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Esports

Esports e fiducia verso gli altri

Giocare online ha moltissimi effetti sulla via sociale dell’individuo, ma non per forza questi devono essere negativi. L’abuso e l’eccesso non sono il risultato di ore di gioco, ma le cause di una vita sregolata che non è specifica dei videogiochi. Più precisamente, il focus sarà incentrato sugli eSports, cioè il gioco competitivo perché è nella competizione e nella sfida lanciata agli altri che si possono trovare le motivazioni che ci portano a pensare ad essi come strumenti di socializzazione.

Da qualche parte bisogna cominciare

Non si nasce pro gamer. A dire il vero non si nasce neanche videogiocatori, lo si diventa con le giuste esperienze. Entrare nel mondo degli eSports è uno step successivo dovuto alla consapevolezza di avere qualcosa in più degli altri, ma allo stesso tempo di aver bisogno degli altri per entrare in un sistema che potrebbe diventare, perché no, una fonte di guadagno, un vero e proprio lavoro.

Se vuoi essere un pro gamer di un gioco a squadre devi avere un team e certo non lo trovi andando a fare la spesa al supermercato (almeno, non è una cosa abituale ma non diamo limiti alla “nerdiddenza”). Qual è un buon modo per conoscere altri gamer che vogliano sfondare negli sport elettronici? Condividere la propria passione sui social.

eSports come rete sociale. Gli sport elettronici danno una possibilità di socializzazione proprio come i giochi di ruolo o i board games.

Su Facebook ci sono gruppi con migliaia di utenti che non vedono l’ora di organizzare match o di discutere semplicemente dei propri record, delle migliori tattiche da usare in game o di come si sono trovati con l’ultimo aggiornamento apportato all’eroe che si usa più spesso nel proprio MOBA preferito. Da qui possiamo affermare che l’eSport è una rete sociale distinta inserita in un’altra molto più grande.

Far entrare qualcuno nel proprio team, quando si è all’inizio, non è semplice, perché non si hanno precedenti e quando si gioca in competitivo la fiducia reciproca è fondamentale. Proprio come nella vita al di fuori dei videogiochi, prima di trovare un assetto giusto è necessario sperimentare. Non si tratta solo di un test sul piano tecnico, della strumentazione e delle proprie tecniche di gioco, ma di un test umano e sociale.

Se non ci si trova bene in un party (l’insieme dei giocatori che partecipano a un gioco, non il party inteso come festa dove la birra scorre a fiumi e c’è la bella da conquistare goffamente), allora è meglio lasciar perdere e trovare qualcun altro con cui giocare o limare le divergenze con i compagni attuali. Proprio come in una rete sociale.

Un team affiatato come in un’azienda

Il discorso, ora, può spostarsi a quando si è già masticato un po’ del mondo degli eSports. Quando ci si ritrova a dover gareggiare in un titolo come Overwatch in cui ogni eroe ha un proprio ruolo e caratteristiche peculiari da sfruttare per arrivare alla vittoria, la fiducia delle competenze dell’altro è assolutamente imprescindibile.

Come in un’azienda, giocare di squadra significa portare a casa il risultato e per farlo è necessario affidare a ognuno compiti che sappiano valorizzare il singolo e apportare benefici a tutti gli altri. Gli altri, dal canto loro, devono essere convinti che il lavoro non verrà gettato alle ortiche da errori grossolani del singolo.

Ognuno ha un proprio ruolo e deve avere la fiducia di tutto il team per portarlo a termine nel migliore dei modi.

In un match di Overwatch, quindi, ognuno ha compiti ben precisi. C’è il tank che con la sua resistenza deve fare in modo che gli avversari si concentrino su un unico obiettivo: buttarlo giù il prima possibile. Ciò deve essere sfruttato bene dagli eroi di attacco e difesa che possono pensare alla miglior offensiva. E se l’eroe di supporto, Mercy o Lucio ad esempio, si dimenticasse, preso dalla foga o a causa di poco affiatamento, di sfruttare il suo ruolo di healer? Sarebbero problemi.

La forza e la peculiarità del singolo non va anteposta al bene comune, questo è un insegnamento che i giochi competitivi offrono in ogni singolo momento. Ecco perché gli eSports aiutano a fidarsi degli altri e a creare un clima di supporto reciproco. È anche vero che in un team ci sono persone più adatte a fare i leader e una personalità forte è importante per creare coesione. In questo caso, l’esempio più calzante potrebbe essere quello dei card game come Hearthstone.

Nei Global Games andati in scena ad agosto abbiamo visto come a volte si sia dovuto ricorrere all’ace match per decidere la squadra vincitrice. Nel caso della Repubblica Ceca, è stato selezionato StanCifka e non è certo un caso. Uno dei giocatori più forti nel titolo Blizzard e che, quindi, si è elevato a leader e ha avuto la fiducia degli altri grazie alla sua maggior esperienza e abilità.

La fiducia porta al rispetto

“Facile” fidarsi dei compagni di squadra, ma di un avversario? Una rete sociale stabile si fonda su tanti fattori umani e non. Nel caso degli eSports, la fiducia nell’altro porta anche al rispetto dell’avversario e delle regole che disciplinano questa rete. Sì, lo sappiamo tutti, giocare online porta a incontrare anche persone con una netiquette dimenticata in cantina, ma nel mondo degli eSports il rispetto altrui è quasi automatico nel momento in cui il nostro competitor dimostra doti umane e tecniche non indifferenti.

Nel caso degli eSports in singolo esistono poi casi del tutto peculiari: i picchiaduro. I fighting game hanno, in realtà, una cultura tutta loro che si fonda sul disrespect dell’avversario. Prenderlo in giro, esultare in maniera sfacciata e provocatoria. Questa cultura deriva dal fatto che questa tipologia di titoli veniva giocata nelle sale giochi che erano disseminate nei ghetti. Ciò non significa che i contendenti di un picchiaduro vogliano davvero darsele di santa ragione. Avversari non significa nemici. È il gioco delle parti, un po’ come quando due boxeur si lanciano sguardi di sfida.

Un match di picchiaduro dimostra che essere avversari non significa essere nemici.

Proprio come nelle vere arti marziali, i due contendenti cercano di sfruttare l’errore dell’altro, una difesa bassa, cercano di studiare pregi e difetti per attaccare con durezza. Tutto questo, però, senza dimenticare il riguardo verso una persona che in quel momento sta cercando ciò che stai cercando tu. Un pro gamer di Tekken o Street Fighter si è allenato, ha fatto gavetta e ha una passione smodata per quel genere di videogiochi, proprio come te.

Qui entra in gioco, dunque, l’eSport come rete sociale che porta alla fiducia reciproca. Se gli interessi in ballo sono i medesimi e se le passioni coincidono, sarà più semplice e immediato entrare in un rapporto di fiducia con chi non fa parte di un tuo ipotetico team, perché avviene un incontro di interessi e obiettivi.

Leggi anche Come fare il photobomb nell’evento di Halloween di Overwatch

This post was published on 16 Ottobre 2017 14:00

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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