Il Parlamento Europeo è in procinto di decidere ancora una volta in merito alla riforma del diritto d’autore, e sta valutando alcune importanti modifiche proposte dalla Commissione Europea.
La paura che serpeggia nel web ruota attorno a un’eventuale limitazione della libertà dell’utente su Internet; ma è davvero così? Ha senso urlare «Salviamo Internet dalla censura»? Vediamo insieme in cosa consiste questa riforma, prima di affilare (bene) le lame.
La riforma del diritto d’autore ha lo scopo, sulla carta, di tutelare gli autori e i creatori di contenuti, armonizzando le diverse normative dei singoli Stati membri; nell’attuazione, però, si rischia di imporre notevoli restrizioni non soltanto agli utenti, ma anche agli autori stessi. Se n’era già parlato mesi fa, poi di nuovo qualche tempo dopo, e ora ci sarà una nuova discussione il 26 Novembre di quest’anno.
Questa riforma andrebbe ad aggiornare una direttiva europea del 2011, che si è rivelata insufficiente nel contesto digitale: è nata, quindi, per contrastare gli ostacoli che la tutela del diritto d’autore -inevitabilmente- incontra sul web, nonché per proteggere il lavoro di autori e creatori di contenuti e gli interessi di editori e distributori di questi contenuti.
Le proteste dei mesi scorsi sono state accolte, e sono state inserite varie modifiche importanti: due in modo particolare.
Da una parte l’Articolo 5 prevede già delle eccezioni: gli Stati membri dell’UE possono decidere autonomamente di permettere, in alcuni casi ben precisi, di utilizzare opere protette da copyright senza dover richiedere l’autorizzazione.
Dall’altra, l’articolo 3 della riforma aggiungerebbe, a queste eccezioni, il text and data mining, utilizzato per delineare tendenze e per alcuni settori della ricerca scientifica.
No, dannazione. Non diamo retta a chiunque blateri qualcosa, su!
Nel Settembre di quest’anno sono state aggiunge alcune chiare eccezioni, che includono le enciclopedie online come Wikipedia, le realtà open source e senza scopo di lucro, le piccole e medie imprese, e soprattutto le parodie, la satira e i meme. Sì, hanno specificato che i meme non rientrano tra le violazioni di copyright.
Quindi no, l’Unione Europea non odia i meme. Mettete via le torce e i forconi. Grazie.
In particolare sono due gli articoli particolarmente criticati dai detrattori della riforma europea del diritto d’autore: l’11 e il 13.
Il primo andrebbe a limitare gli aggregatori di notizie, mentre il secondo tocca da vicino chiunque carichi qualcosa sul web.
Osserviamo questi articoli un po’ più da vicino. Avvicinatevi, non siate timidi.
L’articolo numero 11, così com’è stato proposto dalla Commissione Europea, riguarda in particolar modo gli aggregatori di notizie, i fornitori d’informazione e perfino i motori di ricerca, ed è focalizzato sul diritto d’autore accessorio.
In parole povere, le modifiche apportate dall’art. 11 -chiamato impropriamente link tax– blinderanno i contenuti dei fornitori d’informazioni, e potrebbe rendersi necessario acquistare una licenza per poter utilizzare questi contenuti in motori di ricerca, siti contenitori, aggregatori e portali d’informazione. Tanto per citarne uno, Google News.
Una doverosa precisazione: la tassa, che tassa non è, non riguarda il link in sé, ma il brano di testo e l’immagine che vengono riportati nell’anteprima dell’articolo, chiamata in gergo snippet; non si tratta di una vera e propria tassa, inoltre, ma di un compenso nei riguardi di chi detiene i diritti su quegli specifici contenuti.
Vi propongo un esempio per assurdo: immaginate che un supereroe Marvel a caso abbia fatto irruzione nella redazione di Player.it e abbia compiuto una strage; due intraprendenti reporter, mettiamo caso un tale Peter Parker e una certa Jessica Jones, erano nei paraggi e sono riusciti a coprire la notizia in tempo reale, con foto di qualità e una prosa chiara, ben scritta e frizzante.
Il loro editore pubblica subito la notizia in prima pagina, sia in versione cartacea sia sul nuovo sito del Daily Bugle; poco dopo Google News decide di citare un passo dell’articolo nella propria rassegna di notizie dell’ultim’ora, con tanto di link al giornale online in questione.
Ebbene, se prima della riforma questo sarebbe stato possibile e i vari villain abruzzesi avrebbero potuto sghignazzare in tempo reale, accarezzando il proprio candido felino e sorseggiando dell’ottimo brandy, con queste modifiche la cosa sarebbe ben più complessa: se Google News citasse l’articolo firmato da J.J. e P.P., tecnicamente commetterebbe una violazione del diritto d’autore. Quindi nisba.
A quel punto le cose si metterebbero così:
In soldoni, come in un film della Marvel degno di questo nome, l’entità che avrebbe dovuto tutelare il lavoro di P.P. e J.J., finisce per fare loro del male, involontariamente, e le conseguenze sarebbero disastrose. Almeno fino al sequel.
Voi potreste obiettare che, in realtà, Google News potrebbe tranquillamente pagare la tassa di licenza, così da poter pubblicare il pregevole articolo firmato dai due reporter-supereroi; certo, ma Google News è un aggregatore. Uno solo, e anche molto ricco. Ce ne sono a centinaia, tra cui anche giovani start-up, e non tutti hanno alle spalle il colosso di Mountain View.
La questione, però, non è tutta qui: sono coinvolti anche i creatori di bufale, fake news e spazzatura varia. Chi crea questi contenuti vuole che diventino virali, per i propri scopi poco puliti, e quindi probabilmente rinuncerebbe alla cosiddetta link tax: in questo modo, seguendo il filo logico che ci ha portati fin qui, la riforma faciliterebbe ancora di più la diffusione di fake news a discapito dei contenuti di pregio, su cui magari uno o più giornalisti hanno versato sudore, lacrime e sangue.
Ma c’è di più.
Per far rispettare queste normative, l’articolo 13, chiamato anche upload filter, prevede che ogni singolo pacchetto di dati caricato sul web venga scansionato da un algoritmo: una sorta di Dredd, Legale-Neutrale, che verificherà se il file che state caricando viola o meno il diritto d’autore di qualcuno. Sarebbe un po’ simile all’algoritmo già implementato da YouTube e, proprio com’è già successo sulla piattaforma di condivisione video, questo controllo automatico può essere soggetto a errori e cancellazioni ingiuste.
Non so voi, ma io ho un po’ di flashback su Morpheus, Echelon IV e Daedalus, direttamente dalla saga di Deus Ex.
Se non sono stato sufficientemente chiaro, non bucatemi le gomme dell’auto ma, per questa volta, limitatevi a guardare il video di Breaking Italy che vi riporto qui di seguito: Shy ha spiegato la questione, mesi fa, meglio di quanto non possa fare io ora.
Ma torniamo a noi. Come possiamo correre ai ripari, e salvare il lavoro di Jessica Jones la libertà che attualmente vige online (o così dovrebbe essere), naturalmente nel pieno rispetto delle normative vigenti?
Per il momento è stata attivata una petizione su Change.org, firmata da Save The Internet, che al momento della stesura di questo articolo contava oltre due milioni e mezzo di sostenitori, su un target di tre milioni; tra i sostenitori più attivi c’è Julia Reda, una parlamentare europea del PiratenPartei (il Partito Pirata Tedesco), nonché parte della European Free Alliance: un partito europeista che appoggia i valori fondanti dell’UE, cioè libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e, ovviamente, il rigoroso rispetto della legge.
Save The Internet ha preparato una lettera ufficiale al Consiglio Europeo che è stata firmata, in Italia, dal Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali; varie entità internazionali, inoltre, hanno aderito all’iniziativa: per citarne alcune, Creative Commons, OpenMedia e WikiMedia.
È stata lanciata anche una campagna di crowdfunding su gofundme.com, per coprire i costi delle campagne informative di Save The Internet, nonché le pubbliche dimostrazioni e l’attività di lobby in ambito sia europeo sia nazionale. L’iniziativa Save The Internet ha anche un proprio sito web, su cui si coordinano anche le proteste fisiche nelle piazze di tutta Europa.
La democrazia parte dal basso: lamentarsi dopo non serve a niente. Bisogna agire prima, facendosi sentire dai propri eurodeputati.
This post was published on 21 Novembre 2018 12:27
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