Il 19 Aprile un quotidiano on line che si definisce sovranista ha pubblicato un brevissimo articolo in merito allo studio compiuto da un ricercatore dell’Università di Stratford. Lo studio è incentrato sul sistema di gioco di Dungeons and Dragons e sulle sue evoluzioni. Il nome della testata on line è Il Primato Nazionale, mentre il ricercatore in questione si chiama Antero Garcia.
L’articoletto pubblicato da Primato Nazionale non è altro che la rivisitazione di un altro articolo, in inglese, che ha fatto un certo scalpore nella comunità internazionale dei giocatori di ruolo. Come spesso accade nel giornalismo, tutto sta nel titolo. L’articolo del Primato titola: “Giochi a Dungeons and Dragons? Allora sei razzista e sessista”.
Si è alzato un tale polverone in merito alla questione che l’autore dello studio ha pubblicato su The American Crawl un intervento in cui spiega l’intera faccenda, trovandosi costretto a chiarire ulteriormente quali siano state le finalità dello studio che ha condotto, quali siano le conclusioni a cui è giunto e quali speranze coltiva per il futuro.
Dal momento che oltre a essere giocatori siamo giornalisti, in qualità di redattori di Player abbiamo ritenuto non soltanto necessario ma anche doveroso approfondire la questione e sviscerare punto per punto lo studio di Antero Garcia, liberamente scaricabile dalla rete in formato PDF: un file lungo 16 pagine dalle ragguardevoli dimensioni di 1.2 Mega.
Il quotidiano Primato Nazionale ha incaricato il redattore Carlomanno Adinolfi di scrivere un articolo fortemente schierato in difesa di Dungeons and Dragons, che secondo Adinolfi è stato ingiustamente attaccato da un autore fazioso. Nel parere di Carlomanno Adinolfi all’interno dello studio di Garcia (che viene definito delirante) si possono individuare elementi della teoria gender, un atavico odio contro il maschio bianco eterosessuale e allarmi anti razzismo che, sempre secondo Adinolfi, sono di gran moda in una società asessuata e obbligatoriamente multietnica quale ormai la nostra è diventata.
Ritiene Adinolfi – il quale ha sicuramente letto l’abstract delle 16 pagine scritte da Garcia, ma altrettanto certamente non è arrivato a leggere le conclusioni o non ne ha capito il senso – che Garcia abbia attaccato deliberatamente il gioco di ruolo per eccellenza al fine di metterlo al rogo al grido di “è un hobby da maschio bianco”, volendo quindi demonizzare la categoria maschio bianco e tutto quanto è stato da esso prodotto dal punto di vista storico, sociale e culturale. Non vi forniremo alcun link alla pagina in questione, confidando nel fatto che siano chiari i motivi della nostra scelta.
Con l’articolo che state leggendo intendiamo chiarire quale futuro si delinea non soltanto per il sistema D&D ma anche per qualsiasi altro sistema di regole con finalità ludiche.
Il titolo completo del saggio scritto da Antero Garcia e pubblicato per la prima volta on line esattamente un anno fa è: “Privilege, Power, and Dungeons & Dragons: How
Systems Shape Racial and Gender Identities in Tabletop Role-Playing Games” ovvero: “Privilegio, Potere e Dungeons & Dragons: come i sistemi plasmano le identità razziali e di genere nei giochi di ruolo cartacei”.
Le finalità dello studio sono espresse al principio di esso: stabilire come i sistemi di regole espressi nel gioco abbiano influenzato la formazione e la visione del mondo di generazioni di giocatori.
L’elaborazione del saggio che stiamo analizzando divenne una questione prioritaria per Garcia nel periodo in cui scoppiò il cosiddetto gamergate, ovvero lo scandalo in merito alle molestie subite da donne ed esponenti di minoranze etniche all’interno della comunità videoludica.
Per comprendere quali fossero i motivi alla base dell’atteggiamento razzista e sessista proprio di molti videogiocatori, Antero Garcia decise di andare alla radice dell’intrattenimento videoludico, cioè di sottoporre a un’analisi scientifica i manuali di tutte le edizioni del gioco che ha originato una parte enorme dei videogiochi contemporanei: Dungeons and Dragons.
Tra le prime affermazioni degne di nota Garcia spiega che dal suo punto di vista il gruppo di amici che creò il sistema di gioco originale di Dungeons and Dragons ha alterato per sempre il paesaggio del gaming e della cultura pop in generale, gettando le basi delle ideologie e della creazione di significato all’interno del RPG.
La questione della “creazione di significato” (in inglese meaning making) è profondamente filosofica e caratterizza ogni operazione culturale. Ogni atto culturale, come la formulazione di una nuova parola o la creazione di un’opera d’arte, immette nel sistema culturale in cui si è originata un nuovo significato. Oltre ad alterare il sistema preesistente, un nuovo significato è in grado di fornire la base di partenza per ulteriori nuovi tasselli che, a loro volta, apporteranno cambiamenti più o meno profondi al sistema originario. Per dirla in maniera elementare, da un certo punto di vista quello che oggi pensano e credono i videogiocatori trae le sue origini da quello che pensavano e da quello in cui credevano Gary Gaygax e tutti coloro che collaborarono alla creazione del sistema di regole di Dungeons and Dragons.
Nel suo saggio Garcia ha quindi analizzato i manuali di Dungeons and Dragons cercando indizi che facessero riferimento alla questione razziale, alla differenza di genere e alla gestione del potere all’interno del sistema di regole del gioco.
Leggendo il saggio di Garcia si capisce il motivo per cui l’approccio scientifico non è alla portata di tutti: per cominciare a raccogliere dati sulla rappresentazione delle donne nell’immaginario collettivo di Dungeons and Dragons, Garcia ha ben pensato di analizzare tutte le immagini che siano mai state introdotte in ogni manuale base di ogni edizione mai prodotta di Dungeons and Dragons. Ha quindi tenuto il conto di quante femmine fossero rappresentate nelle immagini in questione e in quali atteggiamenti.
I dati emersi sono in qualche modo esilaranti: è apparso chiaro che le prime edizioni di Dungeons and Dragons fossero a completo appannaggio maschile: scritte da maschi a giovamento di maschi. Le femmine (generalmente femmine umane, quindi donne) comparivano molto di frequente nell’edizione del 1974.
Nel corso delle edizioni il numero di soggetti femminili è progressivamente diminuito, ma nello stesso tempo è cambiato il modo in cui venivano rappresentati, cioè in maniera sempre più simile a quelli maschili.
Nel 1978 gli autori del gioco compirono un importante passo avanti: si esposero sulle implicazioni del linguaggio che veniva utilizzato nei manuali e in particolare sul significato che esso aveva nei rapporti tra i due sessi e le regole di gioco: gli autori spiegarono che anche nell’edizione del 1978 avevano scelto di continuare a usare il pronome e il genere maschile quando si faceva riferimento al giocatore, ma soltanto perché il genere maschile attraverso secoli di utilizzo è diventato un genere neutro. Si spiegava inoltre che i nomi di classi e livelli venivano declinati al maschile ma potevano tranquillamente essere adattati anche al femminile se a farne uso erano delle giocatrici.
“Questa è fantasia: cosa c’è in un nome? In tutti i casi tranne alcuni il sesso non fa differenza nelle capacità (di un individuo)“: la rivoluzione cominciò con una frase.
Nelle edizioni successive furono eliminati i malus alla forza applicati ai personaggi femmina, quindi nel momento in cui furono introdotti altezza e peso dei personaggi si specificò che le femmine fossero mediamente più leggere dei maschi e in genere più esili. Nelle edizioni successive, i personaggi femmina cominciarono ad avere pari dignità iconica rispetto a quelli maschi, come la maga elfa Mialee.
Il passo definitivo fu compiuto nel 2009, da una versione di Dungeons and Dragons che in realtà non è nemmeno Dungeons and Dragons, non fu pubblicata dalla stessa casa editrice del gioco originale e non ebbe nemmeno gli stessi autori: Pathfinder. Questo sistema di gioco, creato esclusivamente da appassionati che integrarono i manuali di base con molti altri set di regole di propria creazione, vide per la prima volta l’inserimento di un numero di personaggi iconici femminili pari a quello dei personaggi maschili. Venne inoltre introdotto il primo personaggio transessuale della storia del gioco: la druida Shandra nata nano maschio.
Ad abbattere qualsiasi barriera di genere è poi arrivata la fluidità sessuale degli elfi benedetti da Corellon Larethian: una regola per la Quinta Edizione di D&D che all’epoca in cui Garcia scrisse il suo saggio non era ancora stata introdotta, ma che riesce egregiamente a validare suo discorso.
Uno dei concetti veicolati con più efficacia dal sistema di regole di D&D è che la razza determini in maniera molto ingombrante la natura di un individuo, mettendo in atto una sorta di determinismo genetico in merito a quello che un individuo può o non può essere. Ad esempio nella seconda edizione alcune razze potevano aspirare a raggiungere soltanto determinati livelli di potere nelle classi (uno gnomo chierico poteva raggiungere soltanto il nono livello, un halfling l’ottavo e così via), mentre agli umani non era imposto alcun limite di avanzamento. Almeno ai suoi albori quindi il regolamento di D&D veicolava l’idea di un eccezionalismo umano a scapito di altre razze messe in condizioni di apparire necessariamente come inferiori. Se a questo si aggiunge che, nonostante i grossi passi avanti nell’ambito della rappresentazione del femminile, gran parte degli eroi maschi è stata a lungo rappresentata come appartenente alla razza caucasica, si capisce facilmente che l’eccezionalismo di cui abbiamo appena parlato era attribuito soltanto al maschio bianco.
Secondo lo studio di Garcia questa elevazione del maschio bianco, unita all’inserimento di pregiudizi razziali che caratterizzano il pensiero di ogni razza nei confronti di tutte le altre, Dungeons and Dragons è stato fin dai suoi albori veicolo di xenofobia e di sfiducia nei confronti del diverso.
Nei primi manuali dedicati alla figura del Dungeon Master, Gary Gygax aveva scherzato sul fatto che il DM avesse il diritto, e quasi anche il dovere, di ritenere i personaggi dei propri giocatori “degni soltanto di guadagnarsi una morte onorevole”. Si specificava inoltre che molti dettagli inerenti al gioco dovessero essere tassativamente nascosti ai giocatori. La divisione tra chi gestisce il potere e chi non lo gestisce era (ed è) concretizzata dall’inserimento di una barriera fisica tra il Master e i suoi giocatori: il Master Screen.
La descrizione originale del ruolo del Dungeon Master definiva un ruolo molto prescrittivo e punitivo nei confronti dei giocatori, elevando spesso il DM al di sopra delle regole e fornendo ai giocatori dei suggerimenti sul come comportarsi nei confronti del DM.
Con il passare degli anni e con l’evoluzione del sistema la definizione del potere del Dungeon Master ha adottato termini meno assolutistici rispetto all’idea iniziale dei creatori del gioco, ma all’interno dei manuali sono ancora oggi presenti suggerimenti e strategie utili per controllare i giocatori, in particolar modo quelli dotati di troppo entusiasmo, colpevoli di rallentare il gioco, di creare confusione intorno al tavolo e di rubare spazio agli altri player. La gestione del potere è quindi ancora un argomento trattato all’interno dei sistema di regole di Dungeons and Dragons ma da una prospettiva molto differente.
A conclusione del suo studio, Garcia illustra le due posizioni metodologiche che sono sempre necessarie nel momento in cui vengono analizzati i sistemi di regole prodotti dagli esseri umani:
Detto questo, Garcia spiega che la peculiarità del sistema di regole prodotto nei decenni per Dungeons and Dragons ha la particolarità di avere finalità ludiche e si pone in una posizione privilegiata rispetto agli altri sistemi di regoli prodotti dalla stessa società nello stesso periodo storico: creato per assicurare divertimento attraverso la narrazione collaborativa e partecipata è il terreno ideale per accogliere in maniera pacifica i cambiamenti della società traducendoli in innovazioni del sistema di regole.
Il sistema Pathfinder è il simbolo della capacità del sistema di regole di D&D di cambiare e innovarsi per risultare più inclusivo e più vicino ai nuovi bisogni e ai nuovi valori espressi dalla società.
Il sunto perfetto delle conclusioni a cui giunge Garcia si trova in una citazione da Sfard & Prusak, 2005:
Questo studio dovrebbe ricordarci che l’azione delle persone puo’ funzionare come un’interruzione positiva degli stereotipi incorporati nei sistemi
Dopo aver esposto in breve ma nella maniera più precisa possibile cosa Antero Garcia ha realmente scritto nel suo studio, ci sentiamo in dovere di dare in merito la nostra opinione di giocatori.
Ben lontano dall’affermare che chiunque abbia mai tirato un d20 sia razzista e sessista, Garcia ha soltanto voluto sottolineare come Dungeons and Dragons sia un prodotto culturale dei suoi tempi esattamente come lo sono opere artistiche e letterarie. Ha voluto spiegare come Gary Gygax e gli altri creatori del gioco avessero delle idee precise in merito al ruolo delle donne nella società e alla discriminazione razziale. Quelle idee all’epoca erano ampiamente condivise, anche se talvolta a livello inconscio, da tutti coloro a cui il gioco di Gygax si rivolgeva: dei giovani maschi per lo più bianchi che (almeno in ambiente ludico) non avevano molti contatti con le femmine. Sulla base di questo vogliamo davvero incolpare i curatori delle prime edizioni per aver rappresentato gli eroi come maschi caucasici? Le favole africane hanno per caso come protagonisti personaggi con gli occhi a mandorla e i capelli a spaghetto? No. E le antiche leggende dei nativi americani non erano incentrate su individui del loro gruppo etnico? Che cosa c’è di strano e stupefacente nel fatto che un maschio bianco proponga a dei giovani maschi bianchi dei modelli di riferimento rappresentati da maschi bianchi?
Quei maschi bianchi sono stati formati (anche) dall’esperienza di gioco, un gioco che veicolava idee potenzialmente razziste e sessiste, ma questo non consente di demonizzare il gioco in sé, perché quelle stesse idee erano espresse da tutti i prodotti culturali di quel periodo.
Detto questo, i tempi cambiano, fortunatamente, e Garcia ci ha mostrato nel suo studio quello che in realtà già sapevamo perché siamo giocatori: intorno a un tavolo da gioco oggi le discriminazioni di matrice sessuale a carico dei personaggi sono diminuite anche se non sono ancora completamente scomparse. Quelle di matrice razziale non diminuiranno mai, perché anche se oggi il regolamento concede a un mezz’orco di raggiungere lo stesso livello di potere di un umano, i pregiudizi razziali sono una parte divertente e stimolante dell’interpretazione.
La differenza sostanziale rispetto al passato sta nel fatto che oggi i giocatori sono in grado di dividere più consapevolmente il gioco dalla realtà e sono maggiormente in grado di applicare nella vita reale valori differenti da quelli del personaggio che interpretano: la coscienza critica della maggior parte dei giocatori di oggi è in grado di comprendere che offendere un personaggio mezz’orco in quanto mezz’orco è ben diverso dall’offendere un giocatore di origini africane a causa del colore della sua pelle. Abbiamo scritto “la maggior parte” perché intendiamo essere il più realistici possibile e sappiamo quanta strada c’è ancora da fare, ma la nostra speranza è che un giorno qualcuno possa scrivere che i pregiudizi razziali sono completamente scomparsi dalla comunità dei giocatori di ruolo.
Abbiamo questa speranza perché sappiamo che le regole prodotte dalle nostre generazioni hanno cambiato il sistema introducendo le nostre credenze e i nostri valori all’interno di esso. Sappiamo che lo faranno anche le generazioni a venire e che il sistema di regole di D&D sarà ancora una volta uno specchio dei tempi, dal momento che Antero Garcia ci ha spiegato che i tempi e i sistemi di regole stanno tra loro in un rapporto osmotico.
Soltanto una precisazione: ci concederemo ancora e sempre il lusso di discriminare tra buoni e cattivi giocatori, e non ci sarà rivoluzione culturale in grado di farci cambiare idea.
This post was published on 21 Aprile 2018 15:59
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