’assurda condizione di restituire una cifra, ormai, indisponibile.
Nel caso in cui crediate però, di avere ragione nella diatriba tra voi e l’ente, non disperate. Esistono metodi per dirimere la controversia e i primo è rivolgersi proprio all’INPS. Navigando sul loro sito, potrete trovare la sezione “Gestione dei ricorsi amministrativi rivolti agli organismi centrali in materia di entrate contributive”.
Tramite questo servizio, potrete presentare un ricorso amministrativo contro i provvedimenti in materia contributiva. La presentazione del ricorso dovrà avvenire direttamente online e non oltre 90 giorno dopo la data di notificazione del provvedimento impugnato. Quando riceverete il sollecito di restituzione dunque, avrete al massimo un mese e mezzo per fare ricorso.
Spesso, in difesa del diritto dell’INPS di pretendere le restituzioni, viene nominato l’articolo 2033 del Codice Civile, sull’indebito oggettivo. Ciò che viene disciplinato dall’articolo, è quella fattispecie in cui viene erogata una somma di denaro senza che vi sia un effettivo debito da sanare. Se l’INPS accerterà che non esiste alcun debito che loro nutrono nei confronti del contribuente, potrebbe continuare a pretendere la restituzioni.
In quest’ottica, diventa importante capire quali siano le motivazioni portate dall’INPS, nella richiesta di restituzione e, soprattutto, cercare immediatamente di capire se l’errore che ha portato al pagamento in primis, è dovuto all’ente o al cittadino.
Se però venisse fatto valere l’articolo 2033 c.v. si potrebbe arrivare alla paradossale situazione in cui, oltre alla restituzione della somma erogata, vi sia anche quella degli interessi maturati negli anni in cui quella somma è entrata nella disponibilità del privato. Va sicuramente affrontato, a riguardo, un discorso giuridico su mala fede e buona fede, ma non ci pare la sede migliore per farlo.
Per questo, nel caso vi troviate a dover restituire somme di denaro all’INPS, consultatevi con un professionista, in modo da vagliare tutte le opzioni. E soprattutto, non perdete tempo. Una volta ricevuto l’avviso, mettetevi a lavoro e potreste riuscire a risolvere, senza pagare assolutamente nulla.
This post was published on 14 Marzo 2023 6:30
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