I miei redattori negli scorsi anni si sono recati alla Milan Games Week e hanno sempre criticato la mia assenza, quest’anno ho voluto ascoltarli e fidatevi, me ne sono pentito amaramente. Sarò cattivo nel mio reportage di questa MGW ma è necessario.
La mia critica è dovuta perché dietro questo evento c’è un giro di affari da capogiro, un fiume di ragazzi e ragazze che si riversano per la fiera milanese e soprattutto l’identità di un brand che negli anni si sta affermando come punto di riferimento per i gamer.
La mia critica è necessaria perché dietro l’organizzazione logistica di Fandango c’è la promozione di AESVI che è una delle realtà che stimo di più tra quelle italiane, poiché è un’associazione che promuove le eccellenze italiche e distrugge il concetto che relega i prodotti italiani in una nicchia al di fuori delle più grandi logiche di mercato.
Associazione che al suo interno ha persone che mi fanno sentire orgoglioso del lavoro nel settore gaming dei miei connazionali
Ma non con questo evento, dannazione, no.
Ma cos’è andato storto? Perché tutto questo astio?
Matematicamente poniamo una semplice proporzione:
Successo = (Eventi * Novità * Stand) / (Costo * Lunghezza Code);
La formula non è assolutisticamente giusta perché ci sono decine di sfumature e fattori di cui tenere conto, ma partiamo da questo assioma basilare: un evento di successo non deve dare la percezione di spazi enormi e al contempo vuoti, non deve avere delle file chilometriche per intrattenimenti basilari e soprattutto non deve portare i paganti a dire “diamine! non c’era nulla di interessante”.
L’evento non è totalmente sbagliato ma andando per punti capirete il mio concetto di disastro, di seguito elencherò ogni cosa fuori posto in cui mi sono imbattuto:
Formalmente sì, a livello internazionale anche, ma la sua controparte Italiana?
Nella fiera ci sono i loghi in giro ma la percezione è che sia semplicemente un contenitore di Stand, vaghi tra i grandi Brand e l’identità della manifestazione è ridotta a piccoli sprazzi di attività sparsi e mal segnati in giro.
Non c’è nulla che possa far dire ai visitatori “l’organizzazione della MGW ha fatto X, Y e Z” perché semplicemente accoglie le attività degli altri riducendo le proprie ad un’area scarna di retrogame, uno spazio troppo piccolo per gli indie (che, visto ciò che è stato fatto alla Gamescom, è la parte più interessante da proporre in Italia agli italiani) e una totale mancanza di cura per il Brand.
Non ho sentito ai megafoni un singolo annuncio degli eventi brandizzati MGW, non ho visto figure di riferimento, non c’erano stand e info point (ok, uno c’era ma era piccolo e insignificante), non c’era un’app che notificasse gli eventi, non c’erano neanche degli stupidissimi totem che si comprano online per 25€ con su la planimetria delle aree.
Ma una fiera che si propone come “la fiera del gaming italiana” può permettersi di avere l’identità di una sagra dei gamer?
Sì, gli eSports sono belli belli. Molti li definiscono “una bolla che scoppierà”, io non ci credo. Al 90% saranno il futuro del gaming e dell’intrattenimento con l’avanzare delle generazioni.
Ma alla MGW?
Girando la fiera trovavi decine di Team dei giochi più disparati ospitati nei vari stand per scontrarsi. Sarebbe stato fighissimo se ci fosse stata una piattaforma che annunciasse gli scontri, se ci fosse stato un minimo di comunicazione, un palco generale per fare un po’ di show all’americana per presentare i campioni del nuovo millennio.
Invece no, un ping pong tra i palchi principali della Esl e dell’adidas Arena di pgEsports, che per carità, hanno tirato su due aree bellissime e dal forte impatto visivo ma senza una coadiuvazione della fiera stessa.
Il risultato era scontato, ti andavi a sedere e al massimo aspettavi un annuncio degli speaker o dei caster che facevano il loro meglio, ma evidentemente senza il supporto di una comunicazione dell’evento stesso gatta ci cova, non sapevi mai cosa aspettarti nel programma.
Ora, sugli esports è inutile dire la mia e basta, ho chiesto un parere in forma anonima a tutti gli atleti esportivi che incontravo in fase di uscita dall’evento e, quasi all’unanimità, mi hanno riportato un pensiero che sentivo quando giravo nell’ambiente competitivo di Dota “bello tutto, ma ci siamo sentiti messi da parte” .
Ed è questo il problema, gli atleti italiani erano sì presenti ma (e non era solo una mia impressione) probabilmente per com’è strutturato il format (e ci arriverò al prossimo punto) fungevano più da riempitivo tra uno show di un influencer e un altro.
E i giocatori sono gli ultimi degli stupidi, se ne sono accorti tutti.
Lungi da me fare retorica sugli influencer, da quando ho aperto Player.it ho avuto modo di collaborare con decine di star del web (e prima di Player.it ho avuto modo di lavorare con pezzi grossi dello showbiz, so di cosa parlo) e ci sono influencer e influencer.
La Milan Games Week sembra basare tutto il suo arsenale di fuoco sulla presenza di giovani star del web. Punto.
L’80% dei presenti erano li per fare le stories su Instagram, per farsi il selfie con il beniamino/a, per poter dire agli amici “Ero ad un evento dove c’era Cicciogamer”. E la fiera si basa proprio su questo, tutto è un contorno per la presenza delle nuove star italiane, tutto è veicolato in funzione ai bisogni delle star.
Arrivava il buon Ciccio e i bimbi esplodevano letteralmente, quando se ne andava tutti correvano verso il macchinone nero con autista di scorta. Sembrava una versione alternativa della Milano Fashion Week.
Non ho nulla contro gli influencer. Solo un pazzo non capirebbe che è la strada più veloce per andare in ROI (return on investment) e andare in positivo con il budget dell’evento. Solo che se l’unica attrazione degna di nota è negli influencer non ha neanche senso chiamarla Milan Games Week, parlando con dei ragazzi molto più giovani di me fuori dai padiglioni ho avuto modo di notare una cosa. Hanno aperto Instagram e mi hanno fatto vedere una ventina di completi sconosciuti legati al mondo della moda, delle diavolerie che piacciono ai giovani, della trap e di altre menate che non capisco bene. Gente con i classici 100k follower o più (boostati dai bot, non prendiamoci in giro) che non c’entravano nulla con il mondo del gaming. Eppure eccoli li, a farsi le stories perché nella Milano da bere i videogiochi sono cool.
Ok, che figata! Ma anche no. Il mercato e l’industria ha bisogno di questi casualoni che cavalcano l’onda ma il senso di pantomima e teatrino degli orrori è dietro l’angolo.
Grazie a Sony, Nintendo e Bethesda che hanno deciso di mettercela tutta per far provare qualcosa ai poveri gamer. Lode a loro e un po’ di vergogna all’organizzazione che non ha dato spazi adeguati per poter ospitare più macchine per il testing e per smaltire le file di giocatori.
I tre padiglioni presenti si portavano dietro spazi vuoti grandi come un campo di calcetto, la planimetria poteva tranquillamente permettere un allargamento degli stand dei maggiori player dell’industria, permettendo show più congrui e interessanti e dando spazio a Sony, Nintendo o chi per loro di portare più console e più postazioni.
Invece nope, metrature al risparmio e spazi fin troppo stretti.
Ovviamente alla fiera qualcosa da vedere c’è stato, l’evento WD Black ci è piaciuto un casino, nell’area indie abbiamo provato un paio di giochi che ci hanno resi orgogliosi degli sviluppatori italiani, Nintendo ha portato Pokémon spada e scudo da provare. Diciamo che però è insufficiente.
Non addossiamo la colpa a nessuna delle aziende presenti, è l’organizzazione a monte che non ha permesso la fruizione dei contenuti portati alla fiera. E come i punti precedenti a dirlo non sono soltanto io, ve lo spiego al prossimo punto.
Sono un semplice spettatore e fondamentalmente sono sempre anche troppo buono, questa volta però non riesco a non essere arrabbiato per un’occasione sprecata come questa. L’indotto di una fiera simile supererà il milione di euro incassato, eppure dietro le luci e i grandi spazi TUTTO sembrava improntato al guadagno senza reinvestimento.
Una fiera che vista a mente fredda non offre un prodotto fruibile ai gamer, ma una pantomima di eventi atti a far cassa. Non è sbagliato, ma se salgo su una giostra voglio capire da subito che mi farà divertire e non prendere giusto i miei soldi del ticket per i propri interessi.
Fuori dalla fiera ho fatto quello che è giusto fare, ho perso tre ore con i miei colleghi a chiedere ai visitatori informazioni riguardo la loro esperienza alla fiera, per capire se fosse una mia impressione, se fossi str###o io o se ci fosse del marcio dietro, ho raccolto una cinquantina di testimonianze anonime e ve le dividerò per fasce di età.
Parlando con loro il prezzo del ticket sembra congruo, mediamente gaudenti per via dell’età non hanno avuto particolari momenti da riportarci, per loro erano “belle le luci e la musica, c’era Fortnite e hanno mangiato tanti dolcetti” riassumendo.
E qui sin da subito si capisce che il target di riferimento sono le famiglie con i bimbi, che pagavano un ridotto ma non un’esenzione. Fondamentalmente in questa fascia d’età basta davvero poco per fare una buona manifestazione.
Qui arriviamo alla parte più complicata, il 70% degli intervistati era completamente deluso e ha usato toni meno entusiastici e più aspri, il più utilizzato era “non c’è un ca##o da fare”, secco e brutale. Fondamentalmente un feedback simile sul target di riferimento dovrebbe far scattare ogni campanello d’allarme esistente. Il restante 30% si è detto soddisfatto malgrado le file chilometriche per provare i giochi o conoscere i loro beniamini.
Non ce n’è per nessuno, quasi tutti si sono mostrati delusi dalla manifestazione, mi hanno spiegato che tre padiglioni sono pochi e vederli mezzi vuoti è stato un duro colpo, soprattutto perché hanno speso 20€ per ogni giornata, a detta loro un furto a mani basse se unito ai 17€ per il parcheggio giornaliero.
Inoltre, si sono lamentati per l’assenza di stand (tranne quello di Gamestop che a detta di tutti era ben fornito) e l’unica presenza di stand al limite del cringe con le magliette di Pornhub e dei cuscini per weebo.
Cavoli, il feedback dei genitori è allarmante. Come si può facilmente prevedere, si sono annoiati a morte per le lunghissime file ai meet & greet degli influencer, ma più di ogni altra cosa il problema ha riguardato i prezzi della fiera da gestire, infatti una famiglia di due genitori e tre figli spende 100€ tra ingressi e parcheggi per poi trovarsi pochissimi stand per acquistare e pochissime attrazioni. Non c’è stato un singolo genitore contento dei dodici che abbiamo interpellato, anzi, quasi tutti alla fine della breve intervista mi hanno detto “ora andiamo che è stata una giornata lunga”, e li capiamo.
Ci tengo a riportare la testimonianza di questi tre giovani ragazzi con cui ho avuto il piacere di parlare per una mezz’oretta fuori dai padiglioni (che censurerò per mantenere la loro privacy)
“Eravamo arrivati con delle aspettative altissime, ma niente. 20 minuti stragasati per la presenza degli Arcade Boys poi il nulla ” R. – P. – C.
Ora, sono sicuro che qualcuno potrà arrabbiarsi per questo report ma il giornalismo è anche questo, non esistono solo elogi alle realtà virtuose, esistono anche delle secchiate d’acqua ghiacciata in faccia.
Ho criticato per anni il Romics che di per certo ha meno velleità e punti cardine da portare avanti, la Milan Games Week però in questi tre giorni è finita nel mio personale fanalino di coda come peggior evento a cui ho partecipato. Ed è una critica che ho voluto fare soprattutto perché conosco chi c’è dietro alla partnership, un’azienda di cui ho stima infinita.
Ma a tacere sarei stato un’ipocrita, avrei messo la testa sotto la sabbia e non avrei dato feedback costruttivi, invece per me è giusto prendere fiato e capire cosa non è andato e soprattutto qual è lo step evolutivo per poterci affacciare al mercato europeo come da anni fa Lucca o come all’estero fa la Gamescom.
Ovviamente le critiche senza delle proposte organiche rimangono fine a se stesse, sono propositivo e qualche consiglio da dispensare c’è:
E concludo, la Milan Games Week può presentarsi all’Europa intera come evento innovativo, ma non così, non come quest’anno. Se il prossimo anno non si correrà ai ripari i paganti se ne accorgeranno e non ci saranno influencer salva evento che faranno miracoli.
Ascoltate le critiche, che in Italia abbiamo bisogno di qualità, non di quantità. Ve ne prego.
Daniele di Egidio
Responsabile progetto Player.it
This post was published on 1 Ottobre 2019 11:58
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